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La pluralità dei mondi abitati o semplicemente pluralità dei mondi è l'idea che al di fuori della Terra possano esistere numerosi altri mondi - come altri pianeti o altri universi - che ospitano la vita e in particolare esseri intelligenti. Il dibattito filosofico sulla pluralità dei mondi alimenta una speculazione che data almeno dai tempi di Talete (circa 600 a.C) e che è continuata nel tempo, in forme molteplici, largamente influenzata dalle idee scientifiche di ciascun epoca, fino all'epoca moderna e contemporanea.L'astronomo francese Camille Flammarion fu uno dei principali sostenitori della pluralità durante la seconda metà del XIX secolo. Il suo primo libro, La pluralità dei mondi abitati (1862), fu un grande successo popolare, con 33 edizioni nei vent'anni successivi alla sua prima pubblicazione. Flammarion fu tra i primi a proporre l'idea che gli esseri extraterrestri fossero davvero alieni, e non semplicemente variazioni delle creature terrestri.
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CAMILLE FLAMMARION
LA PLURALITA' DEI MONDI ABITATI
Prima edizione digitale 2016 cura di Anna Ruggieri
INDICE
INTRODUZIONE
LIBRO PRIMO - Studio storico
LIBRO SECONDO - I Mondi planetari
LIBRO TERZO - Fisiologia degli esseri
LIBRO QUARTO - I Cieli
LIBRO QUINTO - L'Umanità nell'Universo
INTRODUZIONE
Ne basta osservare con attenzione lo stato attuale delle menti per accorgerci che l’uomo ha perduta la fede e, la sicurezza de' passati giorni, che il tempo nostro è epoca di lotte, e che la umanità inquieta è in attesa di una filosofia religiosa, nella quale possa riporre le proprie speranze. Fu un tempo in cui l'umanità pensante si teneva soddisfatta da credenze che ne accontentavano le aspirazioni; oggi non la è più così; i venti critici soffiati or dianzi le hanno disseccate le labbra, l'hanno svezzata dalle fonti vive della fede, ove essa bagnava a quando a quando le labbra riarse, ove si ritemprava nei giorni d'accasciamento. Le fu tolto successivamente quanto costituiva la sua forza ed il suo sostegno; che le fu accordato invece? il vuoto tetro, imperscrutabile, nelle cui tenebre si muovono gli esseri informi creati dal dubbio — il vuoto dell'abisso, dove financo la ragione perde la vantata forza, in cui essa si sente presa da vertigine e cade, svenuta, nelle braccia della Scetticismo.
Opera di distruzione! Quest'anno un secolo, che facevate voi, moderni filosofi? Rousseau, scrivendo l'Emilio l avvertiva i primi rumori della prossima rivoluzione; d'Alembert cancellava la parola credenza dal dizionario! Diderot parodiava la società col suo amico il Nipote di Rameau; Voltaire (chiedo venia per l’espressione) batteva sulla spalla di Gesù nel dargli congedo; gli abati cardinali rimavano per le loro ganze fioriti madrigali; il re si occupava di ricami d'alcova..,. Ecco gli uomini che guidavano il mondo. Dopo di noi, dicevano, nasca quello che sa nascere. Venne infatti il diluvio di sangue che inghiottì il mondo de' nostri padri; ma nel cielo non abbiamo peranco veduto la colomba ritornare portando nel becco il verde ramoscello di un mondo rinascente.
Il passato è morto; la filosofia dell'avvenire non è nata, è tuttavia ravvolta nel laboriosa disordine del procreamento. L'anima del mondo moderno è divisa e in contraddizione perpetua con se stessa. Riflessione grave; la scienza, la possente divinità del giorno, che tiene ferme le redini del progresso; la scienza, diciamo, non 'è mai stata sì poco filosofica, così isolata come oggi. Qui presenti, alla testa della scienza, abbiamo uomini che non credono in Dio e, con tale sistema, eliminano la prima delle verità. Ne abbiamo altri, la cui autorità non è minore, che non credono nell'anima, né conoscono nulla all’infuori del lavorio delle chimiche combinazioni. Ecco una pleiade la quale proclama apertamente la questione dell'immortalità, una questione puerile, buona al più per gli ozi degli scioperati. Eccone un'altra, la quale non vede in tutto l’universo se non due elementi: la forza e la materia; i principi universali del vero e del bene sono lettere morte per lei. Questi rappresenta le nostre individualità umane come altrettante piccole molecole nervose dell'essere umanità; quegli ne parla di una immortalità facoltativa. Intanto abbiamo dottori cattolici che restano isolati nel loro statu quo di cinque secoli fa, ripudiano sdegnosamente la scienza e seriamente ne assicurano non aver nulla da temere la fede cristiana!
