I Poteri Dello Spirito - J. B. - E-Book

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J. B.

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Beschreibung

INDICE DEI CAPITOLIPrefazioneCap. I. - Il problema centrale dell’uomoCap. II. - Primo passo verso la risposta: la telepatiaCap. III. - Un secondo passo: ESP e materiaCap. IV. - L’estensione della mente nello spazioCap. V. - Attraverso le barriere del tempoCap. VI. - La forza misurabile della menteCap. VII. - La massa e la menteCap. VIII. - Dove entra la PKCap. IX. - Sulla normalità delle facoltà PSICap. X. - Sull’accettazione della ESP e della PKCap. XI. - Prospettive di applicazioneCap. XII.- Conseguenze per le relazioni fra gli uominiAppendice – Condizioni che favoriscono il successo nelle prove di PSI

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Indice

Prefazione

Cap. I. - Il problema centrale dell’uomo

Cap. II. - Primo passo verso la risposta: la telepatia

Cap. III. - Un secondo passo: ESP e materia

Cap. IV. - L’estensione della mente nello spazio

Cap. V. - Attraverso le barriere del tempo

Cap. VI. - La forza misurabile della mente

Cap. VII. - La massa e la mente

Cap. VIII. - Dove entra la PK

Cap. IX. - Sulla normalità delle facoltà PSI

Cap. X. - Sull’accettazione della ESP e della PK

Cap. XI. - Prospettive di applicazione

Cap. XII.- Conseguenze per le relazioni fra gli uomini

Appendice – Condizioni che favoriscono il successo nelle prove di PSI

L’ESPERIMENTATORE

IL SOGGETTO

IL PIANO E IL PROCEDIMENTO DELL’ESPERIMENTO

CONDIZIONI GENERALI

 

 

 

J. B. RHINE

 

 

 

 

I POTERI

dello

SPIRITO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prefazione

Nel marzo del 1946 io ebbi l’onore di presentare agli studiosi italiani, per la prima volta in una pubblica conferenza, l’opera di J. B. Rhine, che già aveva formato oggetto di studi prevalentemente matematico-statistici da parte del mio amico G. Schepis. Il titolo di quella conferenza era: “Una svolta in metapsichica”. Sono lieto e orgoglioso di presentare oggi a un più vasto pubblico il libro che meglio riassume il contributo veramente incomparabile recato da questo grande scienziato americano agli studi che formano oggetto della Collana “La Sfinge”. Nel libro “I poteri dello spirito”, l’Autore espone nel modo più chiaro e convincente il riassunto di oltre 15 anni di fecondo lavoro. L’opera del Rhine e dei suoi collaboratori sembra sempre più giustificare il titolo da me scelto per la conferenza in cui ne feci la presentazione al pubblico italiano. Si tratta, effettivamente, di una svolta: potremmo dire, di una nuova era nella storia della metapsichica. L’importanza fondamentale del lavoro del Rhine, e di tutta la “scuola americana” di metapsichica, consiste nell’aver superato vittoriosamente quello che pareva un ostacolo essenziale nell’indagine: la presunta saltuarietà e irripetibilità degli esperimenti. Prima del Rhine, la metapsichica era stata in massima parte lo studio di fenomeni eccezionali, “sopranormali”; di individui straordinari, di “casi” tanto impressionanti quanto fugaci. Il Rhine ha non soltanto dimostrato nel modo più accurato e incontrovertibile la veridicità dei principali fenomeni metapsichici ammessi dalla tradizione e dagli studiosi precedenti, ma ha anche - ed è forse ciò che più conta - indicato e provato metodi che chiunque, in qualsiasi momento, può adottare per giungere ad analoghe verifiche e per sviluppare ulteriormente la conoscenza scientifica in metapsichica: proprio come accade nei principali settori della scienza accettata e costituita. Il libro che presentiamo comprende anzitutto una rassegna della questione relativa alla telepatia e alla chiaroveggenza, così come era stata posta sin verso il 1930. Il Rhine descrive poi come egli, e i suoi collaboratori, siano riusciti, mediante tecniche laboriose e sempre più perfezionate, ad ottenere la dimostrazione matematica della esistenza di percezioni extrasensoriali e a determinarne alcune fondamentali leggi. Riferisce quindi le ulteriori ricerche effettuate nei laboratori americani su un’altra importantissima facoltà, quella dell’azione della mente sulla materia, il cosiddetto “effetto psicocinetico”. Dal punto di vista della pura ricerca metapsichica appare estremamente importante la conclusione, a cui oggi, sulle orme del Rhine, si deve pervenire: che cioè le anzidette facoltà non sono la prerogativa di singoli con esclusione della grandissima maggioranza degli altri, ma sono invece facoltà inerenti allo psichismo umano indipendentemente da età, sesso, livello culturale, ecc.; e sono ripartite nella specie umana secondo curve graficamente tracciabili e matematicamente esprimibili. Ma, come è ovvio, una simile constatazione apre panorami sconfinati per le deduzioni che se ne possono trarre circa l’essenza fondamentale dell’uomo. Per la prima volta nella storia è stato dimostrato scientificamente, rigorosamente, che esiste nell’uomo un principio che non si potrebbe definire se non “spirituale”, un quid che trascende i limiti dello spazio e del tempo e che può agire sulla materia indipendentemente da qualsiasi tramite fisico conosciuto. Ciò è, beninteso, in piena armonia con quanto di tutti i tempi hanno insegnato le religioni e le filosofie tradizionali, ma, ripetiamo, tali insegnamenti hanno solo di recente avuto una precisa conferma sperimentale, e il più grande merito di ciò va sicuramente attribuito a J. B. Rhine. Il lettore rimarrà probabilmente meravigliato nel vedere, dalle pagine che seguono, come possa conciliarsi una mentalità di sperimentatore cauto, paziente, rigoroso con una sensibilità del pari straordinaria per i nuovi orizzonti che le ricerche anzidette schiudono all’uomo in tutte le manifestazioni della vita sociale e collettiva. Il libro si apre con un pensoso interrogativo; nella parte centrale di esso si espone tutto ciò che la scienza può dire per aiutare l’uomo a rispondere; nelle ultime pagine, infine, le sconfinate prospettive aperte dalle risposte della scienza vengono magistralmente indicate. Io spero che la pubblicazione di questo libro segni veramente anch’essa una “svolta” nella considerazione della metapsichica da parte di tutti gli indagatori del vero; e che esso contribuisca non poco al progressivo inquadramento della metapsichica nei riguardi della scienza, per una maggior comprensione dell’uomo, del suo posto nell’universo, e delle mete finali a cui è destinato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cap. I. - Il problema centrale dell’uomo

