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Beschreibung

La filosofia dell'esperienza, che nel suo aspetto gnoseologico si presenta come un puro empirismo, si conclude, dal punto di vista ontologico, come fenomenismo. Questo aspetto viene approfonditamente e compitamente eviscerato dal Sacheli con grande maestria e competenza.INDICE- I. Verso un nuovo empirismo - II. L'oggettivo - III. Empiricità della certezza - IV. Comprendere e spiegare - V. La trascendenza - VI. Axiofenomenismo - VII. Definizione dei valori - VIII. Metafisica ed assoluto - IX. Passaggio all'incondizionale

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C. A. SACHELI

Fenomenismo

Studio sulle “immagini mentali della realtà” in rapporto con il mondo reale

Prima edizione digitale 2016 a cura di Anna Ruggieri

INDICE

- I. Verso un nuovo empirismo

- II. L'oggettivo

- III. Empiricità della certezza

- IV. Comprendere e spiegare

- V. La trascendenza

- VI. Axiofenomenismo

- VII. Definizione dei valori

- VIII. Metafisica ed assoluto

- IX. Passaggio all'incondizionale

Capitolo I - Verso un nuovo empirismo

La filosofia dell'esperienza, che nel suo aspetto gnoseologico si presenta come un puro empirismo, si conclude, dal punto di vista ontologico, come fenomenismo.

Essa, in quanto dottrina della conoscenza, è al cuore della storia del pensiero moderno. Prescindendo da qualche motivo erratico, ma pure essenziale, nei cartesiani, essa, da Locke Berkeley e Hume allo antidommatismo di Kant, da Mill e Bain alle forme diverse di positivismo e a Mach e ad Avenarius, afferma una validità intrinseca della certezza sperimentale, dichiara solo empirica l'origine e la portata dei mezzi e delle norme dei conoscere con verità, assume i processi induttivi a supremo criterio di questa.

Come fenomenismo questa filosofia dichiara che nei fenomeni, che sono le sole cose di cui possiamo affermare l'esistenza, non vi è altro da conoscere che l'ordine regolare in cui essi si presentano, le loro sequenze e coesistenze costanti. Non vi è altra scienza che non sia quella di fenomeni, e il fenomeno è il fatto dell' esperienza, e non esiste che in quanto se ne ha esperienza (Guastella).

Il fenomenismo, dunque, che è una revisione critica e una rielaborazione radicale dell'empirismo tradizionale, procede da Berkeley e si assolve nella sua celebre formula. Gli oggetti della conoscenza, esistono naturalmente solo in quanto vengono conosciuti e il their esse is percepi.

Ma il filosofo di Dysert poneva ancora un limite a questa concezione, giacché il pensiero od il pensare stesso non era per lui una rappresentazione ma un atto e un volere e — concludeva egli — the soul is the will.

L'essere del pensare non era percepi ma percipere.

Questa deroga dalla formula generale permase ancor sempre, per cagioni diverse, nella filosofia moderna dell'esperienza, fino ad assumere un'individualità a sé col volontarismo e col pragmatismo. Pure potrebbe, per avventura, riuscir ovvio che questo quid ignoto (somewat, if indeed it may be termed somewat) non può esser pensato se non nei termini di una mera sostanza e riuscir quindi fratello della materia e nato anche ad unico parto con essa. Nondimeno, alle suggestioni di quest'idea cedette, in, fondo, anche Mill.

Il Guastella, sulle orme di Kant, estende anche qui, nel nocciolo oscuro dell'identità del me, la nozione empirista del fenomeno, nega al fenomeno stesso ogni Ding an sich. Sono evitate così le inconseguenze cui pervennero il Gourd e il Boirac.

La realtà fenomenale, illimitata ma assolutamente invalicabile, rimane, negli indissolubili nodi percettivi, legata alla realtà anch'essa fenomenica di un soggetto percepente. Il reale tutto, in ogni verso, si risolve in sensazioni e possibilità di sensazioni. Il campo d'estensione del sapere come la realtà medesima — la quale è in definitiva sempre una realtà umana—appare senza confine in ogni verso, senza l’angolo morto d'alcunché d'inconoscibile. E basti, per ora, l'accenno al carattere umanistico di questa filosofia.

II Gentile scrisse, in un suo libro sul tramonto della cultura siciliana, che il pensiero del Guastella, sorto dalle correnti sensistiche isolane — tardo frutto cioè d'un moto culturale di già spento sul continente — non esce, pur con gli scaltrimenti desunti da Mill e da Renouvier, dall'ambito del positivismo materialistico. Altri ha creduto, invece, d'inserire lo sviluppo dell'opera guastelliana sul gran tronco del criticismo. Noi non possiamo convenire nel primo giudizio né accettare il secondo.