Cosa doveva risultare dai diversi e confusi movimenti che si ripetono in ogni senso di sotto la società, e che da mezzo secolo agitano il mondo come una fluttuazione irregolare? Il risultato l’abbiamo sott' occhio: oggi tentenna ciascuno nel dubbio, in attesa della tranquillità ancora di là da venire, ognuno va ricercando, qualche salda roccia, solidi punti d'appoggio cui affidare la bersagliata nave.
Senonchè, da alcuni anni specialmente, osserviamo un movimento filosofico, sulla natura del quale nessuno piglierà abbaglio. Molte teste elette, curvate e stancate da tal filosofismo diniegatore, si sono rialzate, piene delle latenti aspirazioni che vi stavano sepolte, ed il culto dell’idea conta nuovi e fervidi adoratori. Le agitazioni politiche, le eventualità finanziarie e l'indifferenza del maggior numero degli uomini per le quistioni estranee al viver materiale non hanno assopito la mente umana al segno da impedirle di pensar a quando a quando alla propria ragione d'essere ed al proprio destino; i soldati del pensiero si risvegliano da ogni banda all’appello di alcune parole cadute da bocche eloquenti, e si collegano in gruppi diversi sotto lo stendardo dell'Idea moderna.
Egli è che l’uomo, progressivo per natura, non vuol punto restarsene stazionario, ed ancor meno discendere; egli è che il progresso al quale lo portano le intime tendenze non è una idealità perduta in un mondo metafisico inaccessibile alle investigazioni umane, sebbene una raggiante stella che al fuoco centrale attira le menti ansiose del vero ed assetate di scienza.
Egli è che l’umanità non è tuttora giunta all'era luminosa cui aspira, che son d'uopo secoli di lenta preparazione e di penoso lavoro per arrivar a conoscere il vero, che non v'ha giorno senza aurora, e che se l'epoca attuale risplende su quelle che l'hanno preceduta, mercé le grandi scoperte, è perché effettivamente essa è nunzia del giorno.
Salve a tal rinnovazione della mente! Le appartengono tutte le veglie e gli sforzi nostri. Possa non essere più soltanto una inevitabile oscillazione del moto intellettuabile, e segnalare infine l'avvenimento dell’uomo nella via reale del progresso. Possa la filosofia non essere più ristretta in un cerchio di sette e di sistemi, ed unirsi finalmente alla Scienza di lei sorella: dalla loro feconda unione attende l'umanità la nuova fede e la futura grandezza.
Forse, chi legge queste linee chiederà qual rapporto esista fra la Pluralità dei Mondi e la filosofia religiosa; forse farà le meraviglie di vederci entrare con tanta gravità in un argomento del quale avremmo potuto presentare innanzi tutto il lato pittoresco e curioso.
E, infatti, pare importi pochissimo alla filosofia che Giove sia ricco di una lussureggiante natura e popolato di esseri ragionevoli, e che tutte le stelle scintillanti sul nostro capo durante la profonda notte siano il centro di altrettante famiglie planetarie.
Coloro che la pensano così — e sappiamo formar eglino la maggioranza, per non dire la totalità dei lettori — dovranno risolversi a cambiar di opinione, ed a ritenere che la Pluralità dei Mondi è dottrina in uno scientifica, filosofica e religiosa della maggior importanza.
Questo libro fu scritto per dimostrare tale verità, ed al tempo stesso, se pure è possibile, per renderla feconda.
Per giudicare sanamente, si vuole considerare il tutto, non la parte. Fu già notato come le idee accolte sull’uomo e sui suoi destini siano improntate di troppa esclusiva parzialità terrestre. Già furono scritte pagine ammirabili sotto l'impressione di una universalità di umanità che non sappiamo spiegare a noi stessi, mentre tuttavia essa ne circonda da ogni parte nella vasta estensione! I psicologi si sono rivolti la domanda se l’anima nostra non potrebbe un giorno andar ad abitare altri mondi, e se allora la vita eterna, spogliandosi dal terribile aspetto sotto cui fu rappresentata finora, potesse e quindi dovesse essere accolta da tale istante fra gli argomenti di studio; i naturali. sti hanno tentato di sciogliere l’enimma della creazione ed il mistero delle cagioni finali, elevandosi a quegli astri lontani, che sembrano altre terre, come la nostra date quale appannaggio a nazioni umane; i curiosi — e chi non lo è? — hanno interrogato l'orizzonte, tentando di indovinare quali razze possibili di esseri possano aver piantato le tende lassù; ognuno però dubitava sempre della realtà dell’esistenza su quei mondi e ricadeva tosto nel tenebroso abisso delle semplici congetture.
