La tigre della Malesia - Emilio Salgari - E-Book

La tigre della Malesia E-Book

Emilio Salgari

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Beschreibung

"La Tigre della Malesia" è il romanzo più conosciuto di Emilio Salgari. Presenta i suoi personaggi più memorabili, da Sandokan, Tigre della Malesia, a Marianna, Perla di Labuan, a Yanez, e che daranno poi vita al "Ciclo dei pirati della Malesia".

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Table of Contents

 

La tigre della Malesia

Emilio Salgari

CAPITOLO I

CAPITOLO III pirati di Mompracem

CAPITOLO IIIL'incrociatore

CAPITOLO IVPirati e Incrociatori

CAPITOLO VIl ferito

CAPITOLO VIFebbre e delirio

CAPITOLO VIILa Perla di Labuan

CAPITOLO VIIILa guarigione

CAPITOLO IXLa caccia alla tigre

CAPITOLO XIl tradimento

CAPITOLO XILa caccia al pirata

CAPITOLO XIIGiro Batoë

CAPITOLO XIIILacanoa

CAPITOLO XIVA Mompracem

CAPITOLO XVIl caporale inglese

CAPITOLO XVILa spedizione di Labuan

CAPITOLO XVIILa villa di lord James

CAPITOLO XVIIIIl pirata e la giovanetta

CAPITOLO XIXDue pirati in una stufa

CAPITOLO XXIl fantasma dellegiacche rosse

CAPITOLO XXIAttraverso le foreste

CAPITOLO XXIIL'ussaro

CAPITOLO XXIIILa missione del Portoghese

CAPITOLO XXIVIl rapimento

CAPITOLO XXVLa moglie della Tigre

CAPITOLO XXVIIl ritorno a Mompracem

CAPITOLO XXVIILa regina di Mompracem

CAPITOLO XXVIIIIl bombardamento di Mompracem

CAPITOLO XXIXSul mare

CAPITOLO XXXI prigionieri

CAPITOLO XXXIL'ultimavolontà della Tigre

CAPITOLO XXXIIYanez

CAPITOLO XXXIIIIl piroscafo

CAPITOLO XXXIVL'ultima pugna della Tigre

 

La tigre della Malesia

Emilio Salgari

CAPITOLO I

La mezzanotte del 20 aprile 1847, un acquazzone diluviale, accompagnato da scrosci di folgore e da impetuosi soffi di vento subissava lasolitaria e selvaggia Mompracem, isola situata sulle coste occidentali di Borneo, e il cui nome bastava in quei tempi a spargere il terrore a cento leghe all'intorno. L'abitazione della Tigre della Malesia, posta come aquila su di una gran rupe tagliata apicco sul mare, a cinquecento passi dalle ultime capanne del villaggio di Gjehawem, quella notte, contro il solito, era illuminata. Dai vetri colorati di una stanza a pianterreno, uscivano getti di luce rossigna, che rischiaravano fantasticamente le asperità delle roccie e le trincee e le gabbionate sparse all'esterno.

Diamo un'occhiata a questa stanza, luogo favorito del terribile capo dei pirati di Mompracem. Era questo un salotto alquanto vasto, colle pareti sepolte sotto pesanti tessuti di broccatello,di velluto cremisi e di sete di Francia, qua e là sgualciti, macchiati e rattoppati, e col terreno coperto da morbidi tappeti di Persia, sfolgoranti d'oro e di colori.

Nel mezzo faceva bella mostra un tavolo intarsiato d'ebano e fregiato d'argento, destinato forse un tempo, a qualche sfondolato riccone delle Filippine, e tutto ingombro di bottiglie e di calici del più puro cristallo di Venezia. Addossati agli angoli, grandi scaffali, coi vetri infranti, chi sa per qual capriccio del pirata, riboccanti di anelli d'oro, di arredi sacri contorti o schiacciati, di vasi di metallo prezioso, di perle e di cumuli di diamanti e di brillanti mescolati assieme, scintillanti come tanti soli, sotto i riflessi della gran lampada dorata sospesa al soffitto.

In un canto undivano turco, non meno ricco per dorature e sculture, colle frange strappate e le stoffe infangate e spesso insanguinate; in un altro unarmoniumincrostato d'oro, colla tastiera di avorio, che portava qua e là certi segni, da credere che fossero statifatti a colpi di scimitarra, avventati forse dal pirata nei suoi momenti di delirio, e per ogni dove, ammonticchiati alla rinfusa, ricchi costumi, quadri dalle tele screpolate, dovuti forse a celebri pennelli, tappeti arrotolati, lampade rovesciate, bottiglie ritte o capovolte, porcellane infrante, moschetti indiani rabescati, brunite carabine, tromboni di Spagna, e spade, scimitarre, scuri, piccozze e pugnali, bruttati di sangue e di resti di cervella!

In quella sala, così stranamente arredata, su di una poltrona, colla testa fra le mani, come di chi medita, se ne stava Sandokan, il sanguinario capo dei pirati di Mompracem.

Quest'uomo, meglio conosciuto sotto il nome di Tigre della Malesia, che da dieci anni insanguinava le coste del mar malese, poteva avere trentadue o trentaquattro anni.

Era alto di statura, ben fatto, con muscoli forti come se fili d'acciaio vi fossero stati intrecciati, dai lineamenti energici, l'anima inaccessibile a ogni paura, agile come una scimmia, feroce come la tigre dellejunglamalesi, generoso e coraggioso come il leone dei deserti africani.

Aveva una faccia leggermente abbronzata e di una bellezza incomparabile, resa truce da una barba nera, con una fronte ampia, incorniciata da fuligginosi e ricciuti capelli che gli cadevano con pittoresco disordine sulle robuste spalle. Due occhi di una fulgidezza senza pari, che magnetizzavano, attiravano, che ora diventavano melanconici come quelli di una fanciulla, e che ora lampeggiavano e schizzavano fiamme. Due labbra sottili, particolari agli uomini energici, dalle quali, nei momenti di battaglia, usciva una voce squillante, metallica, che dominava il rombo dei cannoni, e che talvolta si piegavano a un melanconico sorriso, che a poco a poco diventava un sorriso beffardo fino al punto ditrovare il sorriso della Tigre della Malesia, quasi assaporasse allora il sangue umano!

Da dove mai era uscito questo terribile uomo, che alla testa di duecento tigrotti, non meno intrepidi di lui, aveva saputo in poco volger d'anni farsi una fama sì funesta? Nessuno lo avrebbe potuto dire. I suoi fidi stessi lo ignoravano, come ignoravano pure chi egli si fosse.

Qualcuno, che voleva saperla più lunga di tutti, o che forse realmente sapeva qualche cosa, opinava che fosse un Sambas delle coste settentrionalidel Borneo, qualche altro invece, opinava che fosse un Malese, o un Giavanese, o un Dajacho.

A ogni modo si sapeva che egli era il più terribile e il più capriccioso dei pirati della Malesia, un uomo che più di una volta era stato visto bere sangue umano,e, orribile a dirsi, succiare le cervella dei moribondi. Un uomo che amava le battaglie le più tremende, che si precipitava come un pazzo nelle mischie più ostinate dove più grande era la strage e più fischiava la mitraglia; un uomo che, nuovo Attila, sulsuo passaggio non lasciava che fumanti rovine e distese di cadaveri.

Però se questa belva, se questo uomo-tigre era così sanguinario, non mancava di una certa generosità, che lo rendeva più attraente.

Quante e quante volte egli aveva rimandato, rifiutandopersino il riscatto, dei prigionieri, nemici suoi personali. Quante e quante volte, dopo aver lottato ore e ore contro una nave ostinatamente difesa, con gran strage dei suoi pirati e con gran pericolo di sé stesso, vintala, la lasciava ripartire senza nulla esigere in compenso, e senza che i suoi tigrotti osassero alzare la voce.

Così, come era generoso, questo strano selvaggio, era pur cavalleresco. Il singolar uomo, quando gli veniva dato di fare prigioniere delle donne, usava verso di esse mille cortesie, improvvisando feste e banchetti, e continuando in tal modo fino a che la smania della guerra lo riprendeva. Allora, una bella notte, le faceva imbarcare a bordo dei suoiprahos, e senza chiedere uno spillo che fosse uno spillo, senza voler accettare unringraziamento, le conduceva alla costa più vicina, e prima che potessero riaversi dalla sorpresa di quella strana generosità, le sbarcava, per ripigliare di poi la sua vita libera e avventuriera.