Che cosa siamo, noi esseri umani, voi ed io? Nessuno lo sa. Molto si conosce dell’uomo, ma la sua essenza fondamentale, ciò che determina il suo comportamento, è ancora un profondo mistero. La scienza non è in grado di spiegare che cosa realmente sia la mente, né in qual modo essa agisca col cervello. Nessuno ha la pretesa di sapere come viene generata la coscienza. Quale specie di fenomeno naturale è il pensiero? Non vi è neanche una “teoria” in proposito. Una tale ignoranza di sé stessi è appena credibile! La scienza ha fatto avanzare trionfalmente le nostre frontiere in molte direzioni. Ha esplorato i poli, le profondità e le altezze della terra, e tutti gli elementi della materia; ha rivelato la composizione delle stelle più lontane e sprigionato la violenza dell’atomo; sonda la fine struttura del protoplasma e l’insidiosa natura di malattie che un tempo erano spaventose. Come può aver lasciato intatto il problema centrale che si riassume in questo interrogativo: quale posto occupa la personalità umana nel piano delle cose? Sarà certamente una fonte di stupore per gli storici del ventunesimo secolo il fatto che l’uomo abbia tanto tardato ad affrontare con studi concreti il problema della sua essenza.

* * *

Invece di cognizioni abbiamo credenze. Quando eravamo giovanissimi, molti di noi acquistarono la loro prima credenza, e cioè che l’uomo si componeva di due parti: un corpo materiale ed uno spirito extrafisico o anima. L’anima era la parte dominante ed il corpo la sua sede, il suo strumento. Naturalmente parlavamo dell’anima solo la domenica, a meno che non vi fosse un funerale. Ma durante la settimana la parola “mente” veniva usata per significare quasi la stessa cosa; i sottili punti di differenza non ci preoccupavano.