La certezza filosofica della Pluralità dei Mondi non esiste ancora, perché, dietro l’esame dei fatti astronomici che la dimostrano, la detta verità non fu stabilita; e negli ultimi tempi si son veduti scrittori di vaglia alzare impunemente le spalle all'udir parlare delle terre del cielo, senza che si sia potuto rispondere coi fatti e dimostrare la vacuità dei loro ragionamenti.
Sebbene la questione paia a certuni di alta importanza filosofica, ma circondata da misteri impenetrabili, sebbene per altri essa non sia fuorché un capriccio di curiosità attinente alla vana ricerca del grande ignoto, noi l’abbiamo ognora considerata altro dei temi fondamentali di filosofia, e dal giorno in cui, spinti dalla profonda convinzione che viveva in noi anteriormente a qualsiasi studio scientifico, abbiamo voluto approfondirla, discuterla, e provarci a farne una dimostrazione esterna, abbiam visto che, lungi dall'essere inaccessibile alle ricerche della mente umana, essa le brillava dinanzi in una luce limpidissima. In breve divenne per noi evidente costituire questa dottrina la consacrazione immediata della scienza astronomica, la filosofia dell'universo, che vita e verità, vi risplendevano, e che la grandezza della creazione e la maestà del suo Autore non risultavano in nessun luogo con tanta luce quanto in questa lata interpretazione dell’opera della natura. E però, in essa riconoscendo un elemento del progresso intellettuale, al suo studio abbiamo dedicato le forze nostre e ci siamo proposti di stabilirlo con solidi argomenti, contro i quali non prevalgono né le diffidenze del dubbio né le armi della negazione.
Abbiamo pensato che, in uno studio obbiettivo del genere di questo, dovevamo lasciarci guidare dallo spirito del metodo, sperimentale, fondandoci sulla osservazione, e ci siam messi all'opera. Tutti lavorano al grande edificio, riconosciuto che sia il piano dell'architetto, alla, molteplicità non meno che al vigore degli operai si deve ascrivere il progredimento e la costruzione. Perciò appunto noi pure, sconosciuti affatto nel mondo dei pensatori, ci siamo permessi di portare la modesta pietra che ci fa dato raccogliere sulla nostra via; non già che ci reputiamo menomamente necessari fra i lavoratori, ma solo perché avendoci addetti la nostra carriera allo studio pratico dell'astronomia, tanto all’Osservatorio quanto all’Ufficio delle Longitudini, abbiamo potuto dare una base solida alla dottrina della Pluralità dei Mondi, sì a lungo relegata nel dominio delle questioni metafisiche e congetturali.
Aggiungiamo ora, per giustificare subito agli occhi del lettore la ragione d' essere della nostra pubblicazione, come indipendentemente dal-l’attualità che vi si annette, a motivo dei lavori recenti del pensiero umano, questo capitolo della filosofia naturale sia il lato vivente, a così dire, della scienza astronomica, la quale, a malgrado delle sue magnifiche scoperte, sarebbe di utilità minima pel progresso della mente, se non si sapesse considerarla sotto il rispetto filosofico, mentre in tale riguardo essa dee concorrere, come gli altri rami dello scibile, ad apprenderci ciò che noi siamo. Lo spettacolo dell'universo esterno è, infatti, la grande unità colla quale dobbiamo metterci in rapporto per conoscere il vero posto da noi occupato nella natura; e senza questa specie di studio comparativo, viviamo alla superficie di un mondo sconosciuto, ignorando dove siamo né chi siamo, relativamente al complesso delle cose create. Si, l’astronomia deve essere ormai la bussola della filosofia; essa deve camminare dinanzi a sé come un fanale illuminatore, rischiarando le vie del mondo. Troppo a lungo l'uomo è rimasto isolato nella sua valle, ignaro del passato, dell’avvenire, del proprio destino; troppo a lungo fu addormentato in una vaga illusione sul suo stato reale, in un giudizio falso e insensato sul creato immenso. Si risvegli oggi dal suo torpore secolare, contempli l’opera di Dio e ne riconosca lo splendore, dia orecchio all'insegnamento della natura e scompaia il suo isolamento immaginario per lasciargli vedere nella estensione dei cieli le umanità vaganti e succedentesi nei lontani spazi!