Erano già parecchie ore che il pirata se ne stava lì, sdraiato sulla poltrona, colla fronte stretta fra le mani, lo sguardo cupo e le labbra contratte. Il primo tocco della mezzanotte, suonato da un orologio della stanza vicina, venne a trarlo da quella immobilità più che strana.

Si levò girando all'intorno lo sguardo ancor più torvo, tracannò d'un fiato una tazza ricolma d'un liquore color ambra, e calcandosi ben in capo il verde turbante cosparso di piccoli diamanti, aprì la porta e uscì.

Egli s'inoltrò in mezzo a un labirinto di trincee sfondate che parevano aver sostenuto più di un assalto, fra terrapieni che non conservavano che l'ombra di sé stessi, d'antiche armi infrante e da rottami d'ogni sorta, in mezzo ai quali facevano lugubremente capolino scheletri umani dalle vuote occhiaie e monti d'ossami.

Nel passare, il pirata mise i piedi su di un teschio umano, che s'infranse crocchiando.

—Maledetto! — esclamò la Tigre.

S'arrestò sull'orlo della rupe. La notte era tempestosa; il vento ruggiva fra le trincee e sul tetto accuminato della capanna sfilacciando labandiera color di sangue che ondeggiava sulla cima di una grande antenna, e il mare muggiva furiosamente ai piedi delle scogliere, e i tuoni rombavano orrendamente fra le masse vaporose.

Diede uno sguardo al villaggio di Gjehawem che stendevasi ai suoipiedi, l'asilo dei suoi cari tigrotti, poi guardò attentamente il mare aspettando che un lampo lo rischiarasse.

Stette cinque minuti immobile, sull'orlo della rupe, colle braccia incrociate aspirando voluttuosamente il vento infuocato del sud, lasciandosiflagellare dalla pioggia e collo sguardo fisso sullo sconvolto oceano, poi ritornò senza affrettarsi all'abitazione. Vuotò un'altra coppa e tornò a sdraiarsi sulla poltrona. Non vi restò che un istante, parve indeciso, ritornò alla porta tendendo l'orecchio e facendo un brusco voltafaccia si portò dinanzi l'armonium.

— Qual contrasto! — esclamò egli. — Al di fuori il ruggito del vento e del mare e qua io!

Fece scorrere le magre dita sulla tastiera traendone alcuni suoni che a poco a poco presero l'apparenzadi una romanza suonata con lentezza estrema, appena appena distinta fra lo scatenarsi della tempesta. A poco a poco andò accelerandosi quasi volesse esprimere il veloce pensiero del suonatore, per poi ritornare lenta e melanconica fino a morire tra i soffi del vento. Sandokan si arrestò nel momento che riprendeva la bizzarra romanza. Il suo occhio brillante si fissò sulla porta semiaperta per la quale si introducevano sprazzi di pioggia, e parve ascoltare. Quasi nel medesimo istante un fischio acuto e prolungato risuonò al di fuori.

— È lui! — mormorò il pirata e si diresse verso l'uscita colla dritta appoggiata sull'impugnatura del kriss.

La tempesta si scatenava allora con tutta violenza, ma erano gli ultimi sforzi che faceva. Già una tinta chiara s'intravvedeva all'oriente, segno che le nubi spossate cominciavano a lasciar un varco.

Il pirata si spinse fino alla scala, accostò le dita alle labbra e, aspettando un momento in cui tutti quei fragori parevano acquetarsi, mandò un fischio prolungato, modulato,a cui vi rispose un secondo del tutto simile partendo fra le piante della pianura sottostante.

— Il mio uomo è arrivato in buon punto. Perdeva la pazienza — brontolò Sandokan.

Un'ombra si disegnò appié della tortuosa scala, che a poco a poco prese l'aspetto di un uomo avvolto in un gabbano di tela cerata. Aiutandosi colle mani e coi piedi come scimmia e lottando contro il vento che minacciava portarlo via per precipitarlo nell'abisso, giunse fino alla piattaforma.

— Sei tu, Yanez? — domandò Sandokanmovendogli incontro.

— In persona — rispose quell'uomo, con l'accento straniero.

I due valentuomini entrarono assieme nell'abitazione rinchiudendo la porta. Sandokan prese posto dinanzi la tavola empiendo due bicchieri, mentre l'altro, gettando in un cantoil gabbano grondante acqua e una ricca carabina indiana, faceva altrettanto.

— Alla tua salute, Sandokan! — esclamò egli tracannando in un sol fiato il liquore.

— Alla tua, Yanez — rispose il pirata, ma non lo vuotò che a metà.

Il nuovo arrivato non era abbronzato come il formidabile pirata, né si bello. Era un uomo di mezzana statura, ma agile come un'anguilla, allegro come lo poteva essere un marinaio che nuota nel lusso e si avvoltola nell'oro e con un misto di fierezza e di cortesia che lo facevano apparire a prima vista un nobile cavaliero. E infatti l'occhio non poteva ingannarsi; Yanez de Gomera era un nobile portoghese delle Celebe, uno di quegli uomini che emigrando aveano centuplicato il patrimonio e con che, divoratolo in pazzie e ridotto sul lastrico, aveva avuto il coraggio di farsi marinaio, trafficando con un piccoloprahosdi poco valore fra le isole della Malesia. Era giunto ancora a raccozzare un po' di oro col quale pensava d'impiantare una nuova fattoria a Borneo, quando cadde sotto le unghie di Sandokan, che per una di quelle bizzarrie inesplicabili, gli aveva lasciato la vita e, non contento di condurselo a Mompracem, aveva finito col farsene un amico, un confidente. Yanez de Gomera, un discendente degli antichi avventurieri del Portogallo, aveva finito col diventare un pirata come il suo padrone e amico. Non vi era arrischiata spedizione che egli non vi partecipasse quando Sandokan la guidava e l'ordinava, non vi erano ostacoli che lo arrestassero quando egli ve lo mandava. Era come un anello del formidabile pirata, pronto a farsi ammazzare per lui alla prima occasione, un uomo che aveva le medesime bizzarrie e i medesimi capricci e che aveva finito col chiamarlo fratello. Tra lui e il pirata non vi erano secreti; quei due uomini parevanonati l'un per l'altro: la morte sola avrebbe potuto dividerli.

— Ebbene, Yanez, sono sei ore che ti aspetto — disse Sandokan, empiendo il bicchiere di lui.

— La tempesta mi ha sorpreso alle Romades — rispose Yanez. — Vedi, Sandokan, il cattivo genio vi aveva messo la sua coda e soffiava come un'anima dannata sollevando il mare a prodigiosa altezza, sbattendo il povero prahos fino alle nubi. Si sudava sangue per impedire che il legno affondasse.

Il formidabile pirata sorrise guardando suo fratello, il Portoghese, come lo chiamava lui.

— Ti confesso che per poco vi lasciava la pelle. Eravamo sui frangenti dell'isola tanto da credere che il povero prahos vi si sfasciasse sopra, quando il buon genio ci ha spinti alla baia.

— E la crociera? Tu, Yanez, mi promettevi dei prahos da saccheggiare, non è vero?

Il Portoghese fece scoppiettare le dita come uomo contento, e tracannando il secondo bicchiere continuò:

— Non aver fretta Sandokan; avrai la tua parte di cadaveri. Ieri mattina un Malese che pescava alle Romades, un pirata dalla faccia verde come un alligatore, è venuto a trovarmi a bordo del mio prahos con fare misterioso. Il brav'uomo, sicuro di guadagnarsi qualche bella perla, mi disse che al largo delle isole si vedevano delle vele. Non aveva terminato che già ripigliava il mare colla prua al sud; i miei uomini fremevano già come tigri, che fiutano del sangue.

Sandokan si fece più attento. Le sue labbra poco prima sorridenti si ritrassero mostrando i denti.

— Oh! Oh! — esclamò egli a mezza voce. — Tira innanzi, Yanez.