Sia in chiesa che nella strada trovavamo e assimilavamo essenzialmente lo stesso concetto degli esseri umani. Prevaleva l’opinione secondo la quale la mente controllava realmente l’individuo ed il suo comportamento. Era, beninteso, la mente della persona che presenziava allo sviluppo della nostra cultura e delle nostre istituzioni. Non solo i nostri enti sociali, come le scuole, ma invero tutti i nostri mezzi di vita, i nostri costumi, la nostra morale, i nostri godimenti, le nostre aspirazioni ed i nostri valori sono stati fondati sulla dottrina assimilata nell’infanzia, cioè che l’uomo è un essere duale, in cui la mente è il vero centro della personalità. Questa credenza tradizionale accompagna abitualmente l’individuo fino al termine dell’adolescenza; dopo tale periodo essa persiste in coloro che non raggiungono un alto livello di educazione o non vedono progredire le proprie capacità riflessive. Anche fra i giovani avviati a studi superiori ve ne sono di quelli che rimangono devotamente fedeli, per tutto il periodo dell’Università, e praticamente per tutta la vita, ai loro primi concetti. Tuttavia la tendenza generale è lontana dalla vecchia idea dell’uomo bipartito o “spirituale”. Appena lo studente si incontra con le scienze che trattano della specie umana, della sua origine ed evoluzione; appena apprende che una stretta relazione è stata trovata tra il comportamento e il cervello, o vede fino a qual punto le glandole regolano chimicamente la personalità, le sue credenze cominciano a mutare. Egli scopre che l’intelligenza del bambino matura solo con lo sviluppo del cervello, che certe funzioni psichiche sono collegate con zone specifiche del cervello e che queste funzioni si perdono se il cervello viene colpito. Tanto intimamente soggetto all’azione del cervello sembra essere il pensiero, che il giovane indagatore è indotto naturalmente a considerare il cervello come il vero centro di controllo del comportamento. Questa è la seconda credenza intorno all’uomo. Il cervello si presta, beninteso, ad essere studiato con mezzi materiali; le cellule nervose di cui si compone fanno parte del mondo della materia e dell’energia. Lo spirito, per contro, è impalpabile. Di quale “roba” potrebbe essere composto? Che cosa sarebbe se non fosse materia? Appare semplicemente come una funzione del cervello, un aspetto del cervello in azione. Così noi siamo portati a credere che l’uomo sia interamente materiale per natura e che la mente sia un semplice epifenomeno, ossia una fiamma generata dall’attività del cervello. Una tale spiegazione ci aiuta ad organizzare la nostra conoscenza delle cose seguendo un sistema solo invece di due. Lo studente di materie scientifiche completa così la sua istruzione conservando pochi resti della sua primitiva credenza circa l’uomo. Il mutamento può prodursi per gradi senza aperte discussioni o decisioni coscienti. Invero, questo passaggio dall’una all’altra credenza è, in molti casi, dovuto all’influenza di idee espresse da insegnanti o sostenute nei libri; può quindi essere frutto di pura suggestione come lo fu nell’infanzia l’accettazione del vecchio concetto dell’uomo.

* * *

La verità è che noi sentiamo parlare molto poco del problema della nostra essenza. Sia a scuola che fuori di essa vi è un infelice divieto di discutere sulle credenze concernenti la definitiva natura dell’uomo. Ne risulta che perfino nell’ambito più liberale delle università la questione della mente e dell’uomo viene difficilmente posta in luce. Alcune facoltà assumono il tradizionale punto di vista: prima fra tutte la scuola di teologia, dove l’ammissione della presenza di un fattore spirituale, non fisico, nell’uomo, sembra essenziale. Ma mentre tale scuola è attivamente intenta a preparare giovani predicatori, nella sicura fede dell’esistenza di uno spirito trascendente che regola la vita dell’individuo, la scuola di medicina, forse solo a un tiro di sasso di distanza, ignora fiduciosamente ogni cosa all’infuori dei processi somatici materiali, nelle istruzioni impartite ai giovani votati all’arte del guarire. Anche il giovane psichiatra si sente portato sempre più a dipendere dalla sua siringa, dal suo raschiatoio, dai suoi apparecchi elettrici; a lavorare sul cervello invece che sulla mente. La psicologia è il campo naturale al quale appartiene questo problema; la natura della mente, o psiche, è per definizione soggetto di studio della psicologia, benché la “scienza dell’anima” si sia da molto tempo disinteressata delle anime. Perfino la parola “mente”, così come è usata dal laico, significante qualche cosa di diverso dal cervello, non gode più una buona reputazione. Perciò lo studente non trova nulla che parli dell’anima nei, testi moderni di psicologia o nelle lezioni, e molto poco che tratti della mente come una realtà distinta. Egli studia invece il “comportamento” nei suoi rapporti con le vaste zone e con i piccoli sentieri del cervello. La relazione fra lo spirito ed il corpo è un argomento fuori di moda; l’idea dualistica dello spirito concepito come qualcosa a parte, che opera attraverso il cervello, governandone fino ad un certo punto l’attività, non trova più sbocco in psicologia.

Fra gli psicologi (e psicologi-filosofi), i vecchi difensori della natura duale dell’uomo - William James, William McDougall, Henri Bergson e Hans Driesch - sono scomparsi dalla scena senza lasciare degni successori. La teoria animistica della personalità è passata alla storia della psicologia. Eppure, cosa abbastanza strana, ancora nessuno pretende di aver provato la materialità dello spirito; né alcuna teoria fisica dei processi psichici coscienti è stata registrata. È sorprendente che un ramo della scienza accetti un’opinione, non solo senza una prova positiva, ma senza neanche almeno un’ipotesi che possa giustificarla. Una simile reazione può essere caratterizzata unicamente come una pura credenza, un atto di “fede”. Tuttavia essa è divenuta così tipica nei circoli scientifici e nelle aule scolastiche quasi come nelle scuole di teologia lo è diventata la credenza nell’anima.