Qui stabiliremo la nostra dottrina su argomenti di più specie, ciò che dividerà il lavoro in parecchi punti fondamentali. In un primo studio le nostre considerazioni saranno aperte dalla esposizione storica della dottrina; da cui risulterà che gli uomini più eminenti di tutti i tempi, di tutti i paesi e di tutte le credenze furono partigiani della Pluralità dei Mondi; noi speriamo che tale stato di cose farà propendere la bilancia a favore della nostra tesi. Negli studi seguenti, l’astronomia e la fisiologia verranno a stabilire, ciascuna in quanto la concerne, che gli altri mondi planetari sono abitabili come la Terra, e che questa non ha ve-runa preminenza definita su di essi; lo spettacolo dell’universo ne farà poi conoscere come il mondo da noi abitato sia un atomo appena nella importanza relativa delle innumerevoli creazioni dello spazio; sapremo (per pigliare un esempio evidente) che la formica nelle nostre campagne avrebbe molto maggior fondamento di credere il suo formicaio il solo luogo abitato del globo che non ne abbiam noi di considerare lo spazio infinito un immenso deserto di cui la scena sarebbe la sola oasi, di cui l'uomo terrestre sarebbe l’unico ed eterno contemplatore. — Per ultimo, la filosofia morale verrà ad animare col suo soffio vitale queste ragioni fondate sull’insegnamento delle scienze, ed a mostrare quali rapporti colleghino la umanità, nostra L'colle umanità dello spazio. Essa fonderà ciò che noi crediamo di potere chiamare la Religione colla scienza.
Questo è il programma, troppo vasto forse, che si pose di per sé dinanzi a noi quando ci siamo lasciati dominare dai nostri studi di predilezione. Potessimo almeno averlo compreso e trattato in modo degno di un argomento si vasto e magnifico, e potessimo essere utili in qualcosa a coloro, che al pari di noi, ricercano la cognizione del vero nella scienza della natura!...
LIBRO PRIMO - Studio storico
- Dall'antichità fino all'evo medio.
Tutto questo universo visibile, diceva Lucrezio, duemila anni fa, non è unico nella natura e noi dobbiamo credere vi siano in altre regioni dello spazio, altre terre ed altri uomini. Nell'incominciare colle giudiziose parole dell'antico poeta della natura, considerazioni che non debbono avere per base fuorché i dati positivi della scienza moderna, abbiam meno l'intenzione di affidarci alla testimonianza dell'antichità per ristabilire la nostra dottrina, che di riassumere nella stessa epigrafe il consenso della maggior parte dei filosofi a questo riguardo. Non pertanto, prima di dimostrare coll'insegnamento dell'astronomia l'abitabilità reale e manifesta dei mondi planetari, riteniamo non inutile il tracciare in alcune pagine la storia della pluralità dei mondi, e mostrare in tal guisa che gli eroi del sapere e della filosofia si sono schierati con entusiasmo sotto il vessillo che, noi stiamo per difendere. Uno scienziato scrittore ha detto, precisamente sull'attuale argomento, che lo avere la propria origine nell'antichità non è una gran raccomandazione per una teoria qualsiasi, perché l’opinione opposta la potrebbe pretendere allo stesso vantaggio. Tale non è il nostro avviso, perocchè se è vero, come si vedrà, sia stata insegnata la nostra dottrina da quasi tutti i maggiori filosofi conosciuti, è poco probabile che questi stessi filosofi non sapendo cosa si dicessero, abbiano messo innanzi il pro ed il contro delle idee trasmesse alla posterità dai loro storiografi. Se alcuni autori antichi non si sono elevati a tale intuizione, son quelli i cui lavori non hanno avuto per scopo lo studio del cielo. C' è dunque ragione di sperare che nel riconoscere, come lungi dal contare soltanto rari campioni nelle età, questa causa abbia avuti per difensori geni eminenti nella storia delle scienze, si saprà non essere dovuta tale dottrina né allo spirito di sistema, né ad opinioni effimere di sette o di partiti, bensì essere innata nell'anima umana, mentre in tutte le età ed appresso a tutti i popoli lo studio della natura l'ha sviluppata nella mente degli uomini. Si potrà allora, senza tema di spender tempo in occupazione puerile, indegna dei lavori del pensiero, dedicarsi a grandiose contemplazioni, che mostreranno l'uomo relativamente alla natura intera, e faranno conoscere il vero grado occupato da lui nell’ordine delle cose create. È' questo lo scopo eminente delle nostre considerazioni sulla pluralità dei mondi.