— È presto fatto. Il vento a mezzodì, cangiò girando al sud e non fu più possibile avanzare che a forza di remi. Solamente verso sera, un'ora prima che la tempesta cominciasse a ruggire, giungemmo alla vista delle Romades, malaugurate terre che paiono protette dai cattivi geni. Le tenebre calavano come uno stormo di corvi, il mare montava spumeggiando, il vento ringhiava, ma la caccia non per questo si abbandonò. Tutti volevano vedere sangue.

— E l'hanno veduto? — domandò Sandokan fattosi pensieroso.

— No, per mille milioni di diavoli. Potemmo vedere al largo uno dei prahos che, a tutte vele spiegate, cercava approdare. Ti giuro, Sandokan, che aveva ventre rigonfio e portamento rispettabile. Ma il maledetto fu perduto di vista, ancor prima che si potesse abbordarlo. Le tenebre e la tempesta andavano allora d'accordo per aiutarlo, e chi sa ora dove si è cacciato.

— Tanto meglio! Tanto meglio! — ripeté Sandokan sorridendo.

— E perché, di grazia? — chiese Yanez lasciando andare un pugno sulla tavola.

—Perché domani pure io prenderò parte alla festa. M'immagino ormai qual via tenevano quei legni e indovino quale sia il loro carico. Lo vedrai, Portoghese, almeno uno cadrà in nostre mani. I nostri tigrotti potranno bere sangue.

— Bene, e poi dove si andrà?— chiese Yanez versandosi da bere.

Il pirata parve pensasse, poi si alzò, fece due o tre volte il giro della stanza e toccò per la seconda volta la tastiera dell'armonium.

Il Portoghese si accontentò di crollare la testa, e di sorseggiare il trasparente liquore, guardando distrattamente nel fondo del bicchiere.

Accadeva spesso che la Tigre, per uno di quei capricci inesplicabili, suoi proprii, lasciasse sospesa la domanda e si racchiudesse in un ostinato silenzio, che alcuno sarebbe stato capace di rompere.

— Lasciamolo suonare — mormorò l'avventuriero e, per non annoiarsi del tutto, andò a staccare una vecchia mandola, coll'intenzione senza dubbio di accompagnarlo.

Non aveva ancor toccate le corde, che Sandokan cessò dal suonare. S'avvicinò bruscamente altavolo, e guardando fissamente il Portoghese, gli domandò con voce alquanto sorda:

— Hai veduto alcun pirata delle coste del Borneo?

— Sì, ho veduto Akamba — rispose il Portoghese.

— Che nuove di Labuan? Quegli avvelenatori di popoli, quei rubaterre, queicani di Inglesi, sono sempre là accampati sull'isola?

— Credi tu, Sandokan, che il capitano Rodney Mundy avesse fatto una inutile comparsa a bordo dell'Iris? Quei ladroni, dove gettano l'occhio, si fanno padroni.

— Hai ragione Yanez. Ma di' a loro, che muovan un dito contro Mompracem!... La Tigre della Malesia, se l'osassero, saprebbe bere tutto il sangue delle loro vene!

— Lo so, Sandokan. Ascoltami ora.

— Ti ascolto.

— Sai che ho udito ancora parlare della Perla di Labuan?

— Ah! — fe' il pirata scattandoin piedi. — Ecco la seconda volta che questo nome mi giunge agli orecchi e che tocca stranamente una corda sconosciuta del mio cuore. Sai, Yanez, che questo nome mi colpisce singolarmente? — Sai almeno che cosa sia questa Perla di Labuan?

— No. Non so ancora se animale o donna. Ad ogni modo mi mette curiosità.

— In tal caso, ti dirò che è una donna.

— Una donna?... Non l'avrei mai sospettato.

— Sì, fratellino mio, una giovanetta dai capelli castani profumati, dalle carni lattee, dagli occhi incantevoli.Akamba, non so ancora in qual modo, la poté vedere una volta, e mi disse che per dimenticarla, gli occorrono fiumi di sangue, e almen cinquanta abbordaggi.

— Ah! — fe' il pirata con voce leggermente agitata. — Akamba ha detto questo?

— Sicuro.

— Deve essere, questa Perla, una creatura celeste per toccare il cuore di quel selvaggio.

— È quello che penso pur io, Sandokan. Sai, che io darei il meglio del mio bottino della settimana scorsa per vederla?

Sandokan non rispose. Solo le sue labbra si contrassero inistrana maniera, lasciando a nudo i denti, bianchi come l'avorio e accuminati come quelli di una tigre.

— Vivaddio! — esclamò il Portoghese. — Te lo confesso sinceramente, Sandokan, che mi sento scottare dalla voglia di fare un giretto verso quella dannataisola. So, so bene che non sono che idee, ma...

— E perché non sono che idee? — chiese con tono beffardo Sandokan.

— Chi di noi, andrà a gettar l'âncora sulle coste di Labuan? Sono troppo pericolose oggi.

— Ah! — esclamò Sandokan. — Nol sai chi sarà l'audace, che spiccherà il volo per Labuan?

— In fede mia, nol saprei.

— Ebbene, fratello mio, quest'audace sarò io, la Tigre della Malesia!...

— Sandokan! — esclamò il Portoghese spaventato. — Tu ti vuoi perdere!

La fronte della Tigre s'annebbiò e lo sguardo si fece fosco.

— Guarda, Sandokan — continuò Yanez. — Tu sei valoroso fra i valorosi, che fai mordere la polvere ai più valenti campioni di Borneo. Le tue braccia accerchiano potentemente questi mari che possono chiamarsi tuoi. Tu devii le palle direttesul tuo petto e spunti le armi, ma la forza talvolta cede al numero, e potrebbe darsi che a Labuan incontrassi un nemico potente e forte quanto te e fors'anche più, che potrebbe accerchiarti, avvilupparti, soffocarti. Che ne dici, Sandokan?

Il pirata non disse verbo; solo la sua fronte s'ottenebrò ancor più e le labbra semi-aperte lasciarono sfuggire un rauco sospiro che sembrava un lontano ruggito.

— Vedi — ripigliò Yanez, — tutti han giurato in questi mari la tua perdita. Il tuo nome suona troppo alto fraqueste isole ed insolita è la tua audacia. Credi tu che l'affamata Inghilterra non abbia gettato lo sguardo sulla nostra Mompracem e non abbia teso delle reti a Labuan? Se puoi, domanda che fa quel fumante incrociatore, di cui tu me ne hai parlato. Non può essere che una spia, non può essere che un leone silenzioso nel deserto che s'aggira attorno la tenda dell'Arabo, aspettando il momento opportuno per precipitarvisi contro. Se tu vai a Labuan, ti piomberà addosso prima che tu tocchi le coste dell'isola maledetta.

— Ma incontrerà la Tigre!... — esclamò Sandokan che tramutavasi tutto.

— E sia. Il leone perirà nella lotta, ma il suo ruggito giungerà fino alle spiaggie dell'occidente. Cento nuovi leoni si slancieranno sulle traccie della Tigre, fino a che verrà un dì che la incontreranno intavolando una suprema pugna. Morranno dei leoni, ma morrà anche la Tigre!

— Io?...

Sandokan si era alzato mugolando come la Tigre della Malesia. Un sinistro sorriso sfiorava le labbra contratte pel furore, mentre gli occhi lanciavano lampi e le mani raggrinzate brandivano fremendo un'arma immaginaria. Fu un lampo. Tornò a sedere vuotando fino all'ultima goccia il contenuto del suo bicchiere.

— Hai ragione — diss'egli perfettamente calmo.

— Credi tu che abbiamo parlato bene?

—Troppo bene, fratello mio.

— E che recarsi a Labuan sia la massima delle imprudenze?

— Sì.

— Ebbene, che hai deciso?

Sandokan stette un momento sopra pensiero, poi con voce vibrante, metallica, irrevocabile:

— Andrò a Labuan a vedere la Perla, dovessi abbordare l'incrociatore e misurarmi con tutti gl'Inglesi dell'isola!...

E siccome il Portoghese stava per ribattere la parola, stizzito:

— Silenzio — disse con gesto imperioso. — Silenzio, fratello mio. Così voglio!...