* * *

Nulla, però, è mai stato durevolmente stabilito, in nessun campo, con la sola fede. Ai tempi di Copernico e di Galileo i pensatori dovettero decidere tra mondo geocentrico e mondo eliocentrico; la classica disputa fu definita non dall’autorità, ma dalle ricerche. Oggi gli uomini di pensiero debbono nello stesso modo decidere se il centro di controllo del mondo personale dell’individuo è la sua mente, elemento soggettivo, senziente, oppure il suo cervello, elemento oggettivo, organico. Ma solo per mezzo dell’indagine si può stabilire quale delle due concezioni dell’uomo, quella psicocentrica o quella cerebrocentrica, sia esatta. Ciò non può essere definito da nessuna autorità di nessuna specie: semplici credenze, di qualsiasi tipo, non sono più sufficienti per la guida dell’umanità. Dissimile dalla vecchia questione della terra contro il sole, questo problema dell’uomo non è però meno urgente! Tanto urgente quanto la felicità umana, l’umano benessere, la vita stessa! Gli agitati rapporti fra gli uomini sono oggi il chiaro effetto di una causa fondamentale: noi non sappiamo come trattare il nostro simile, non lo conosciamo abbastanza, e quindi non sappiamo su quali principi, su quale filosofia, su quali postulati fondare i nostri rapporti con lui. Abbiamo solo idee e credenze contrastanti. Vediamo di considerare appena una piccola parte delle pressanti questioni che dobbiamo affrontare attualmente: quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento verso i popoli vinti, i profughi, le minoranze razziali, gli ex alleati, i nostri concorrenti nel commercio mondiale o negli affari locali, gl’impiegati, i dirigenti, il criminale, il disoccupato, i nostri affamati vicini, connazionali o stranieri? Nessuno sa dare una risposta sicura. Il modo in cui trattiamo questa gente dipende ovviamente dalle nostre credenze circa la loro natura. Ma queste credenze sono confuse e fondamentalmente in conflitto tra loro. Quale medico potrebbe curare con sicurezza un malato senza conoscerne la malattia? Quale ingegnere lavora senza conoscere le caratteristiche del suo materiale? Come possiamo noi sperare di formare e dirigere efficacemente gli esseri umani, singoli o raggruppati, se ignoriamo ancora che cosa realmente sia l’uomo più semplice? Non siamo più in grado neanche di accordarci sull’oggetto della nostra credenza! A che cosa dobbiamo credere? Le nostre istituzioni sociali sono fondate sul principio psicocentrico dell’uomo. La psicologia attuale, per contro, è decisamente a favore del principio cerebrocentrico basato sulla dinamica del cervello. Lo scisma fra questi due concetti è dunque profondo e radicale. La nostra cultura ammette, per esempio, che lo spirito sia tanto diverso dal corpo fisico da consentire il “libero arbitrio”. Tale libertà volitiva significa che lo spirito ha leggi sueproprie e che perciò le leggi del corpo e dell’ambiente non lo governano, o almeno non interamente; gli lasciano una certa libertà dalla determinazione fisica, una certa indipendenza d’azione. D’altra parte, il punto di vista materialistico della personalità vuole ogni atto soggetto alla legge fisica e non lascia affatto posto per la libertà. Un sistema che stabilisce il legame fra causa ed effetto, un tipo di legge, è supremo tanto nel regno spirituale quanto in quello corporale. È quindi decisivo per noi, e per la società in genere, sapere se lo spirito è proprio una funzione fisica del cervello oppure no; perché senza libertà di scelta, le nostre filosofie sociali rovinerebbero; senza libera volontà non vi può essere nessuna morale, nessuna reale democrazia; la scienza stessa, intesa come libera ricerca, perirebbe. Se la vita spirituale è interamente un prodotto della fisica cerebrale, non c’è nessun modo di sottrarsi alle leggi materiali, dovunque si vada nel corso della umana esistenza. Allora la libertà non è che una immaginazione; e l’etica, soggetta alla legge della materia, è tutta una finzione. Le relazioni umane sono ormai giunte a un punto critico tale che inconcepibili miserie e devastazioni debbono succedere se non si riesce a scoprire un codice migliore per la comprensione e la guida dell’umanità. Le vecchie credenze hanno perduto molta parte della loro forza regolatrice senza che altre di provato valore prendano il loro posto. E tempo di agire.