Per conoscere l'origine di sì ammirabile dottrina e per sapere a qual mortale noi andiamo debitori di questo meraviglioso concepimento della umana intelligenza, né basterà trasportarci col pensiero alle splendide notti, nelle quali l'anima, sola colla natura medita, assorta e silenziosa, sotto la immensa cupola del cielo stellato. Mille astri perduti nelle regioni lontane dello spazio versano sulla terra una blanda luce, che indica il vero punto da noi occupato nell'universo; la idea misteriosa dell'infinito che ne circonda ci isola da qualunque agitazione terrestre e ci trasporta, a nostra insaputa, in quelle vaste contrade inaccessibili alla debolezza dei nostri sensi. Assorbiti da un vago fantasticare, contempliamo le perle scintillanti che tremolano nel malinconico azzurro, seguiamo le stelle passeggiere che solcano a quando a quando le pianure eteree, e, con essa allontanandoci nella immensità, erriamo da mondo a mondo nell'infinito dei cieli. Ma l’ammirazione che in noi eccitava la scena più commovente dello spettacolo della natura si trasforma ben presto in un sentimento di tristezza indefinibile, perché noi ci crediamo estranei a quei mondi dove regna una solitudine apparente, e che non possono far nascere l'impressione immediata per la quale la vita ne tiene congiunti alla Terra. Essi risvegliano un pensiero d'infinito, fonte di malinconia e d'insieme di puri godimenti dominano lassù come soggiorni che attendono in silenzio e compiono lontano da noi il ciclo della loro vita sconosciuta; attirano i nostri pensieri come un abisso, ma conservano la chiave del loro inscioglibile enigma. Contemplatori oscuri di un universo sì grande e misterioso, sentiamo in noi il bisogno di popolare quei globi in apparenza dimenticati dalla vita, e su quelle plaghe eternamente deserte e silenziose cerchiamo sguardi che rispondano ai nostri. Così un ardito navigatore esplorò a lungo in sogno i deserti dell'Oceano, cercando la terra ch'era-gli rivelata, varcando con i suoi sguardi d'aquila le più vaste distanze e cercando audacemente i confini del mondo conosciuto, per approdare infine alle immense pianure dove il Nuovo Mondo sedeva da periodi secolari. Il suo sogno si avverò. Si sciolga il nostro dal mistero che tuttora lo avvolge, e sulla nave del pensiero, noi saliremo al cielo per cercarvi altre terre.
La interna credenza che ci mostra nell’universo un vasto impero, ove la vita si sviluppa sotto le forme più svariate, ove migliaia di nazioni vivono simultaneamente nella vastità dei cieli, pare contemporanea allo stabilirsi dell'intelligenza umana sulla Terra. Essa è dovuta al primo pensatore, il quale, abbandonandosi colla buona fede d' un'anima semplice, studiosa alla dolce contemplazione dei cieli, meritò di comprendere sì eloquente spettacolo. Tutti i popoli, e nominatamente gli Indiani, i Cinesi e gli Arabi, hanno conservato fino ai giorni nostri tradizioni teogoniche ove si riconosce, fra i dogmi antichi, quello delle pluralità delle abitazioni umane nei mondi che brillano sulle nostre teste, e risalendo alle prime pagine degli annali storici dell'umanità si ritrova questa stessa idea, sia religiosa per la trasmigrazione delle anime, e pel loro stato futuro, sia semplicemente astronomica per l'abitabilità degli astri.
I più vecchi libri da noi posseduti, i Veda, genesi antica degl’Indù, professano la dottrina della pluralità dei soggiorni dell'anima umana negli astri, come succedente all’incarnazione terrestre; secondo le proprie espressioni di quei discorsi, dall'eco secolare dei tempi tanto difficilmente conservati, l'anima va in quel mondo cui appartengono le opere di lei. Il Sole, la Luna ed. altri astri sconosciuti sono preparati per l'abitazione e hanno dato luce e forme viventi incomprese da noi. Il Codice di Illank, i libri Zendi, i dogmi di Zoroastro, presentano l'universo sotto il medesimo aspetto. Ma in tali antiche filosofie torna difficile il far la parte della fisica e della metafisica, e non. dobbiamo qui menzionarle se non per memoria.