C'è, nella speculazione di questo pensatore, un approfondimento così essenziale dei motivi empiristici, un ripensamento epistematico cotanto estraneo alle costruzioni del positivismo francese inglese e italiano pur muovendosi egli ancora su un primo piano de' modi di pensare e di dire abituali a quella scuola e a quel tempo; c'è, soprattutto, una si larga, messe di conclusioni, ora differenti ora opposte alle dottrine a gnostiche sociologiche materialistiche del positivismo, che talune affermazioni e proposizioni comuni alle due filosofie acquistano visibilmente altro senso in lui e altra portata, per guisa che riesce almeno improprio dire semplicemente il Guastella un positivista e stranissimo poi accusare di materialismo questo fedele seguace dell'immaterialismo berkeleyano.

Né più corretto dirlo più o meno kantiano. Certo egli sentì tutta la gravità e bellezza del formidabile problema posto da Kant alle età successive, ne colse la spontanea intima insorgenza nello spirito umano, apprezzò debita mente lo sforzo titanico compiuto nelle tre Critiche per cogliere un'assoluta certezza e una realtà salda oltre la cangevole fenomenia. Ma il suo cuore era altrove; ma se è essenziale al kantismo —come il Guastella stesso mostrò — l'assunzione dommatica del postulato dell'apriorismo: che l'esperienza, cioè, non può dare origine a proposizioni necessarie e rigorosamente universali; e se il kantismo tutto si svolge sotto il fascino del sofisma apriori dell'idealismo subiettivo: l’attività immanente del pensiero essere esplicatrice perché (forma) creatrice del mondo, converrà dire che il Guastella è senza fine lontano da Kant, che riprese il problema di Kant nella sua radice più profonda, là dove esso s'inserisce, prima ancora di codesto sviluppo personale e geniale, nelle tesi fenomeniste ed empiriste di Hume e mira ad evitare la scepsi, nel punto preciso cioè della ricerca dell'oggettività della certezza.

Ma al filosofo siciliano la questione si pose anzitutto, come a ogni mente seria e sincera, quale una questione di metodo. Lo scetticismo di Hume procede dal suo empirismo o dalla metafisica che ne domina ancora il pensiero? e, se le tesi fenomeniste ed empiriste convergono insieme all' assunzione del nominalismo, come metodo del pensare, è stata ancor fatta una critica della ragione dal punto di luce di questo metodo? No, certamente. Ancora: se la ragion pura è la sede dell'apparenza dialettica, ebbene, Kant ha proceduto alla critica di essa con un metodo schiettamente concettualista e tutta, in genere, la metodologia del kantismo presuppone di necessità quelle tesi stesse, antifenomeniste e metafisiche, di già scrollate dall'indagine humiana.

Bisogna ricominciare da capo. E fino a che non sia stata l'opera assolta, seguendo con rigore inflessibile un metodo di pensare per idee particolari e concrete, non è lecito dire se l'empirismo riesca inevitabilmente alla scepsi.

Una questione, come ognun vede, di probità mentale e di metodo, una questione assolutamente preliminare, ma più sottilmente impostata di quella colla quale si apre la filosofia moderna, affascinò la mente severa del Guastella.

La quale era fatta a punto per questa opera ardua e, in fondo, passionale, quasi — direi — eroica. Torna a mente una calzantissima pagina di Nietzsche: “Tradurre l’uomo nella natura, rendersi padroni delle molte interpretazioni vane e sentimentali e dei sensi riposti, di cui sinora fu coperto come d' uno strato di sgorghi e di colori l’eterno testo fondamentale homo - natura, render possibile che d' ora innanzi l’uomo stia dinanzi all' uomo come già sta oggi" indurito nella disciplina della scienza, dinanzi all'altra natura, con occhi imperterriti di Edipo, con le orecchie turate d'Ulisse, sordo alle lusinghe di tutti gli uccellatori metafisici, che non cessano dal cantargli: tu sei di più ! tu sei più alto ! tu sei d'altra origine — ecco il nostro compito ).

E tutta l'esistenza del filosofo siciliano — fin forse dai primi studi universitari allorché seguiva Corleo, Paternò, folti, Doderlein, nel decennio di fervido raccoglimento che precedette la pubblicazione del primo Saggio, e sempre poi, fino al tramonto dell' ultimo giorno di vita — la meditazione del pensatore, l'attività del docente, le indagini dello studioso, non distratte mai un istante da altre cure, da altro mondo, furono tutte intese e rivolte con tenacia isolana, a uno scopo, a un oggetto solo: pensare con sincerità, pensare con verità, porre le condizioni ed i modi della vita effettiva del pensiero.

Mi sia consentito di ricordare il Maestro. Cosmo Guastella, tutto appartato e solitario, senza discepoli e senza speranze, veniva all'Ateneo assiduo e metodico. Passava tra la folla dei giovani, con i grandi dolcissimi occhi severi gravidi di pensiero — e, ora assorti come in riflessioni remote parevano trarsi dietro la persona piccola nervosa inflessibile, ora sbarrarsi imperterriti, senza sgomento, sugli abissi bui e i gorghi smaglianti dell'errore che appare inevitabilmente verità. E, in fondo, questo vecchietto tranquillo, trascurato ma aristocratico, era un'anima seria e sincera di rivoluzionario e la sua filosofia una rivoluzione in atto; e meditare era per lui un dovere, un dovere di lotta diuturna ed eroica, contro l'acquisito l'istintivo il passato.