CAPITOLO III pirati di Mompracem

All'indomani, ancor prima che le sei fossero suonate, Sandokan eil Portoghese erano in piedi, sorseggiando una tazzadithe, che un garzone dalla tinta giallognola aveva loropreparato.

— Ebbene, Sandokan — disse il Portoghese, —sei ancora fermo nella tua idea?

— Fermissimo, fratello mio — rispose il pirata.

— E lasciarti tu sfuggire una sì bella occasione,d'abbordare dei prahos carichi di mercanzie preziose, pel capricciodi recarti a Labuan?

— Oibò! Non aver paura, Yanez. L'interesse innanzitutto.

—Sicché, daremo la caccia ai due legni?

— Certamente. Dove vedo sangue, e dove c'è occasionedi fiutare polvere, ci corro.

— Per poi andarti a far assassinare a Labuan? Ah!Sandokan, tu tronchi il mio sogno di andar a finire la mia vita inuna città dell'oriente.

— Pueh! — fe' il pirata alzando sdegnosamente lespalle. — Che belle idee d'avventuriero.

— Cospetto! Vorresti tu che una volta tanto ricco dasfidare la miseria, me ne restassi ancora a Mompracem, come unsorcio in trappola?

— In tal caso, non prenderai parte alla spedizione. Nonvedrai questa Perla, e potrai continuare i tuoi sogni.

— Eh! Non lo pensare nemmeno, Sandokan.

— La Perla ti attira adunque?

— Niente affatto. Ma lasciarti partire senza di me,sarebbe metterti la corda al collo per appiccarti. Senza la miaprudenza a quest'ora saresti morto le cento volte.

— Lo credi? — chiese la Tigre con tonoincredulo.

— Sì, perdio, che lo credo.

— Ed io niente affatto.

— Perché, di grazia?

— Perché?... Perché io sonoinvulnerabile!...

— Tu vuoi burlarmi, Sandokan.

— Zitto là, fratello mio. I prahos, non sono d'umoredi aspettare che tu finisca i tuoi discorsi. Prendi la tua carabinae scendiamo al villaggio. I nostri tigrotti, mi pare di vederli,s'impazientano. Hanno sete e sete di sangue.

Il Portoghesecacciò fuori un sospirone, e maledicendo incuor suo la Perla di Labuan, staccata dalla parete una pesantecarabina, seguì la Tigre di già uscita.

L'uragano era del tutto cessato, lasciando solo qualche nubesull'orizzonte e le traccie del suo passaggio nelle forestedell'isola. Il sole, sciolti gli ultimi vapori, brillavaall'oriente colla solita fulgidezza, versando torrenti di fuoco nelmare ancor agitato dai soffi della notte, e sulle verdeggiantipianure, in mezzo alle quali scorrevano numerosi ruscelli etorrenti, che parevan filoni d'argento liquido, scesi da miniereinesauribili.

I due pirati scesero la tortuosa scala, e si diressero verso laspiaggia, presso la qualeprahosd'ogni dimensione e incompleto armamento da guerra, danzavano all'âncora.

La loro comparsa fece uscire dalle capanne del villaggio tutti ipirati che le abitavano. Essi corsero come un sol uomo a schierarsidinanzi ai due capi presentando colle loro cento divise e le lorocento tinte, uno spettacolo bizzarro.

Vi si vedevano in mezzo dei Cinesi dalla tinta gialla comepoponi colpen-sse( ()Latreccia )nazionale; Indiani dal capo rasato, cui unacontinua vita di pericoli aveva dato loro una certa dose dicoraggio del quale mancano generalmente i loro compatrioti; deiMalesidalla statura bassa, ma membruti e robusti, dalla facciaquadra, piatta, ossuta, a tinta fosca; dei Battiassi di unacarnagione fuliggine chiara e ancor più piccoli ma forsepiù robusti e che al coraggio aggiungevano ferociad'antropofagi; dei Lampunghi non molto dissimili dai Cinesi; deiNegritos d'orribile struttura e dalle teste enormi, e un miscugliodi Giavanesi dai piacevoli lineamenti, di Daiassi del Borneosanguinarissimi, dei Bughisi, di Macassaresi e infine dei Tagalidelle Filippine.

Erano più diduecento uomini, duecento tigrotti raccozzatiin tutte le terre della Malesia, senza scrupoli e senza religione,ciechi istrumenti della terribile Tigre della Malesia, cui unaparola sola bastava per magnetizzarli, e una sola minaccia perfarli tremare, mentre che dinanzi alla mitraglia e ai moschetti nonavevano mai tremato!

Sandokan gettò uno sguardo di compiacenza sui suoitigrotti, come amava chiamarli.

— Ehi! Patau, salta innanzi — diss'egli.

Un uomo di bassa statura, ma dalle forme di unarobustezzaeccezionale, un Malese che fino dai primi anni avevafiutato la polvere di cannone suiprahospirateschi, sistaccò dalla banda e si fece innanzi con un dondolamento dilupo di mare.

— Sei tu, se non m'inganno, che vorresti vedere la Perladi Labuan? —chiese la Tigre.

— Sì, capitano — rispose il Malese.

— Sei tu, che ti lagni sempre di aver sete di sangue?

— Sì, Tigre della Malesia. Il tuo tigrotto ha sempresete.

— Sta bene. Armerai due dei più rapidi prahos. Tivoglio accontentare.

Il Malese non avevaancora ascoltato l'ultima parola che giàvolava, tirandosi dietro con un fischio mezza banda. In meno chenon si dica i due più rapidi legni si trovavano pronti asciogliere le vele.

— Bene — disse la Tigre, che non faceva a menod'ammirare con legittimoorgoglio i suoi uomini. — Tutti sonosmaniosi di andare a Labuan a vedere questa Perla; per Allah!danzeranno tutti al tuonar dei cannoni! Vieni, Yanez.

Nel momento che i due capi stavano per dirigersi alleimbarcazioni amarrate sulle sabbie, un indigeno dalla tinta neracome l'inchiostro, dalle labbra grosse come quelle degli africani,il naso stiacciato, gli occhi torvi e brillanti come quelli di unacivetta, sbucando dalle foreste circostanti, avvicinossi aloro.

— Oh! l'orribile mostro! — esclamòYanezsegnalandolo al suo compagno.

— Ah! sei tu, Nini Balu? — disse Sandokanarrestandosi. — Mi hai l'aria, di portarci qualchenovità. Su, cattiva creatura, sciogli la tua lingua davipera.

— Un sospiratore affannato fuma in vista dell'isola— rispose il selvaggio.

Sandokan aggrottò la fronte, e portò involontariamenteuna mano sull'impugnatura delkriss.

— Tu vuoi dirmi che un incrociatore bordeggia allargo?

Il selvaggio fece un cenno affermativo col capo.

— Che fa questo vascello? — chiese la Tigre convocerauca.

— Ci spia. Non fidarti, Tigre, di quella bestia nera. Haun malefizio nel ventre.

Sandokan non rispose. Egli mirò distrattamente e per alcuniistanti l'onda che veniva a morire quasi ai suoi piedi, poivolgendosi bruscamente verso Yanez:

— Hai udito, fratello? — domandò egli.

— A meno di non essere sordo, sicuramente — risposeil Portoghese.

— Yanez — disse gravemente il pirata, — quelfumante incrociatore non mi dà a pensare, finché io battoil mare. Ma tu sai quanto il mare sia ampio, e quanto siafacileperdere di vista il nemico; finché io lo cerco, potrebbepiombare sull'isola e dar fuoco al nostro covo. Ora occorre un uomodi ferro per impedire che si bombardi il villaggio. Turimarrai.

— E tu? — domandò il Portoghese.

— In quanto a me proseguola via che mi son fissato ditenere. Andrò, se mi si offre il destro dopo la presa deilegni, non solo a veder la Perla, ma a bombardare Vittoria, lacittà di Labuan.

— Ti occorrono venti prahos per lo meno, Sandokan.

— Alla Tigre della Malesia basta il suo ruggito perispaventare il leone — disse Sandokan fieramente.

Poi si volse e fece un gesto a Patau, che avvicinossi come unlampo.