I Celto-Galli, nostri antenati, e segnatamente gli Edui, da certi nostri archeologi, forse troppo patrioti, considerati come il popolo primitivo del globo (abitanti dell'Eden), celebravano nelle invocazioni dei druidi a Teutatù e nei canti dei bardi a Beleno, l’infinito dello spazio, l'eternità della durata, l'abitazione della Luna e di altre regioni sconosciute, e la migrazione delle anime nel Sole e di là nelle dimore del Cielo. I druidi, che conoscevano la diminuzione dell'obliquità dell’eclittica e la lunghezza dell'anno molto prima degli Egiziani, le cui condizioni astronomiche potrebbero avere per origine l'emigrazione delle colonie celtiche, i druidi, che edificarono al culto dell'astronomia gli edifici simbolici dei quali oggi ritroviamo le ultime vestigia nelle pianure di Carnac, i druidi, diciamo, erano più avanzati nelle scienze fisiche e naturali che generalmente non lo si creda. Non sarebbe temerario l'attribuire alla Gallia parte delle idee sacre insegnate da Pitagora sul sistema del mondo; lo studio della cosmogonia dei druidi dimostra almeno in essi concetti che si accordano con quelli di cui questo savio fu più tardi il degno interprete. Le pallide vestigia rimasteci di quelle civiltà scomparse, svegliano in noi profondo rincrescimento. È un peccato (e insieme una gran perdita per la nostra storia di Francia) che uno fra i punti fondamentali della costituzione celtica sia stato, come riferisce Giulio Cesare, il non iscrivere alcuno de' loro lavori, alcuno de' fatti nazionali, né alcuna delle loro credenze. Sulla nostra dottrina in particolare, non sapremmo discernere nelle loro idee le religiose dalle astronomiche; quel medesimo avviene degli altri popoli la cui storia non poté scendere fino all'età nostra senza essere profondamente alterata.
Ora, per non attenerci fuorché alla dottrina della pluralità dei mondi, la sola da considerarsi in questo libro, ed all'antichità storica e classica, pure la sola che noi possiamo studiare con qualche fondamento di certezza, opineremo dapprima che l'Egitto, culla della filosofia asiatica, avesse insegnato ai suoi l’antica dottrina. Forse allora gli Egiziani l'estendevano solamente ai sette pianeti principali ed alla Luna, chiamata da essi una terra eterea; comunque sia, è notorio che professavano manifestamente siffatta credenza.
La maggior parte delle sette greche l’insegnarono o apertamente a tutti i discepoli senza distinzione, o in segreto agli iniziati della filosofia. Se le poesie attribuite ad Orfeo sono proprio sue, si può considerarlo il primo che abbia insegnata la pluralità dei mondi. Essa è implicitamente consacrata nei versi dove è detto che ogni stella è un mondo, e specialmente nelle parole conservate da Proclo; “Dio costruì una terra immensa che gl'immortali chiamano Selene e gli uomini chiamano Luna, nella quale si ergono in gran numero abitazioni, montagne, città, ecc.”.
I filosofi della più antica setta greca, della setta ionia, il cui istitutore Talete vedeva formate le stelle colla stessa sostanza della Terra, perpetuarono nel suo seno le idee della tradizione egiziana importate nella Grecia. Anassimandro e Anassimene, successori immediati del capo-scuola, insegnarono la pluralità dei mondi, dottrina sparsa più tardi da Empedocle, Aristarco, Leucippo ed altri. Come dappoi Epicuro, Origene e Cartesio, Anassimandro sosteneva, che di quando in quando i mondi eran distrutti e si riproducevano merci; nuove combinazioni degli stessi elementi. Ferecido di Siro, Diogene d'Apollonia ed Archelao di Mileto si schierarono come i precedenti nel numero dei seguaci della nostra dottrina; essi d' altronde pensavano che una Forza intelligente, immateriale, presiedesse alla composizione ed all'ordinamento dei corpi celesti. “Anche in quei remoti tempi, diceva il nostro sventurato Bailly, l'opinione della pluralità dei mondi fu adottata da tutti i filosofi che ebbero sufficiente ingegno da comprendere quanto essa sia grande e degna dell'Autore della natura. Anassagora insegnò l'abitabilità della Luna quale articolo di fede filosofica, asserendo racchiudere essa, come il nostro globo, acque, montagne e valli. Per esser lui gran partigiano del moto della Terra, è da notarsi chela sua opinione gli suscitò contro invidiosi fanatici, o che per aver asserito di ritenere il Sole più grande del Peloponneso, fu perseguitato e poco mancò non perdesse la vita; preludendo così alla condanna di Galileo, quasi che realmente la Verità dovesse restarsene in tutti i tempi fatalmente velata agli sguardi dei figli della Terra.