Il reale, indissolubilmente annodato alla coscienza e fluttuante in una quasi inconsistente funzionalità di contingenza perfetta, reca in sé, nel suo cuore più chiuso, un dissidio insanabile: io tu noi, soggetti fenomenici e mortali, siamo chiamati — ma, anapoditticamente, s'intende, ma senza perché categorici e trascendenti — a sciogliere strenuamente ad ogni ora il tragico enimma, a sanare in ogni istante la sanguinante ferita del cosmo, a instaurare l'assoluta certezza nella coscienza, senza uscir dalla coscienza.

E quando il Maestro avanzava nel breve anfiteatro dell'aula, fuori dalla cattedra, dove s'era raccolto un momento serio e taciturno dritto ed astratto, e si piegava a ragionare, pensiero nudo, a convincere senza allettamenti di forma e di persuasione, senz'altra cura d'interessi che non fossero quelli duramente teoretici, col periodo d'una chiarezza cristallina e il nominalismo d'una logica tutta cesoie, l'anima del discepolo era necessitata a pensare. Sbalzata alle necessarie distanze per meglio vedere la vita, tornava alla vita con lo sbigottimento ed il brivido sacro della verità conquistata, tornava col senso eroico d' mondo da rifare tutto dalle fondamenta. Le ragioni del fenomenismo rampollavano dalla filosofia della metafisica, dalla critica d'ogni pensare istintivo, associazionistico; si prospettavano da lungi i problemi della pratica, che pure il Maestro non trattò, con vivo entro il problema dei problemi, l’epistematico, già dominato e risolto. Il pensiero empirico, particolare e concreto — ma: l'individuo è astrazione, insegnava già il Gentile dalla cattedra palermitana, l'individuo è il male — palpitava integro e vivo dei valori di verità.

I giovani non intendevano. Guardavano, a pena incuriositi, questo schivo filosofo tutto chiuso, che pareva un filosofo d'altri tempi ma era pur vibrante di modernità; ascoltavano, si, per la socratica vivacità e la bellezza spirituale, il Colozza; ma seguivano in folla il Gentile. Il Guastella non si stupiva, e forse ne avrebbe avuto ben d'onde; ma egli era fuori d' ogni scuola e di ogni setta e di ogni moda, era solo, era Lui, con la sua verità di vita per la vita. Pareva, si, pazientemente aspettare.

Talvolta, nelle lunghe marce notturne, i soldati stanchi s'addormentano, ma pur marciano e vanno e giungono freschi sul campo, pronti a dare battaglia; e cosi le idee. Verranno spiriti nuovi, meno impazienti e meno idolatri, forti a pensare e non solo a cianciare, seriamente innamorati della realtà e capaci di dominarla.

Il fenomenismo guastelliano avvia la speculazione verso una forma nuova d'empirismo, assolutamente diversa da tutte le specie storiche di esso, verso un empirismo nel quale l'esperienza, medesima non è posta senza una legittimazione critica, un empirismo a tipo logico, Laddove, tradizionalmente, è ogni esperienza e ogni fenomeno elevato dall'empirismo dignità di vero, qua, consapevolmente, solo il fenomeno logico è assunto per sé. Non all'esperienza in quanto tale è riconosciuto in prima istanza un valore assoluto e per se stante, ma sì invece a quella — dirò nel linguaggio concettualista. — che stia entro i limiti della logicità che la sostiene o che è riducibile a un'esperienza immediatamente vissuta come logica.

Qui, dunque, un presupposto è assunto, benché anapoditticamente il quale può far parere questa critica in parte dommatica: il presupposto, cioè, che i valori logici fondamentali e immediatamente vissuti vanno rispettati.

Assai giustamente, perciò, l'Orestano ha fatto osservare che il pensiero del Guastella s'impernia a questo punto su una vera e propria opzione: si tratta d'una scelta che sarebbe assurdo voler dimostrare. Però, così com'è superfluo indugiare osservando che quest'assunzione non può correttamente esser detta dommatica, vale la pena d'intendersi subito sul carattere proprio di questa opzione. E’ da escludere, anzitutto, nel caso nostro ogni significato voluntaristico e pragmatista da questo termine la condizionalità di tale assunzione — onde questo imperativo logico si formula come ipotetico; se vuoi esser logico... — non permette che sia attribuita alt' atto di questa scelta, per se preso, o alle conseguenze di esso, alcun valore assoluto e architettonico. Poi, ed è questo un punto rilevantissimo, tale scelta verte non già su uno stato o contenuto dell'esperienza, ma su una forma funzionale di essa, su un valore, che bisogna guardarsi dal sostanzializzare. La logicità è niente, un puro flatus vocis, fuori del metodo nominalista che la realizza.