— Quaranta tigrotti a bordo dei prahos — disse.— Bada che sieno tutti assetati.

— Attaccheremo l'incrociatore? —chieseimprudentemente il Malese.

— Ciò non ti riguarda, rettile. Spicciati, perCristo!

Il Malese si allontanò senza fiatare. Scelse quaranta deipiù coraggiosi uomini, la maggior parte Daiassi, Malesi eBattiassi e li fece imbarcare a bordo dei due legniassieme a duecannoni di rinforzo.

Sandokan tornò a volgersi verso il Portoghese, che sembravapensieroso e di cattivo umore.

— Suvvia! A che tenermi il broncio? — gli disse.— Avrai la tua parte di bottino lo stesso, lo sai bene.Vorrai dei prigionieri? Te li porterò. Vorrai sangue da bere?Te ne porterò una nave carica. Che vuoi di più?

— Ah! Sandokan! Ho il presentimento che questa spedizioneti sia fatale.

— Lascia i presentimenti alle femmine, Yanez. Orsù, iprahos mercantili non mi aspettano, lo sai.Addio, fratello.

— Addio, Sandokan. Che la buona stella ti guidi.

I due pirati si abbracciarono, come solevano far sempre quandointraprendevano una spedizione, dove non erano sicuri di tornarsempre. Poi la Tigre, colla testa alta, la carabina in mano,l'occhio acceso e le labbra contratte a un feroce sorriso,s'allontanò. Salì in una ricca imbarcazione, e in pochicolpi di remo raggiunse il suoprahos.

Le âncore, in meno che nol si dica, furono strappate dalfondo e le grandi vele furono sciolte al ventoda unasquadra didiavoli color verde-oliva o nero fuliggine, che parevano dotatidella potente agilità delle scimie.

— Rotta per le Romades! — si accontentò di direSandokan, poi andò sedersi a prua sulla culatta del suocannone favorito, con lo sguardo acuto, che avrebbe sfidato quellod'un'aquila, rivolto al sud.

I due legni, coi quali la Tigre stava con la sua solitaintrepidezza per intraprendere la caccia dei mercantili e di poi laspedizione sulle pericolose coste di Labuan, appartenevano a quellaspecie conosciuta nella Malesia sotto il nome diprahosodipralì.

Erano due legni bassi di scafo, di forma allungata e snella,più alti a poppa che a prua, e provvisti sottovento dibilanciere per impedire che una raffica improvvisa li rovesciasse esopravento di un largo sostegno di bambù per la zavorra.

Portavano vele della lunghezza di quaranta e più metri diforme allungate, composte di striscie di grossa tela di cotonedipinta, con pennoni tesi obliquamente, fatti di bambùstrettamente legati con fibredirotang, e alberitriangolari, grossi, un lato dei quali veniva formato dalla copertadelprahos. Avevano doppi timoni per meglio dirigerli, uncasotto sul ponte chiamatoattap, l'attrezzatura tutta dibambù, dirotange di fibre digamuti, e grossicannoni a prua e spingarde dal lungo tiro, per poter gareggiarecolle navi meglio armate.

Al comando di Sandokan, i due legni pirateschi si affrettarono aprendere il largo descrivendo curve con matematica precisione perevitare le scogliere che fanno pericolosa corona all'isola, ebruschi angoli per non urtare contro le secche e i banchimadreporici.

Una volta usciti da quel laberinto, quantunque il vento fosse unpo' debole, misero la prua al sud, guizzando e rimbalzando comepalle elastiche sulle onde, filando senza darlo a vedere tre equattro nodi all'ora, rapidità sufficiente per poterraggiungere i legni mercantili, che dovevano camminar assaimeno.

Tutti i pirati, benché la distanza fosse ancoraragguardevole dalle Romades, e nessuna vela apparisseall'orizzonte, si misero in osservazione, i più agili acavalcioni dei pennoni per abbracciare maggior spazio e gli altriin piedi sulle murate, aggrappati alle sartie e alle griselle.

Quaranta cannocchiali viventi, in pochi minuti, scrutavano itrentadue punti della bussola, spiando la preda non solo, ma ancheil fumante incrociatore, verso il quale avevano qualcheapprensione.

Non era nemmeno da supporsi che avessero paura di esso o chetemessero un incontro, malgrado la sproporzione delle forze.Avrebbe bastato che si fosse fatto vedere e che la Tigre ordinassel'abbordaggio per espugnarlo. Solo avevano qualche timore che siunisse a qualche altro legno, e che sbarcasse improvvisamentesoldati su qualche punto mal guardato di Mompracem.

Anche la Tigre della Malesia pensava all'incrociatore, ma non sipreoccupava tanto.

Pure, volendo assicurarsi di ciò che pensavano i suoiuomini sulla probabile presenza di quel legno, chiamò Patau.Il Malese fu lesto ad accorrere.

— Credi tu — chiese la Tigre, — che quelmaledetto negro non ci abbia ingannati?

— E perché avrebbe voluto ingannarci? — disseil Malese. — Nini Balu è una creatura, che non sarebbecapace di trattare collegiacche rosse( ()Inglesi così chiamati per le giacche rosse cheportano i soldati diinfanteria di marina ). Sono sicuro, permio conto, che il sospiratore affannato spii l'isola colla speranzadi ornare le sue antenne di impiccati.

Le labbra della Tigre si piegarono a una smorfia, che volevaessere un sorriso.

— Credi tu che i nostri uomini si preoccupino dellapresenza di questo legno?

— Oibò — esclamò Patau con un'alzata dispalle. — Per preoccupare i tigrotti di Mompracem, guidatidalla Tigre della Malesia, occorrerebbero cento navi, e ancorqueste sarebbero poche.

— Vedete, capitano. Alla sola idea che quel sospiratoreaffannato ci spia, tutto il mio sangue bolle e quello dei mieicompagni fuma. Quando l'incontreremo, il sangue diverrà fuoco,e voi sapete ciò che vuol dire. Succederà un massacro enella macchina getteremo a bruciare cadaveri anzichécarbone.

— Lo so, Patau, che un dì o l'altro, ne ho lacertezza, ci capiterà alle spalle. Ci spia, ma freme al mionome, e trema dinanzi alla mia potenza. Guarda: forse ha gettatodei liquori fra gli indigeni di Mompracem, forse sa che io hoabbandonato il mio covo, e forse non ignora su quale terra iomuova, ma non ardisce inseguirmi. Quaranta uomini, quarantatigrotti gli fan paura e si tace!

— È roba vecchia, capitano. Quellegiaccherossenon sono forti che coi deboli. Non avete udito direcomesiano sbarcati a Labuan? Tiravano cannonate per misurarsi con queimiserabili selvaggi, che non avevano mai fiutato polvere dicannone.

— Lo so — disse la Tigre sordamente. — Mavorrei essere stato io laggiù coi miei prahos. L'Iris nonsarebbe piùtornato su queste coste, e il suo comandante RodneyMundy sarebbe andato a trovare le madrepore appeso al suo ponte dicomando.

— Ah! — esclamò il Malese con tono dirimpianto. — Bisognerebbe andare un dì o l'altro aLabuan. Sarebbe il mio sogno.

— E chi dice, Patau, che io non vi andrò? Uno stranocapriccio mi ha preso, Malese mio: voglio andar a vedere laPerla.

Il Malese fece un salto indietro.

— Per Allah! — esclamò egli sorpreso. —Vi avrebbe toccato il cuore questa Perla?

Una nube oscurò la fronte della Tigre della Malesia.

— Ah! — ghignò Sandokan. — Credi tu cheil mio cuore, inaccessibile a ogni passione, abbia perduto la suainvulnerabilità?

— No, capitano. Ma dicesi che questa Perla sia cosìbella!...

— Le mie bellezze, Patau, se tu nol sai, non sono che lepugne, i fiumi di sangue, e i monti di cadaveri. La Tigre dellaMalesia non conosce altre bellezze.

La fronte di Sandokan s'aggrottò e la sua faccia prese unatruce espressione. Volse bruscamente le spalle al Malese, e si misea guardare attentamente il mare, senza aggiungere altra parola.