Il primo dei Greci che portò il nome di filosofo, Pitagora, insegnava in pubblico l’immobilità della Terra ed i movimenti degli astri intorno ad essa, mentre egli dichiarava ai suoi discepoli privilegiati la propria credenza nel moto della Terra come pianeta, e nella pluralità dei mondi. L’illustre autore della Lira celeste stabiliva che tutte le cose del mondo sono ordinate secondo le leggi regolatrici; la musica, preannunziando quasi l'Harmonice Mundi di Keplero, le leggi empiriche e le potenze seriali della matematica. Il suo maggior torto è d'aver considerata la musica convenzionale studiata quaggiù, in Grecia ed altrove, rappresentazione dell'armonia assoluta. Le combinazioni del suo ettacordo attribuiscono ai pianeti elementi arbitrari affatto, specialmente in quanto concerne la loro successione diatonica. Però alcune sue determinazioni si riscontrano vere: tale è la rivoluzione di Saturno, uguale a trenta volte quella della Terra, tale è pure il movimento biennale di marzo. I biografi del misterioso filosofo di Crotona, che si ricordava di essere stato figlio di Mercurio, poi Euforbo dell'assedio di Troia, poi Ermotimo, poi Pirro pescatore di Delo, non dicono se la sua dottrina della metempsicosi si applicasse alla pluralità dei soggiorni umani nei cieli; nondimeno lo studio dei Misteri tende a stabilire che essi insegnavano agl’iniziati il vero sistema e la pluralità dei mondi. Dopo Pitagora, Ipponace di Regio, Democrito, Eraclito e Metrodoro di Chio, i suoi discepoli più illustri, propagarono dalla cattedra l'opinione del loro maestro, che divenne pur quella di tutti i pitagorici e della maggioranza dei filosofi Greci. Ocello di Lucania, Timeo di Locri e Archita di Taranto condivisero la stessa credenza. Filolao e Niceta di Siracusa, che insegnavano nella scuola pitagorica il sistema del mondo ritrovato venti secoli più tardi da Copernico nel libro VII delle Questioni -naturali di Senaca, difesero eloquemente la nostra credenza, ed il loro successore Eraclite la sviluppò fino a dire che ogni stella è un piccolo universo avente, siccome il nostro, una terra, un'atmosfera ed una immensa estensione di sostanza eterea.
Il fondatore della scuola d'Eleo, Senofane, insegnò la pluralità dei mondi, e in special modo l'abitabilità della Luna. Questo filosofo è fra gli illustri del suo secolo; non sarà mai abbastanza lodato per i suoi sforzi contro coloro che avvilivano la divina maestà con ragionamenti nei quali l'antropomorfismo aveva la parte maggiore. L'antropomorfismo è una naturale propensione, al punto che se i buoi volessero crearsi un Dio, lo concepirebbero sotto forma di bue, e i leoni sotto forme di leone, così come gli Etiopi che immaginano divinità nere e i Traci che danno loro una fisionomia rozza e selvaggia. Senofane respinse tali degradanti analogie indegne del concetto dell'Essere supremo. Parmenide o Zenone d'Eleo vennero-dopo Senofane, e al pari di lui riconobbero lo intervento di uno Spirito Superiore nelle opere della natura e si schierarono fra i credenti nella pluralità dei mondi.