Col Guastella ci si avvia veramente verso nuovo empirismo.

Distinguiamolo, intanto, nettamente dal fenomenismo del Renouvier e da quello tedesco.

Anch'egli il filosofo della nuova monadologia dichiara che non vi ha conoscenza fuori della rappresentazione, la quale è ogni fatto cosciente. E la distinzione fra soggetto ed oggetto, rappresentativo e rappresentato, dovuta alla riflessione, non scinde in verità i due poli dello stesso fatto rappresentativo, il quale ha realtà solamente in quel contatto in cui “l’objet se subjective et le subjet s'objective”. L'io come sostanza, Il non-io come cosa in sé sono prodotti astrattivi: quello non è se non il rappresentativo con in più una rappresentazione, la cosa il rappresentato con in più una rappresentazione.

Però, poiché ogni termine sta in una relazione e questà presuppone due termini, parve al Renouvier che nulla potrebbe salvarci da un processo all'infinito se non un cominciamento assoluto, se non l'atto della potenza, elle è propriamente la cosa in sé del fenomeno. Così il filosofo del personalismo trapassava ad un monadismo, che è un vero e proprio panpsichismo.

E, in effetti, il panpsichismo afferma sì che la materia non esiste e che tutto si risolve in spiriti e fenomeni psichici, ma lascia a questi oggetti rappresentati e rappresentativi) una realtà indipendente dal soggetto conoscente, un essere per sé. Sorto dalla consapevolezza delle difficoltà ed impossibilità del realismo Spontaneo e di quello dei filosofi, il panpsichismo permea tutta la filosofia moderna con Leibuitz, Schopenhauer, Maine de Biran, Rosmini, con lo stesso Gioberti, con Wundt, Clifford, Taine; ma esso non può esser confuso e identificato col fenomenismo, nella forma che a questo ha impresso originalmente il Guastella. Nel panpsichismo è un'assimilazione antropomorfica di tutti i fenomeni a quelli di cui solo abbiamo esperienza: i cangiamenti del mondo fisico rivelerebbero un'attività psichica che sarebbe la causa, ed il corpo sarebbe l'apparenza di quella realtà.

E’ quindi, nella nozione di causa che si fa limpida la differenza profonda tra i due sistemi. Il primo si origina e svolge sotto il fascino di un concetto precritico che assimila tutti i rapporti causativi a un tipo di quelli che ci sono familiari, laddove il fenomenismo italiano procede da un'analisi che denuncia in pari tratto nei due concetti di causa efficiente e di sostanza un'indebita estensione di esigenze puramente subiettive.

Torniamo, così, all'aspetto gnoseologico di questa filosofia, che risulta una “critica” nel significato Kantiano e, ancor più ampiamente del criticismo, una vera e compiuta teoria dell'errore. Essa segna la delimitazione precisa del valore epistematico del criterio dell'evidenza intrinseca.

Invero, la nozione di causalità efficiente, come di un rapporto necessario fra causa ed effetto, come di un nesso che esplichi il modo essenziale di produzione dei fenomeni e realizzi una risposta al vergiliano foelix qui rerum potuit cognoscere causas, questa nozione si fonda esclusivamente sull'esigenze dell'evidenza intrinseca. A punto, per ciò la ricerca aitiologica sta al centro di ogni gnoseologia; e tutta può dirsi la critica dell'empirismo fenomenista si assolve nella dimostrazione dellinconsistenza logica del concetto di causa efficiente. Questa critica è, pertanto, una prosecuzione delle analisi di Hurne e di. Mill, una integrale presa di coscienza dei motivi positivistici presupposti da Comte.

È nel positivismo francese — il quale, com'è risaputo, s'interdice finanche la parola “causa” e non parla che di leggi di successione — che conviene ricercare i primi accenni della rivolta contemporanea contro codesto concetto; e la rivolta giunge all'eliminazione di esso con l’empirocriticismo dell’Avenarius e del Mach e agli estremismi di Kleinpeter e Petzold. Questi, per attingere la pura esperienza, si disfanno anche di ogni forma mentale, pur se immediatamente data dal senso interno.

Ma l'empirismo fenomenista italiano non fa sue le parole di Mach che “il concetto di causa trapassa attraverso sciocche forme nel concetto di funzione”, e non può accettare l'idea prammatista che questo ultimo serva abbastanza bene così nel campo della fisica come in quello della biologia e possa perciò rispondere a tutte le esigenze dello spirito. Si può dubitare, dei resto, che anche la nuova fisica formale o analitica, quale si sviluppa da Eulero a Lagrangia, sia dovuta solo e davvero al concetto di funzione.