* * *

La prima cosa da fare è quella di osservare in prospettiva questa questione della natura dell’uomo. Il problema naturalmente non è nuovo; io l’ho presentato qui come lo studente singolo può averlo incontrato all’Università; ma anche l’intera specie avviata verso la “maturità intellettuale” ne è stata investita. Il parallelo è completamente esatto. Tornando indietro nel tempo, all’epoca che potremmo chiamare l’infanzia e l’adolescenza intellettuale dell’umanità, troviamo la stessa credenza universale, e cioè che l’uomo è una creatura duale, un corpo con un’anima che lo controlla, una mente di genere immateriale. Poi, quando lo sviluppo culturale ha raggiunto un livello critico, razionale, scientifico di giudizio - come in questi ultimi secoli - è accaduto al mondo pensante in genere ciò che accade allo studente universitario durante i corsi scientifici. L’uomo ragionevole ha perduto la credenza nella sua propria natura spirituale. Le scoperte rivoluzionarie nel campo delle scienze, specialmente in biologia nel secolo decimonono, hanno distrutto il quadro tradizionale dell’uomo ed il suo posto nell’ordine naturale. Nella classificazione dei ritrovati della scienza in un unico schema universale, lo spirito quale ordine distintivo di realtà fu lasciato fuori: non ebbe nessun posto nel nuovo quadro meccanicistico del mondo.

Dovunque entrò la scienza, la tradizionale credenza nella natura spirituale dell’uomo fu costretta ad uscire. La psicologia divenne sempre più satura di concetti materialistici. La dottrina materialistica dell’uomo progredì, passando da un rozzo materialismo a teorie modellate su quelle della fisica moderna, il cui predominio rimane ancora, non essendovi tolleranza nelle scienze per quella realtà non fisica con la quale una volta l’uomo caratterizzava l’anima. Questo sviluppo è andato tanto innanzi che oggi i pochi scienziati rimasti ad esprimere pubblicamente la credenza nell’anima possono creare ostacoli ai loro colleghi. Eppure vi è qualcosa di sbagliato in questo quadro del secolo decimonono! Alcuni eccezionali fenomeni della natura umana furono trascurati quando questo concetto scientifico dell’uomo si andava formando; furono omessi, come al solito, perché non convenivano. Infatti la loro inclusione avrebbe alterato l’intero disegno. Questi fenomeni sono l’inizio della storia di questo libro. Essi furono comodamente ignorati dalla scienza ortodossa, perché erano rari, eccezionali e difficilmente controllabili. Nondimeno pochi audaci studiosi accettarono la sfida d’investigare queste già clamorose manifestazioni, ed il risultato, come vedremo in seguito, fu rivoluzionario. I fenomeni in questione furono chiamati “metapsichici” ed il loro studio divenne noto sotto il nome di “ricerca psichica”. Oggi nei circoli universitari questa si chiama “parapsicologia”, ossia la scienza di quelle manifestazioni mentali che sembrano trascendere i principi riconosciuti. Furono costituite società non accademiche in diversi paesi al fine di promuovere tali ricerche; la prima di tutte fu la “Society for Psychical Research” (S. P. R.), fondata in Inghilterra nel 1882. All’inizio, ed in verità per molti anni, le ricerche dovettero essere effettuate al di fuori dei laboratori universitari e dipendevano quasi interamente dal patrocinio di queste società. Fu il loro lavoro di pionieri che per primo richiamò l’attenzione sulla possibilità di affrontare scientificamente la questione della fondamentale natura dell’uomo. La storia che abbiamo ora dinnanzi a noi è una relazione su queste ricerche di pionieri, su questo eretico, controverso ramo di studi che ancora oggi reclama il dovuto riconoscimento alle porte della circospetta e conservatrice scienza ufficiale. Tale relazione riferisce sul lavoro compiuto qui ed all’estero da pochi ma devoti esploratori, negli ultimi settant’anni, e su ciò che essi hanno scoperto intorno agli esseri umani; parla degli esperimenti effettuati e delle dimostrazioni che ne sono risultate; degli alti e bassi dell’indagine, delle difficoltà e degli eventuali successi, del significato ed importanza dei risultati, dei problemi rimasti insoluti. Con questo aiuto noi potremo vedere che cosa siano realmente gli uomini nel piano delle cose. Il giudizio finale deve esser lasciato naturalmente al lettore; prima esponiamo la gran mole di scoperte che ora abbiamo a disposizione. Dovremo preoccuparci di molti misteri nei capitoli successivi, ma non chiedo scusa per questo: una scienza vigile fa dei misteri la sua ricchezza. Lo scienziato s’impadronisce del fenomeno inesplicabile come farebbe di un tesoro scoperto improvvisamente. Quanto più inspiegabile e misterioso è il fenomeno, tanto più prodigo di elementi di penetrazione per la scienza sarà, una volta spiegato. I misteri di cui ci stiamo occupando qui ci fanno la speciale promessa di guidarci alla scoperta di una più vasta portata della mente umana nel regno dello spazio e del tempo e di tutto ciò che noi chiamiamo universo.