In quel torno di tempo, in cui la scuola italica e la scuola d'Eleo si erano sedute sugli avanzi della scuola ionica quasi spenta, Petronio d'Imero, in Sicilia, scriveva un libro nel quale sosteneva l'esistenza di centottantatré mondi abitati. Se si vuole credere a Plutarco, già da secoli, tale opinione era passata fino al mare delle Indie; ve la sosteneva un uomo miracoloso. Era un vecchio venerabile che aveva trascorsa tutta la vita nella contemplazione e nello studio dell’universo, e che, ei diceva, dopo di aver fatto dimora colle ninfe ed i geni, si trovava infine un sol giorno dell'anno sulle rive del mar Eritreo, dove i principi ed i segretari dei re venivano ad ascoltarlo ed a consultarlo. Cleombroto, altro degli interlocutori del trattato della Cessazione degli Oracoli, narra che si cercò a lungo e con grandi spese quel filosofo barbaro, e che da lui si seppe esservi, non un solo mondo, e neppure un'infinità, ma 183. Siffatto numero a tutta prima vuoto di senso, viene da ciò che quel filosofo considerava l’universo un triangolo i cui lati fossero stati costituiti da sessanta mondi, ed ogni angolo del quale fosse stato parimenti segnato da un mondo. L'area del triangolo era il fuoco comune di tutte le cose e la dimora della Verità.
Per ritornare all'antichità storica, e innanzi di venire al secolo in cui dominò la scuola
Epicuro, faremo menzione, o a giusto titolo, di Seleuco, aggiungeremo che la dottrina esoterica di Platone fu precorritrice della nostra. Ma la credenza dell’illustre discepolo di Socrate è alquanto mistica: egli pone le terre del cielo di là dell’universo visibile, né si fonda sulla vera fisica del mondo; anzi, per lungo tratto di tempo, fa ritenuto avesse egli ricostituito il sistema dell’immobilità della Terra. Riccioli gli fa grave accusa siffatto errore; ma l'accusa pare infondata, poiché nel secolo stesso di Socrate si riscontra un numero troppo grande di filosofi credenti nella immobilità della Terra. Non è men vero che tale autorità trascinò nell'errore gli ultimi partigiani del cireneismo e dell'eleatismo, e mise su falsa via quelli del platonismo e più tardi quelli del peripatetismo, sette illustri, le quali contarono nel loro seno i nomi di Pedone, Speusippo, e Senocrate per la prima; Aristotele, Calippo e Aristosene per la seconda, e più tardi ancora gli scienziati Archimede, Ipparco, Vitruvio, Plinio, Macrobie, e Tolomeo che lasciò il nome al sistema. Qui torna opportuno osservare che se Aristotele avesse conosciuto il vero sistema del mondo, certamente avrebbe men difesa l'incorruttibilità dei cieli, sola cagione, e lo dice egli stesso che gli abbia impedito di ammettere altre terre ed altri cieli; e che, non potendo in tal guisa popolare gli astri, e credette doverli divinizzare, compreso com'era di tale idea, condivisa da tutti gli studiosi della natura, essere la Terra un atomo troppo insignificante perché sia considerata l'unica espressione della Potenza creatrice infinita.
La scuola d' Epicuro insegnò la pluralità dei mondi, e la maggior parte de' suoi addetti non comprendevano soltanto i corpi planetari sotto il titolo di mondi abitabili, ma credevano altresì all’abitabilità di una moltitudine di corpi celesti disseminati nello spazio. Epicuro fondava la propria credenza sul seguente argomento: siccome le cagioni produttrici del mondo sono infinite, gli effetti di queste cagioni debbono essere infinite; non diverso fu il parere gerale degli epicurei. Metrodoro di Lampsaco, tra gli altri, trovava tanto assurdo il mettere un solo mondo nello spazio infinito quanto il dire che non potrebbe crescere se non una sola spiga di frumento in vasta campagna. Anassarco diceva la stessa cosa ad Alessandro il Grande, facendo le meraviglie come essendovi tanti mondi, ne avesse occupato uno solo colla sua gloria. — Parecchi autori hanno asserito, che i versi scritti da Giovenale, quattro secoli più tardi, sull’ambizione del giovane conquistatore macedone alludevano ad idee di Alessandro sulla pluralità dei mondi. Non è vero nulla, e questo grande satirico si contenta di dire che Alessandro soffoca negli stretti confini del mondo come se fosse relegato sugli scogli di Giara, nell’isoletta di Serifo.
grande stuolo di settari della scuola epicurea, fra i quali tra breve dovremo citare Lucrezio, non solo credettero alla pluralità, ma anche alla infinità dei mondi; tale era, come vedemmo, l’opinione del maestro. Innalzati sulle rovne della scuola di Pirrone, ingegnosamente scettico, i discepoli di Epicuro produssero una reazione nelle idee, e, volendo rimanersene nel positivismo, affermarono l'universalità e l’eternità della natura. La loro dottrina, più tardi condivisa da Cicerone, Orazio e Virgilio, stabiliva n [...]