Iprahoscontinuarono la loro caccia, veleggiando sempreverso le Romades, accelerando la corsa pel vento che andavaprendendo forza, guizzando come pesci, tagliando nettamente a pruale spumeggianti onde, che spruzzavano fino alla Tigre.

Man mano che la distanza scemava, tutti gli occhi dei marinaiprendevano maggior potenza visiva. Le pupille si allargavanoscrutando il meridionale orizzonte, e le mani si avvicinavanoinsensibilmente alle carabine, alle scuri ealle sciaboled'arrembaggio, quasi indovinassero prossima la presenza dei legnimercantili, mentre quelle fiere figure d'uomini parevano acquistarenovella forza, novella ferocia, cento volte raddoppiata dalmagnetico sguardo della Tigre.

E infatti iprahosmercantili, segnalati ilgiorno precedente, non dovevano essere gran fatto lontani. Se sierano arrestati alle Romades, il che poteva essere facile, dovevanoapparire fra breve tempo, calcolando la loro destinazione perLabuan o Varauni.

A ogni modo, sia in pieno mare o sotto costa, fossero pure sottoquella di Borneo, non potevano sfuggire. Avrebbe bastato una paroladi Sandokan per decidere i pirati ad assalirli anche in mezzo a unporto, sotto i cannoni dei forti.

— Guarda sottovento! — gridò d'un tratto unDayasso che erasi arrampicato fino alla banderuola dellamaistra.

Sandokan, a quel grido, si rizzò. Gettò uno sguardosul ponte del suoprahose uno su quello che veniva dietro aventi soli passi lontano, e parve che fremesse. Attraversò lacopertae andò a mettersi egli stesso al timone. Non bisognascherzare negli arrembaggi, dove il più piccolo fallo puòcausare un urto e una catastrofe. Egli respinse Patau.

— Il cannone di prua non domanda che di ruggire —gli disse. — Fa in modo che possa mordere.

— Bene, capitano, morderà — rispose ilMalese.

A un suo fischio sei dei più risoluti pirati si misero ailati dell'abbronzato pezzo che pareva volesse rizzar da solo lafumigante bocca verso gli orizzonti del mezzodì.

I dueprahosparvero accelerasserola corsa. In duebordate si spinsero innanzi di quattrocento metri, scuotendo didosso la spuma delle onde. I quaranta pirati balzarono in piedicome un uomo solo colle armi di già in mano, l'occhiosanguinoso fisso al sud ove scorgevasi un punto giallastro chesembrava radere l'orizzonte a tratti, ora scomparendo come se fossecolato a picco e ora rialzandosi impercettibilmente, ma tanto dapoterlo scorgere nuovamente e riconoscerlo non già per labianca spuma di un'onda ma per la vela di unprahoscheveleggiava verso l'est.

— È una vela! — esclamò un Battiasso dallastatura colossale, dalla tinta color ferro.

— E chi dice di no? — domandò un Tagalo delleFilippine dalla carnagione rossastra e col viso tagliato a rombo.— Ma non vedi tu, che è sola?

— Eh! eh! — esclamò un Malese dall'incederefurbesco. — Che sieno fuggiti gli altri due adunque?

— Bisognerà crederlo, Ragno di Mare — risposePatau volgendosi verso il suo compatriota. — Vi ha dascommettere che gli altri due hanno volto la prua al sudo che hannonaufragato durante la notte. Buon per loro, che avrei voluto vederl'equipaggio danzare sotto il ferro del mio cannone.

— Silenzio là! — esclamò Sandokan. —Ai vostri pezzi voi; alle carabine i moschettieri.

La conversazione fu tagliata nettamente. Gli artiglieri siprecipitarono ai loro pezzi e tutti gli altri, eccetto quattrouomini destinati alla manovra delprahos, si affollarono aprua e alle murate, pronti ad avventarsi all'assalto al primoabbordaggio. In un minuto il più profondo silenzio regnòsui due legni pirateschi che veleggiavano l'un accanto all'altro;tutti gli occhi fissavano la bianca vela che lenta lentaingrandiva, gareggiando nel riconoscere prima la portata, gliuomini e le armi.

Passò mezz'ora senza che la minima parola fosse pronunciataa bordo, tanta era l'autorità di Sandokan su quegli uomini disolito così turbolenti e durante questa mezz'ora la vela siaccostò ai due rapidiprahosche manovravano in manierada tagliare la ritirata dell'est e dell'ovest. Lasciato il varco alsud e al nord, sgombri per un gran tratto d'ogni terra, uninseguimento diventava su quelle due vie un nunnulla el'abbordaggio sicuro. Con un uomo come Sandokan non vi era dasperare nella fuga; bisognava dare o accettare battaglia, pugnarefinché restava sangue nelle vene e poi soccombere.

Man mano che si avvicinavano i due rapidi legni dei pirati, lavela ingigantiva lasciando vedere a poco a poco le murate delvascello, che fu in breve riconosciuto per ungranprahosmercantile, uno di quei legni che esercitano illucroso traffico fra le isole della Malesia, e che uno dei pirati,benché fosse abbastanza distante, asserì essere uno deitre scorti il giorno precedente.

— Yanez mi aveva parlato di tre navigli —mormorò Sandokan. — Dove si sono cacciatigli altridue?

Si morse le labbra quasi con collera, poi diresse ilsuoprahossul legno mercantile, in maniera da poterloabbordare a prua, mentre l'altro prendeva il largo tagliando laritirata sulla via dell'ovest e abbordarlo, se occorreva, apoppa.

Adue miglia di distanza il mercantile, un po' affogato perl'eccessivo carico e cattivo camminatore, si arrestò correndopiccole bordate come indeciso sulla via da prendere.

Certamente era stato messo in sospetto dalla presenza di queidueprahos, che eseguivano una manovra non tropporassicurante.

Bordeggiò così per tre o quattro minuti, come volesseassicurarsi delle intenzioni dei due legni da preda, poicangiò bruscamente rotta, e virando di bordo battéprudentemente in ritirata.

— Tanto ci voleva a riconoscerci? — mormoròSandokan, poi alzando la voce: — ehi, Patau, prepara il tuocannone, e voi, tigrotti, prendete i moschetti. La danza nondurerà molto, ma a ogni modo ci divertiremo.

Il povero legno mercantile doveva ben comprendere che la fugasarebbestata quasi impossibile e un combattimento, fra due fuochi,disastroso. Senza dubbio la sinistra fama della Tigre della Malesiaera giunta all'orecchio dell'equipaggio per quanto da lungi venissee la vicinanza di Mompracem doveva accertare i timori.

Sandokan, che non perdeva d'occhio il mercantile, potéassicurarsi coi propri occhi che l'equipaggio preparavasi a unadisperata resistenza. Venti minuti dopo, i dueprahoseranoseicento metri dal fuggiasco. La rossa bandiera dei pirati, inmezzo alla quale campeggiava una tigre, salì maestosamentesull'albero di sinistra.

— Patau — disse Sandokan, — fa cantare il tuocannone.

Patau non aspettava che questo comando, accese la miccia e siavvicinò al cannone.

Di repente una detonazione fortissima scoppiò al largo euna nube di fumo si alzò a poppa delprahosmercantile.Due tavole della murata di tribordo del legno da prenda saltaronosotto la palla.

Né Sandokan, né l'equipaggio si mossero. Patau diedefuoco al suo pezzo. L'effetto fu pronto. La palla del calibro dasei sfondò la murata poppiera del mercantile e investì ilcannone ancor fumante sollevandolo dall'affusto. Le grandi vele unistante dopo vennero ammainate sul ponte, e una scialuppa vennecalata in mare. Sei o sette uomini vi presero posto coll'evidenteintenzione di fuggire prima che arrivassero i pirati. Il rimanentedell'equipaggio si radunò invece a poppa smascherando unsecondo cannone deciso a difendersi.

— Ah! — esclamò Sandokan, saltando in piedi colvolto abbuiato. — Vi sono dei vigliacchi abordo di quel legnocome vi sono dei coraggiosi. Patau, affondami quella scialuppa! Icodardi non meritano la mia generosità!...

— Bene capitano — rispose il Malese con un satanicosogghigno. — Se al primo colpo non li mando all'inferno, nonsono più Patau!