 

 

Cap. II. - Primo passo verso la risposta: la telepatia

La prima facoltà psichica studiata scientificamente è stata la telepatia. Fu fatto il seguente ragionamento: il pensiero può essere trasmesso direttamente, senza l’uso dei sensi, da una mente all’altra: quindi l’uomo deve possedere una forza mentale che trascende la meccanica del cervello; perciò una prova della telepatia confuterebbe vittoriosamente il materialismo e la sua teoria fisica della mente. In quel periodo di profonde disillusioni intellettuali create dal secolo scorso, la telepatia offriva una luce di speranza, e di tutte le rivendicazioni “psichiche” fu la più attivamente studiata nei primi decenni di ricerche. Molto probabilmente la credenza nella telepatia è vecchia quanto il genere umano. Noi deduciamo che fosse familiare nei tempi più remoti dal fatto che alle divinità veniva attribuito il potere di leggere nel pensiero. Nell’antica Grecia la telepatia fu tanto importante da indurre Democrito a formulare una teoria sul suo modo di operare. Di molti esperimenti simili a trasmissioni del pensiero tra esseri umani vi è traccia nelle più antiche letterature, specialmente in quelle che trattano delle sette religiose e dei loro fondatori. Sarebbe tuttavia ardito voler attribuire a questi esempi altro interesse all’infuori di quello puramente storico. Essi non sono impressionanti e convincenti come quelli moderni più recenti, che possono meglio essere autenticati; ma aiutano a spiegare come la credenza nei fenomeni telepatici faccia parte delle tradizioni culturali della specie umana.