Si può seriamente dubitare che per lo sviluppo dei principi della statica fosse, non arbitrario soggettivismo, ma risultato d'esperienza e necessità d'esplicazione scientifica una concezione ilozoista, che rappresentasse il punto di convergenza della statica e della dinamica. Il Mach ritiene legittima “l'abitudine di rappresentare ogni circostanza determinata del movimento come analoga ad un atto di volontà, come una pressione”. Diventano intellegibili allora gli attributi della forza: direzione, punto di applicazione, intensità. Invano si è tentato di non accettare questa concezione come soggettiva, animistica e non scientifica; ma non ci può servire sicuramente a far violenza al modo naturale di pensare, che ci è proprio ed a condannarci co=i ad una volontaria povertà intellettuale”.

A noi importa rilevare che con tal metodo il Mach finisce con l'assegnare alle concezioni metafisiche un valore, che non è solo quello di utilità pratica. Parlando della soluzione darwiniana del finalismo biologico, egli dice che “tutte le condizioni esterne rimarranno impotenti, se non vi sarà qualche cosa in loro presenza che vuole adattarvisi”; e riconosce “una base sana” a tutti gli impulsi istintivi su cui si fondano le idee mistiche, animiche, magiche, ecc.. In breve la metafisica, nel senso che l'empirismo dà a questo termine, è considerala dal Mach come strettamente essenziale allo sviluppo del pensiero scientifico, che, d'altra parte, relativisticamente, non si presenta con la pretesa di essere una spiegazione compiuta del mondo, ma con la coscienza di lavorare per una concezione futura dell'universo.

Analogamente, un altro punto segna una differenza radicale fra la nostra critica e l'empiriocriticismo tedesco. Mach e Avenarius concordano nella veduta economica e biologica della scienza. La distinzione tra causa ed effetto, opina il primo, è il risultato di abitudini istintive determinate da fini pratici. I bisogni biologici ci han fatto naturalmente notare dapprima le relazioni più semplici, immediatamente accessibili ai sensi; solo più tardi riusciamo a cogliere di proposito relazioni più complesse e generali, per un'astrazione dalle circostanze che non ci interessano. Perciò, “ogni scienza— scrive egli nella meccanica — mira a sostituire e risparmiare le esperienze per meno della loro copia e della figurazione dei falli nel pensiero”. E l'Avenarius pensava di già che, pur nella funzione teoretica più alta, noi obbediamo al principio economico del minimo sforzo: anche l'esigenza del principio di non-contraddizione ha il valore di un risparmio vitale.

Ma il pensatore siciliano mantiene alla nozione di causa l'elemento sperimentale del tempo e la dice, con Mill e Bain, rapporto invariabile ed incondizionale di sequenza; fonda la critica dei principi su un rigoroso nominalismo; muove da postulati gnoseologici che assume quali dati epistematici, come irrefragabili attestazioni del senso interno. La lineazione della sua critica è puramente logica, non si disvia dietro al fascino di affermazioni del valor di vita, le quali non possono, almeno inizialmente, che essere assunzioni dommatiche.

Il Mach, invece, non potrebbe ridurre la nozione di causa a quella di funzione se non ammettesse il valor logico del concettualismo, quale metodo del pensare. Il concetto, egli dice in Conoscenza ed errore, non risponde a un contenuto rappresentativo intuitivo concreto attuale che ne esaurisca completamente il senso, non è la copia globale dei fenomeni, ma non può riguardarsi neanche come un flatus vocis. Se i caratteri comuni degli oggetti che si sussumono al concetto non sono effettivamente intuiti, «col sentimento della possibilità di riprodurli, l'intuizione potenziale- deve qui sostituire l'intuizione attuale.» E non occorre che io dimostri ora che è solo della logica dei possibili negare l'irreversibilità temporale, ridurre a una simultaneità funzionale la causa.

Da canto suo l'Avenarius aveva scritto che il carattere concettuale risulta e ha valore dall'aggiunta del carattere della nega, determinazione psicologica familiare, al carattere della tautote, identità di opponibilità. Cosi una rappresentazione diviene multiponibile a innumerevoli azioni esterne.

Naturalmente, in questo biologismo pseudo nominalista, l'errore è anch'esso un'assunzione dommatica Esso ha, si, le stesse sorgenti della verità — entrambi tentativi di adattamento alle condizioni vitali — ma l'errore è un adattamento non riuscito, una reazione sfavorevole. Non vi ha un'opposizione tra rappresentazione e volontà; tutti i fenomeni della vita individuale sono reazioni che si effettuano per conservarne l'esistenza. L'attenzione è diretta verso ciò che è biologicamente utile, ma può prodursi un incontro fortuito d'avvenimenti sfavorevoli e, quindi, d'associazioni erronee.

La verificazione, come successo, volge inconsapevolmente questo fenomenismo tedesco verso un ingenuo realismo. E solo per tal realismo si può capire che vi siano errori che riescano utili.