Il cannone era stato caricato e Patau non mancò allaparola. La scialuppa fu spaccata a metà e un nembo dimitraglia lanciato dall'altroprahosspazzando il mareistecchì i nuotatori.

— Bravo Patau! — esclamò Sandokan. — Eora, amico mio, rasa come un pontone quel legno. Andrà a farsiraddobbare di poi a Varauni a nostre spese. I coraggiosi sono degnidi noi. Fa in modo che le tue palle non abbiano a mordere che dellegno.

I dueprahoscorrevano sopra al povero legno mercantilecolla rapidità delle aquile, manovrando in maniera di poterloabbordare da due lati. I cannoni ripigliarono la infernale musicafracassando gli attrezzi, alternando violente scariche di mitragliache laceravano vele e recidevano corde. Il legno mercantilerispondeva vigorosamente col suo unico pezzo cercando, se non divincere, almeno di vendere caramente la vita.

— Tira! Tira che sei un coraggioso! — gridavaSandokan entusiasmato. — Tu sei degno di combattere contro dime!...

I dueprahosavvolti fra fitte nubi di fumo dalle qualiscattavano lampi e uscivano detonazioni volteggiavano attorno allegno mercantile che virava a furia di remi, di bordo, presentandola prua sulla quale si affollavano i difensori.

— Barra sottovento! — gridò d'un trattoSandokan che aveva impugnata la scimitarra.

Il suoprahosabbordò il mercantile sotto l'anca ditribordo ad onta della sua moschetteria e delle precipitose manovredell'equipaggio nemico. Sandokan, benché i grappinid'arrembaggio non fossero ancora stati lanciati, si raccolse susé stesso colkrissfra i denti, come una tigre che staper avventarsi, quando una mano robusta lo trasse indietro. IlRagno di Mare gli si rizzò accanto coprendolo col suo pettod'atleta, e bestemmiando tentò saltaresulprahosmercantile dove un marinaio toglieva di mira laTigre della Malesia.

Non ebbe il tempo, ma si gettò dinanzi a Sandokan ericevette in sua vece la fucilata in pieno volto. Il povero Ragnocadde in mare colla testa fracassata.

Sandokan gettò un muggito da toro ferito, e aggrappandosialla bocca di un cannone, si issò in meno che se lo dica sullacoperta del legno mercantile. L'intero equipaggio annerito dal fumoe insanguinato si avventò contro di lui cercandorespingerlo.

— A me, miei prodi! — urlò il pirata spaccandola testa al primo venuto. Dieci o dodici pirati risposeroall'appello. Si arrampicarono come scimie lungo i bordi eaiutandosi coi paterazzi saltarono sul ponte circondandol'equipaggio. Nel medesimo tempo l'altro prahos abbordava il legnoa poppa. I suoi uomini irruppero colle scuri alzatevociferandospaventosamente.

— Che nessuno li tocchi! — tuonò la voce dellaTigre. — Sono degli eroi!

Fu compreso. I pirati circondarono l'equipaggio, lo disarmaronoe lo legarono senza spargere goccia di sangue. La Tigre siavvicinò al capitano delprahos.

— Tu sei un brav'uomo — disse. — I tuoi uominisono degni del loro comandante. Io ti lascio la vita!

Il capitano delprahoslo guardò come trasognato.Sandokan poggiò le mani sulle spalle di lui e guardandolofisso:

— Dove vai? — gli chiese.

— A Labuan— rispose macchinalmente il capitano.

— Tu conosci quell'isola?

— Sì.

— Parlami della Perla di Labuan. Chi è?

— Una donna.

— Di qual razza?

— Inglese.

Le labbra di Sandokan si contrassero mostrando i denti.

— Dove ha la sua casa? — domandò egli con vocesorda.

— Nelle foreste della costa occidentale.

— Grazie, mio prode — disse Sandokan.—Olà! Gettate un barile d'oro a questi giovinotti!

Nessuno dei pirati aprì bocca, per opporsi a un sìstrano comando. Del resto non era la prima volta che la Tigre dellaMalesia agiva in tal modo. Fu ubbidito, e il barile d'oro, consorpresa dei marinai delprahosmercantile, che sichiedevano se sognassero o avessero da fare con qualche deitàmarittima, passò a bordo del legno.

Sandokan tornò ad avvicinarsi al capitano.

— Guardami in volto! — esclamò bruscamenteegli.

— Chi sei? — chiesero i marinai ad una voce.

— La Tigre della Malesia!...

Prima ancora che l'equipaggio tornasse in sé dalla sorpresae dalla paura, Sandokan era già a bordo del suo legnocircondato dai pirati.

La Tigre stese la mano verso l'est, ve la tenne per qualchetratto così orizzontalmente, poi con voce metallica,stridente, collerica:

— Tigrotti, a Labuan! a Labuan!...

CAPITOLO IIIL'incrociatore

Abbandonato il disalberato e sdruscito legno mercantile,idueprahospirateschi, con due uomini di meno, ripresero lacorsa verso Labuan, l'isola della Perla, che Sandokan ormai volevaad ogni costo vedere.

Il vento dell'ovest era inoltre propizio per portarsi alnord-est e giungere all'indomani allo spuntardel sole e forse lastessa notte all'isola. Bisognava però agire con estremaprudenza poiché, per quanto fossero forti e risoluti, potevanoincontrare più di un incrociatore che sbarrasse la via oalmeno inceppasse la spedizione. Tutti sapevano che il regno diBorneo, la cui capitale non distava gran tratto, benché siprestasse volentieri alla pirateria emantenesseprahospirateschi per proprio conto, poteva,fosse solo per attirarsi le simpatie della nuova colonia, armare lasua flotta e lanciarla controSandokan. Tutti sapevano che quelli diBorneo erano gelosi di quelli di Mompracem che si erano fatti unasì formidabile nomea.

I dueprahospresero arditamente la pericolosa via senzaesitare. Sandokan, fatti ripulire i ponti, raggiustare gliattrezzi, tappare i fori delle bombe, fatto dispensare il pranzodel mezzodì, accese la pipa che somigliava aunnarghiléturco e andò a sedersi sul medesimocannone, dove il povero Ragno di Mare si era cosìgenerosamente sacrificato per lui.

Egli rimase mezz'ora senzadir parola, immobile, concentrato,assaporando la calma dopo la pugna, seguendo con occhio distrattole mosse del suo equipaggio cheterminava di raggiustare le ultimegomene danneggiate dalla mitraglia. D'improvviso si scosse epiantando gli occhi su Patau, gli fe' cenno d'avvicinarsi.

Una profonda ruga solcava l'ampia sua fronte e fumava conmaggior furia di prima. Egli guardò per alcuni minuti e insilenzio il Malese, che non ardiva fiatare sospettando qualcherabbuffo.

— Dov'eri nel momento dell'abbordaggio? — chieseegli alfine con voce calma e grave ma che tradiva un lampo dicollera.

— Al vostro fianco — rispose il Malese.

— Hai veduto cadere il Ragno di Mare? Pensa bene e parlameglio. Chi l'uccise?

Il Malese rabbrividì fino alla punta dei capelli ese fossestato bianco sarebbe diventato pallido come un morto. Se si fossetrattato di precipitarsi all'abbordaggio dove la mitraglia mordevae sibilava se ne sarebbe infischiato della paura, fosse pure statosicuro di lasciarvi la pelle, ma dinanzi a Sandokan, cui bastavauno sguardo per inchiodare su due piedi i più ricalcitranti,egli sì, tremava.

— Ebbene? — domandò qualche istante dopoSandokan senza abbandonare il suo posto, né la canna dellagran pipa e senza nemmeno guardare in volto il Malese chetremavacome avesse la febbre.

— Una palla di cannone — arrischiò Patau edette indietro mentre l'equipaggio sogghignava contento che quelMalese del diavolo fosse stato innalzato fino a un grado cosìinvidiato per essere precipitato chi sa dove da una sola parola delterribile padrone.

Non si amava a bordo Patau perché derubava silenziosamentei camerati valendosi della sua autorità, e senzache alcunoosasse farne parola al capitano. Si aveva paura di entrambi, ma bendifferentemente.