* * *

I primissimi esperimenti di telepatia scaturirono fortuitamente dall’ipnotismo, o mesrnerismo, com’era chiamato allora. Nel far cadere in trance i soggetti, alcuni sperimentatori scoprirono effetti che attribuirono alla trasmissione del pensiero dall’ipnotizzatore all’ipnotizzato. Era naturale supporre che questo fenomeno fosse un tratto caratteristico della stessa ipnosi e numerosi studi furono fatti in base a questo postulato. Prove di telepatia d’ogni sorta emersero così dagli esperimenti di ipnosi. Per esempio, un medico francese, il dott. E. Azam, scoprì che una sua paziente, trovandosi in stato ipnotico, parlava come se rispondesse a pensieri altrui non espressi con parole. Allora iniziò subito esperimenti per stabilire se l’ammalata avrebbe identificato una particolare sensazione di sapore che egli stesso si accingeva a provare con una determinata sostanza priva di odore. Collocandosi in modo che il soggetto, già in trance, non potesse vederlo, introdusse in bocca un pezzo di sale. Immediatamente la paziente disse che aveva provato il sapore di quella sostanza e la nominò correttamente. Il dott. Azam racconta che il soggetto rispose sempre con precisione nelle successive prove eseguite con numerose sostanze inodori che egli assaggiava nello stesso modo. Un altro sperimentatore scoprì che anche la sensazione del dolore poteva essere trasmessa ad un soggetto ipnotizzato. Osservò per caso che talvolta il soggetto si comportava come se avesse provato lo stesso dolore che l’ipnotizzatore aveva sentito nello stesso istante. Si fecero subito esperimenti durante i quali l’ipnotizzatore veniva pizzicato in varie parti del corpo e si domandava poi al soggetto se aveva sentito nulla. Secondo quanto riferiscono i rapporti, il soggetto sentiva il dolore e lo localizzava esattamente, anche quando l’ipnotizzatore si trovava in un’altra stanza, cioè assolutamente lontano dal campo visivo del soggetto. L’eminente psichiatra, dott. Pierre Janet, della Sorbona, fece diversi di questi esperimenti, ed altri ne effettuò Edmund Gurney dell’Università di Cambridge, uno dei fondatori della “Society for Psychical Research”. Una delle più drammatiche fra le prime prove di telepatia fu l’ipnotizzazione a distanza. Parecchi medici francesi, fra i quali il dott. Janet, produssero l’ipnosi nei loro soggetti operando da posizioni tanto distanti da impedire ogni comunicazione dei sensi. Janet ebbe successo completo in diciotto esperimenti su venticinque, facendo cadere in trance il soggetto nel tempo voluto; in altri quattro ottenne risultati parzialmente positivi. Le ipnosi furono provocate ad intervalli irregolari ed inaspettati. Tuttavia le clamorose dimostrazioni del dott. Janet ebbero poca influenza a quel tempo. Egli rifiutò di pubblicare una relazione, temendo forse la vigorosa disapprovazione dei suoi colleghi. Di gran lunga più importanti per questa scienza in germoglio furono le prove meno sensazionali di ipnosi-telepatia eseguite dal professor Henry Sidgwick dell’Università di Cambridge in collaborazione con sua moglie. I coniugi Sidgwick non solo confessarono apertamente i loro esperimenti, ma li diressero in modo molto più accurato di quel che non si fosse fatto fino allora. Parte delle diverse serie di esperimenti fu fatta col soggetto ricevente posto in una stanza distinta da quella occupata dal trasmittente. Numeri di due cifre formavano l’oggetto della trasmissione telepatica; questi venivano scritti a caso e visibilmente dall’ipnotizzatore (che operava come trasmittente), mentre il soggetto in trance cercava di identificarli. I risultati degli esperimenti con i numeri offrivano lo speciale vantaggio di poterli sottoporre a controllo matematico al fine di stabilire il confronto con quelli previsti dal calcolo delle probabilità. La cifra indicante i successi ottenuti in questo modo fu significativa; in altre parole essa fu più grande di quella legittimamente attribuibile alla probabilità. Gli sperimentatori furono perciò d’accordo nel concludere che si erano ottenute prove evidenti di telepatia. L’uso delle leggi della probabilità rappresentava un grande progresso nel metodo. Infatti, senza questo strumento matematico di misurazione, sarebbe sussistito il pregiudizio di non poter mai documentare saldamente la telepatia. Il merito di aver usato per primo il calcolo matematico, nel valutare i risultati degli esperimenti di telepatia, spetta al fisiologo francese professor Charles Richet, che precedette i coniugi Sidgwick, sebbene i suoi esperimenti non siano stati così accuratamente controllati. L’opera di Richet presentò un altro sviluppo: alcuni suoi esperimenti furono effettuati senza servirsi dell’ipnosi. Egli dichiarò che lo stato ipnotico non era necessario per riuscire nella trasmissione del pensiero. Numerose prove di telepatia con soggetti allo stato normale furono eseguite nel decennio 1880-90, dimostrando chiaramente che ipnosi e telepatia non dovevano essere strettamente connesse. La telepatia fu considerata come un processo indipendente che poteva verificarsi tanto con soggetti in stato ipnotico quanto con soggetti in stato normale. Non fu neanche provato che lo stato ipnotico offrisse un qualsiasi vantaggio. Tuttavia l’associazione della telepatia con l’ipnosi fu un errore fortunato dal punto di vista del parapsicologo, perché fece progredire il problema della trasmissione del pensiero fino allo stadio di studio sperimentale. Dacché si è capito che i due fenomeni sono essenzialmente distinti, la telepatia è divenuta oggetto di studi per suo esclusivo diritto. Testimonianze di telepatia sono pervenute a poco a poco dai luoghi più diversi, lontani o vicini. Molti esperimenti sono riusciti in Inghilterra, alcuni in America, ed una considerevole quantità sul Continente, particolarmente in Francia. Ma anche dalla Svezia, dalla Polonia, dalla Germania e dalla Russia sono giunti rapporti sugli studi sperimentali di telepatia. Gli esperimenti cominciarono a cambiare con l’introduzione del calcolo delle probabilità. Da allora gli sperimentatori usarono carte da gioco o numeri, facilitando così, sulla base delle probabilità, il computo delle prove positive di telepatia risultanti dagli esperimenti. Il procedimento generale rimase tuttavia invariato: chi trasmetteva guardava la carta ed il soggetto ricevente cercava di identificarla. Negli esperimenti controllati più severamente i due partecipanti venivano separati al fine d’impedire la trasmissione attraverso i sensi di segni convenzionali preventivamente accordati. Alcuni investigatori usarono altri metodi. Per esempio: il mittente doveva fare un disegno e fissare su di esso la sua attenzione, mentre il ricevente doveva cercare di riprodurlo con la massima cura possibile. Non si poté stabilire una misura quantitativa del grado di esattezza raggiunto dal soggetto riproduttore, ma i risultati positivi furono nel loro insieme dimostrati dal confronto del disegno originale con la riproduzione. Questo sistema fu impiegato dal professor Oliver Lodge e dai suoi collaboratori negli esperimenti di telepatia eseguiti al principio del decennio suddetto, quando Lodge era un giovane professore di fisica all’Università di Liverpool. Un procedimento affatto diverso fu. usato dall’eminente letterato di Oxford, Sir Gilbert Murray, che operò quale soggetto ricevente nelle prove di capacità telepatica fatte da membri della S. P. R., particolarmente dalla signora Sidgwick. Egli preferiva che il mittente si concentrasse su un obbiettivo più significativo di una carta da giuoco o di un numero; qualche cosa che raffigurasse, per esempio, un evento classico o storico. Il suo successo, specialmente quando uno degli elementi del gruppo trasmittente era sua figlia, fu così inequivocabile che neutralizzò largamente la necessità della valutazione matematica. Vi furono ancora altre specie di esperimenti di telepatia, ma nessun metodo ebbe il monopolio del successo e nessun tipo particolare d’individuo sembrò eccellere sugli altri. Col diffondersi ed il variare degli esperimenti, tipi sempre più diversi, uomini e donne, giovani e vecchi, normali e nevrotici, popolani ignoranti e professori eminenti, diedero prove di abilità. Fra i soggetti che più brillarono in questi primi esperimenti sono da segnalare un bambino di dodici anni ed una donna di settanta. Il semplice contadino stava allo stesso livello del professore universitario. Questa nuova scienza, la telepatia, fu malamente accolta dagli scienziati. Accade raramente che una scoperta straordinaria riceva il benvenuto. Nel 1876, quando il professor William Barrett (più tardi Sir) fece il tentativo di portare i risultati dei suoi esperimenti davanti all’Associazione Britannica per il Progresso della Scienza, il suo lavoro fu messo in ridicolo e l’Associazione rifiutò di pubblicarlo. Cosa abbastanza strana, non troviamo affatto psicologi fra questi primi sperimentatori (Janet era soprattutto psichiatra). Ma la loro assenza non è meno completa nei primi lavori sull’ipnosi. Gli psicologi di professione non solo non si prestarono alle ricerche dei pionieri della seconda metà del secolo decimonono, ma vi fecero poca attenzione. La stessa psicologia, del resto, era difficilmente riconosciuta come scienza a quel tempo e la sua posizione era estremamente incerta. Tanto dubbio era il suo stato nei suoi stessi domini da scoraggiare imprudenti iniziative nei campi limitrofi. Quando ricordiamo che gli psicologi si tennero perfino lontani dai problemi profondamente pratici relativi alle malattie mentali, finché Janet, Freud e pochi altri medici non se ne occuparono decisamente, possiamo farci un’idea dello stato di esitante fanciullezza in cui si trovava la scienza a quei tempi. Si studiavano argomenti senza importanza e si lasciavano stare grosse e controverse questioni. William James di Harvard fu una illustre eccezione fra gli psicologi accademici. Sebbene non fosse proprio uno sperimentatore, egli emerse per la passione schietta e profonda che dedicò agli studi sulla telepatia e fece moltissimo per incoraggiare coloro che investigavano questo problema. Più tardi, William McDougall riconobbe la grande influenza che James aveva avuto su di lui e divenne il principale campione fra gli psicologi del ventesimo secolo che si occuparono di parapsicologia. Più tardi ancora, Sigmund Freud, C. G. Jung e pochi altri psichiatri di fama si aggiunsero parimenti a questo sceltissimo gruppo di mallevadori della telepatia. Ma nel secolo decimonono James rimase quasi solo.