Invece — ed è questo altro punto differenziale notevolissimo — l'empirismo guastelliano nega ai motivi pratici per se presi un qualsiasi valore di verità, non vede nelle associazioni istintive ed abitudinarie della niente che delle possibili fonti di errori. L'assimilare tutti i fenomeni a quelli che ci sono più familiari è, in fondo, un interesse pratico di conservazione e di vita senza nessuna garanzia di verità. La vita non può procedere verso l’ignoto ed il nuovo se non si lega stabilmente al passato: essa è sviluppo e continuità, è per tre quarti conservazione dell'acquisito così nei processi biologici come in quelli psichici, che più intimamente interessano il problema gnoseologico.

Pel Guastella la mente nostra è tutta solcata da queste incrinature istintive, deformata dai vacui centri appercettivi che simulano perfettamente i valori logici del vero. Come ognun sa, questo è per altro un vecchio motivo dell'empirismo: si tratta degli idola baconiani, dei sofismi apriori di Mill. Il Guastella mostra in essi un vero e proprio sistema, organico e compiuto, funzionante con la meccanica precisione di un istinto. La causa ultima ne è la legge d'associazione psicologica, l'assimilazione irresistibile d' ogni nuovo fenomeno a quelli più familiari. Quindi per tutto il campo d' applicazione di quella legge s'estendono i semi di una sorta di errore non individuale, ma generale ed umano. Da tali semi fecondi e insopprimibili di errore si genera la kantiana apparenza dialettica della mente, si sviluppa e dispiega con meravigliosi fascini di costruzioni allettatrici la “metafisica” spontanea e riflessa dell'umanità.

La metafisica non è qui concepita, come da Comte, quale stadio evolutivo superato o da superare, bensì come una realtà ed un fatto immanente alla funzione stessa del pensare. Non si tratta più, come già per Kant, di un edificio da costruire, di una parte della scienza da fondare, ma anzi da abbattere — che il terreno, sotto, è veramente tutto solcato da topaie. Tutta questa logica dell'apparenza, nelle sue molteplici e difformi varietà, s'incentra, come in suo nucleo essenziale, né sarebbe difficile dirne il perché, nei due concetti spontanei di sostanza e di causa. La critica gnoseologica dell'empirismo, per giungere alle affermazioni fenomeniste che importano un rigetto di quelle due nozioni, è chiaro che debba essere necessariamente una valutazione generale e compiuta di quei concetti, una i filosofia della metafisica che investa e analizzi le due nozioni di causa e di sostanza.

Io non so come il Vallati, ingegno così agile e fine nel comprendere il pensiero altrui, si sia arrestato a una tanto netta incomprensione del pensiero del Guastella, allorché, recensendo il secondo dei saggi sulla teoria della conoscenza, scriveva che sarebbe stato più esattamente descritto il contenuto di questi volumi cambiando il loro sottotitolo in quello di “psicologia della metafisica”. Che nella filosofia della metafisica sia implicita una psicologia di questa, può darsi; chi vorrà vedervi questo soltanto conviene che si contenti di non comprenderla affatto.

Non basterebbe, invero, mostrare il meccanismo di produzione dei concetti metafisici, seguirne le determinazioni effettuali, descriverne i processi psicologici; è necessario ancora dimostrarne la insufficienza e incongruenza logica, affrontarne il problema del valore. Ma dovrebbe essere chiaro anche come esso è nettamente affrontato e risolto allorché di quei concetti si mostri il carattere solo associativo e psicologico. Per la riflessione teoretica quel problema è del tutto delimitato e presegnato dalla funzione logica stessa: si tratta soltanto di pervenire a un apprezzamento positivo della natura e dei compiti della certezza scientifica. Il valore della scienza stessa è qui ancor sottinteso e sottaciuto legittimamente: io convengo che il problema più generale e comprensivo del fenomenismo axiologico rimane tuttavia aperto.

Perciò, nelle Ragioni del fenomenismo, il Guastella procede alla critica della cosa in sé dall' esame del realismo istintivo e delle basi di quello filosofico dimostrando le insolubili contraddizioni in cui si avvolgono tutte le forme di esso e rielabora, con genialità di vedute, il problema schiettamente axiologico delle antinomie, mostrando nell' unica possibile soluzione di esse la vera base e necessità logica del fenomenismo. Tale esame ci porta ai margini estremi dell'obiettività del reale, a una demarcazione da tutte le indebite realizzazioni del possibile e a un apprezzamento epistematico del valore della scienza; ma tutto ciò presuppone i risultati critici ottenuti dall'esame dei sistemi metafisici. Così, ancora, nella Filosofia della metafisica, il metodo della critica delle cause efficienti — che a questo solo concetto quell'opera è intesa si poteva enunciare in tal modo: una successiva riduzione di tutti gli elementi e motivi che ispirano e sorreggono le costruzioni positive della speculazione umana ad alcune poche classi o tipi e la deduzione del loro valore di credibilità da quello del criterio dell'evidenza intrinseca, assunto e mantenuto in mancanza o anche contro prove induttive.