Da parte degli psicologi si ebbero critiche invece di aiuti. Due psicologi danesi, A. Lehmann ed F. C. C. Hansen, criticarono gli esperimenti di telepatia pubblicati dalla S. P. R. Essi insinuarono che i risultati erano dovuti alla inconscia percezione, da parte del soggetto ricevente, di parole bisbigliate involontariamente dal mittente all’atto di concentrare la sua attenzione sui numeri o sulle carte. Tuttavia, nella discussione che seguì, il professor Lehmann si dichiarò convinto che tale spiegazione non valeva per tutte le prove di telepatia. Questa generosa pubblica ammissione è particolarmente degna di essere menzionata, giacché è raro che simili cose accadano in una controversia. La corrente intellettuale di quel tempo avversò fortemente la telepatia. La scienza degnava di poca attenzione qualunque cosa non portasse l’etichetta “fisica”. La biologia meccanicistica del dott. Jacques Loeb e la psicologia del comportamento del dott. John B. Watson, inquadrate iella rappresentazione di un universo meccanicistico semplificato, resa popolare in opere come L’Enigma dell’Universo del professor Ernst Haeckel, sono tipiche manifestazioni del pensiero scientifico comune nei primi decenni del secolo presente. Uno psicologo che in quei giorni avesse pubblicato prove di telepatia, avrebbe dimostrato un coraggio eccezionale. Nessuno lo fece. Il dott. John E. Coover, della scuola di psicologia dell’Università di Stanford, eseguì diversi esperimenti di telepatia, verso il 1915 ed ottenne prove di capacità telepatica fra i suoi studenti; ma evitò li pubblicare le sue scoperte. Anche quando la loro importanza fu resa manifesta da altri che ne rivalutarono i dati, egli lasciò l’impressione di non essere riuscito a dimostrarle e rimase silenzioso. Del resto, anche in tempi iena difficili vi sono stati psicologi che non hanno voluto correre il rischio di pubblicare prove favorevoli alla telepatia. In simili casi la responsabilità professionale deve essere assunta tanto dal singolo quanto dall’intera categoria.

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