L'empirismo fenomenista, possiamo dire già fin da ora non è, pertanto, la supina acquiescienza all'esperienza come tale; ma, tutt'altrimenti, un titanico sforzo di purificazione di essa, una lotta diuturna per ridurre nelle forme valide della razionalità il fiotto del reale, senza dipartirsi da esso; è, storicamente, una rielaborazione integrale e nuova della filosofia' dell'esperienza, quale per tradizione si è abituati a considerare. Questa critica realizza il programma milliano che fa della filosofia una lotta contro l'abitudine, senza tuttavia concludersi, come nel filosofo inglese, in una concezione individualista della vita. Che l'individualismo è anch'esso, in quanto dottrina, ' una produzione metafisica, è mera natura, laddove la riflessione empiristica è compito, sì, d'un soggetto individuale e concreto ma nella luce d'una legge e di un valore e attinge un'oggettività epistematica necessariamente sociale.

Ma, tralasciando per ora tutto ciò, gioverà fermare in una veduta d'insieme rapida ed essenziale i risultati più cospicui della Filosofia della Metafisica. Essa è, nella sua dimostrazione negativa, l'indispensabile presupposto epistematico dell'empirismo fenomenista ed è impossibile pertanto prescinderne in una valutazione seria di questo.

Si può convenire che delle riserve siano lecite circa la riduzione di tutto il problema filosofico a quello solo dell'esplicazione causale; convenire che in quest'opera la impostazione dei sistemi è fatta, da un angolo visuale particolarissimo — a punto la nozione di causa “efficiente” — così che scarsamente vi figura la loro vita più varia e personale; e convenire in pari tratto che la elaborazione di quei sistemi, o meglio di quei sistemi-tipo, reca invece le più visibili impronte della personalità dello scrittore. Ma che per ciò? Se non si dimentica il punto di partenza guastelliano, è impossibile negare, non dico il valore probante di questa critica — in quanto il problema della causalità si ritrova vivo e presente in ogni questione filosofica — ma la grandissima portata di essa, tanto per la precisa determinazione dei moltissimi e di solito vaghissimi concetti speculativi, quanto per la deduzione felicissima dei vari problemi dalle immediate e spontanee assunzioni della mente, insieme al loro deformarsi “metafisico”.

Da questa critica sorge tutta mia nuova ed insospettata storia della filosofia, non dialettica ma neanche episodica; non giustificata dal temperamento del filosofo né solo dalla tradizione culturale d'un paese; sono nettamente circoscritti i limiti e il pregio del genio e dell'invenzione speculativa. Conviene guardarsi, del resto — osservava il Guastella — dal prendere alla lettera le dichiarazioni dei filosofi intorno al significato è soprattutto all'origine dei loro sistemi. Accade “spesso che un metafisico, non avendo chiaramente coscienza dei motivi reali della sua convinzione, dà come prove uniche delle sue ipotesi dei sofismi artificiali, che evidentemente non possono sembrare probanti che a chi è disposto già, per altre ragioni, ad ammettere la verità della tesi che si tratta di provare”, cioè a dire, disposto per l'azione dei sofismi naturali o apriori.

Per il Guastella la mente umana risponde alle esigenze esplicative del reale, alla domanda del perché degli accadimenti e delle cose in due modi radicalmente diversi: o con la determinazione riflessa e piena mente consapevole dei rapporti invariabili di coesistenza e sequenza, ed è questa l’opera lenta e faticosa è per lo più ripugnante della scienza, o con “l'assimilazione spontanea e irresistibile e pertanto soddisfacente dei fatti o dei rapporti tra fatti a quei fatti o a quei rapporti fra essi che le sono più familiari”: è la metafisica, e cotale assimilazione è sufficiente e necessaria per darcene una definizione. La quale, oltre i particolari pregi di precisione logica, dà modo di concepire la meta fisica in un senso più ampio di Kant e meno vago di quello dei positivisti, ne coglie il carattere logico e il rapporto col processo psicologico onde si origina.

Si tratta, in fondo, di due modi eterogenei del pensare, che laddove il processo comune dei due modi — il riferimento, cioè, dell'ignoto al noto — obbedisce nel primo caso a regole e norme d'indole logica, nel secondo esse han carattere solo psicologico e il processo è determinato necessariamente dai limiti e dalle accidentalità dell'esperienza più familiare. Una nota di subiettività è, dunque, alla radice della spiegazione metafisica e l'ispira e l'accompagna in ogni sua forma e in tutti i suoi sviluppi. Fermiamoci a questi.

Nel problema delle cause l’esplicazione metafisica ha naturalmente due grandi modi di realizzarsi: l'assimilazione di fatti a fatti familiari e l'assimilazione, come dicemmo, di rapporti tra fatti a rapporti familiari tra fatti. Si danno, quindi, due grandi tipi di metafisica.

Le cause efficienti o metafisiche, nel primo spontaneo tipo, risultano dall'assimilazione alla causalità umana (antropomorfismo) oppure al movimento meccanico trasmesso per l'urto (filosofia impulsionista) che sono in effetti i due tipi più familiari di causazione.

Ma, nel primo, bisogna distinguere ancora: citò l'assimilazione può essere fatta o alla volontà, quale spontaneamente viene concepita, e avremo una metafisica volizionale, oppure all’attività logica e si avrà l'idealismo, in quanto spiegazione metafisica. Della metafisica volizionale il Guastella presenta quattro classi: la filosofia teologica, l'animismo, l'ilozoismo, il panpsichismo.

Il passaggio al secondo grande tipo di metafisica, nel quale l'assimilazione è non da fatti a fatti familiari ma di rapporti tra fatti a quelli che per la loro familiarità paiono più intelligibili e più idonei a spiegare, i nessi causali, è contrassegnato da una scepsi circa i risultati ottenuti col primo spontaneo tipo di spiegazione. Quelle assimilazioni non soddisfano gli istinti metafisici, pare con esse di non aver colto l'intimo perché delle cose, che vien dichiarato allora inconoscibile. Le filosofie dell'inconoscibile costituiscono così una classe a sé.

Ora, poiché nel secondo tipo noi eleviamo a modello esplicativo non le connessioni stesse tra fenomeni familiari ma la forma che è loro propria quali oggetti della conoscenza, cioè la necessità e l’evidenza intrinseca — che pare consentano una conoscenza apriori del reale — la forma più importante del tipo può esser detta filosofia apriorista, e una sua varietà, che assume per altro e ben presto una fisonomia a sé, è quella che il Guastella chiama realismo dialettico. In esso l'assimilazione del rapporto tra il principio e la conseguenza a quello tra la causa (efficiente) e l'effetto — apriorismo — vien pensata e realizzata mercé l’obbiettivazione dei concetti astratti e l'incatenamento logico continuo fra questi concetti obiettivati, come in Platone ed in Hegel.

La forma più umile della filosofia teologica è data dall'animismo primitivo, nel senso del Tylor, ma considerando in esso non l'ipotesi biologica bensì la spiegazione antropomorfistica in generale, dell'anima come sostanza, separata dai corpi organici e forza motrice. Da questa forma il genio di Aristotele assurse all'argomento della causa prima, che ha per conseguenza l'idea dell'immutabilità assoluta di Dio: la filosofia teologica entra così in una fase più trascendente. Il Dio d'Aristotele è l’anima cosmica, forza motrice della materia: mens agitat molem. Nella filosofia teologica moderna la funzione di Dio come principio motore passa in seconda linea acquistando un'importanza senza fine maggiore il principio delle cause finali. E’ la terza e più compiuta forma di questa filosofia. Dopo la costituzione delta meccanica non poteva essere questione più della dottrina aristotelica del primo motore: nella teoria impulsionista si vedeva la prova più evidente che la materia non può muoversi da sé e che il moto deve venirle ab extrinseco. Del resto il punto di vista teologico e il teleologico sono naturalmente ed intimamente legati fra loro gli spiriti intelligenti agiscono normalmente con disegno e per uno scopo.

Le applicazioni filosofiche più importanti della spiegazione teleologica, per quella che lo Janet chiamò finalità d'uso o d'appropriazione, si riferiscono per la finalità interna all'adeguazione dell'organo alla sua funzione e alla cooperazione funzionale degli organi oppure agli istinti degli animali, e per l'esterna, all'antropocentrismo. Questo è uno sviluppo naturale e logico dell'antropomorfismo. La finalità di piano (Janet) è per se stessa suscettibile come spiegazione d'una estensione più grande che la finalità d'uso — il cui valore esplicativo pare limitato ai fenomeni della vita e dell'organizzazione — e, facendo cadere le barriere tra il contingente e il necessario, tra il dominio delle cause finali e quello del meccanismo, si estende a tutte le leggi della natura in generale, alle leggi stesso della meccanica. L' ultima applicazione della spiegazione teleologica è la dottrina che il mondo reale è il migliore dei inondi possibili.

Il processo induttivo di assimilazione delle cause dei fenomeni e del loro modo di azione all'attività umana, il quale è alla base della filosofia teologica, è in certa guisa dissimulato da un processo contrario, di disantropomorfizzazione successiva della divinità: si dà cioè un crescente differenziarsi tra il sovrannaturale e il naturale, e una soppressione sempre più accurata dal concetto di Dio degli attributi dell'uomo ritenuti imperfezioni. Nella fase ultima di questa sua evoluzione — fase che con Kant possiamo chiamare della teologia trascendentale — Dio è concepito esente dal cangiamento e dalla successione, è concepito come assoluto ed infinito. Qui, nella sua pienezza, è sviluppalo il tratto caratteristico dei concetti metafisici, la loro assoluta irrappre [...]