Sandokan alla risposta del Malese aveva fatto un leggermovimento, ma fu tutto. Egli continuò:

— Il tuo posto era accanto a me giacché non ti avevoaffidato il timone. Quando noi giungeremo a Mompracem, ti faraifucilare! Vattene!

Non si poteva scherzare con un simile uomo, né arrischiareparola. Commettere una vigliaccheria a bordo sarebbe stato un farruggire la Tigre. Il Malese senza batter ciglio, conservando quellafierezza in lui abituale, si allontanò come se si trattasse diun nonnulla. Sandokan lo richiamò.

— Potrebbedarsi che si avesse a incontrare l'incrociatore— diss'egli. — Mi occorre un uomo: tu puoi esserequello giacché ti ho spacciato per Mompracem; morirecombattendo è un favore che io solo accordo ai coraggiosi.Alla prima cannonata, arresterai la palla coltuo petto.

— Grazie, capitano! — esclamò il Malese econtento della sentenza del suo formidabile capo, di cui nessunoavrebbe osato mettere in dubbio l'infallibilità, se neandò al timone.

— Sabau! — gridò egli guardando sempre il maree come parlasse a sé stesso.

Un altro Malese di bassa statura, ma di membra gagliarde, dallafaccia quadra anziché no, ossuta, dal naso schiacciato egrosso, dagli occhi piccoli ma brillanti, dalla bocca grande con lelabbra grosse, la tinta fosca e vestito con un solo paiodi corticalzoni rossi, si fece innanzi dondolandosi comicamente.

— Tu non sei stato il primo a saltare sul prahos dopo dime? — domandò Sandokan.

— Infatti, mi sono trovato sul ponte alle prese con uno diquei mascalzoni — rispose egli.

— Bene, quando lapalla di cannone sfonderà il pettodel tuo compatriota, subentrerai nel comando.

La giustizia era finita per quell'uomo singolare che si facevachiamare la Tigre. Egli abbandonò il cannone, diede unosguardo alle due grandi vele gonfie sotto il vento dell'ovest, unaltro all'altroprahosche seguiva la via del primorigorosamente dritta e si mise a passeggiare da prua a poppa collafronte serena ed un sorriso bonario.

Durante la giornata i due legni pirateschi continuarono aveleggiare in quella parte di mare compresa fra Mompracem e leRomades all'ovest, la costa di Borneo all'est e nord-est, e Labuancolle Tre Isole al nord, senza trovare il minimo impaccio e senzascorgere alcuna di quelle vele che di solito si mostrano sìnumerose in quei paraggi, recandosi o partendo dalla capitale delregno di Varauni.

Già da parecchi anni la fama di Sandokan si era sparsa suquei ristretti mari, e solamente i grossi vascelli con numerosiequipaggi oprahosarmati da guerra arrischiavano latraversata diretta. I più sitenevano sotto la costa, sicuri dipoter sbarcare e di salvare almeno le vite se non il carico oapprofittando di qualche giornata burrascosa o di qualche notteoscura per prendere il largo. Sandokan non ignorava più quelleastuzie, diventate ormai tanto vecchie da essere conosciute anchesulle spiaggie di Mompracem, e sarebbe bastato passare una notte invista della costa per essere sicuri al mattino di far ritorno conuncarico completo delle più preziose merci del paese, cosa chenon mancava mai però difare a rischio di cadere inun'imboscata, quando trattavasi di spedizioni di mineralegiallo.

La notte cadde con quella rapidità che è propria delleregioni equatoriali dove il sole, anziché tramontare, situffa. Tutti i lumi vennero spenti a bordo dopo lacena, non amandoessere scoperti e di vedere a loro agio, le vele in parteterzarolate per premunirsi dagli improvvisi colpi di vento che nonmancano in quei capricciosi mari, e le sentinelle scelte fra gliuomini più intrepidi e dalla vista più acuta, chesapevano scorgere, per quanto le tenebre fossero fitte, una navedue miglia lontano. Alle otto i due equipaggi si ritirarono inmassa e senza far rumore guadagnando le loro amache oscillanti,senza perdere tempo a spogliarsi delle poche vesti, pronti aprendere posto ai cannoni e ai moschetti al primo all'arme, la qualcosa non di rado avveniva, sia per respingere un attacco di qualchenotturno leone che spingeva la sua audacia fino a irritare laTigre, sia per piombare su qualche inoffensivo legno e rischiararloa colpi di cannone.

Sandokan rimase sul ponte assieme agli uomini di guardia, assisoa poppa tenendo una delle ribolle, collo sguardo che balzava dallabussola al mare, porgendo ascolto al lieve russar degliaddormentati e al frangersi dell'onda sulla prua del legno. Siavrebbe detto che quell'uomo cercasse di raccogliere qualche rumoreestraneo a quello del mare. Chi sa? un lontano colpo di cannone,che poteva tuonare in direzione di Mompracem, o che cercasse collapotenza del suo occhio da tigredi attirare lapreda fuggente e discoprirla; chi sa? forse il fumante cacciatore.

Gli uomini di guardia confusi fra gli attrezzi, seduti o ritti,parevano condividere i pensieri del loro capo. Gli occhi loro, cherilucevano come carboni nella profonda oscurità, balzavanodalle vele al mare scrutandolo nei più lontani orizzonti,cercando avidamente una preda sempre sospirata o un pericolo. Pocomontava che si dovesse sfidare colpi di cannone e colpi di scure,con gran pericolo della pelle; bastava loro veder della preda,menar le mani insanguinate su cento e cento vittime, tuffarle innuovo sangue, ubbriacarsi al fumo della polvere e veder morti emorti mutilati, guazzar sui bagnati ponti.

Ma nessuna vela si mostrava nel cerchio abbracciato da queipotenti occhi, fuorché le tenebre sovrastanti ai flutti colordi inchiostro che rimuggivano sordamente come uscissero da unabisso e che venivano a cozzare sulla pruadelprahosfrangendovisi sopra e lasciando solo allorintravveder un leggero scintillio, che si cangiava sulla scia in ungorgogliamento luminoso perfettamente visibile in quellaoscurità.

Alla mezzanotte il vento, sino allora debole, sembròsvegliarsi colla comparsa della luna, che faceva capolino fra lenubi. I dueprahosparvero rialzarsi sotto quella nuovaspinta e accelerarono la corsa verso l'est poggiando di qualchequarto al nord, dirigendosi verso le Tre Isole, che non dovevanoesser gran fatto distanti. E invero poco dopo, rischiarate dallaluna, che tornava a mostrarsi in uno squarcio dei negri vapori,furono vedute tutte e tre benché vi sia fra loro unarispettabile distanza.

Parevano uscire dal mare come improvvisamente, di un colorfosco, di una struttura più bizzarra che pittoresca inquell'ora, vere sentinelle avanzate di Labuan e di Borneo, chepotrebbero far solida barriera alla baia di Varauni dalla quale nondistano molto.

Sandokan appena che poté vederle abbandonò la ribollaa uno de' suoi uomini e discese nella sua piccola cabina. La vistadi quelle isole faceva quasi a lui credere di esser a Labuan chevoleva dire lontano dal fumante incrociatore che alla mattinanavigava presso le coste meridionali di Mompracem, e quindi liberoda un improvviso attacco da parte sua che avrebbe potuto riusciredisastroso.

La cabina di Sandokan era ben ristretta a bordo diquelprahos; non mancava però di una certa eleganzanon dissimile da quella della sua abitazione, e che non toglievache vi dormisse a suo agio. Era un caos di piccoli mobili gli unipiù graziosi degli altri, ma gli uni più avariatideglialtri, un miscuglio di sete e di tappeti che l'ingombravano, che lasoffocavano addirittura sotto le pesanti pieghe e in mezzo allequali vedevansi armi mescolate a bottiglie e tazze con bombe.

Sandokan, senza levarsi un nulla del vestito, si stesein mezzoai tappeti e non tardò ad addormentarsi come un uomo della suatempra, cui un cuor di ferro soffoca le urla delle vittime cadutesotto l'acciaio dell'assassino e i cui occhi non vedono né leombre né il sangue.

Tutta la notte i dueprahosveleggiarono in pieno mare,sempre in vista delle Tre Isole, correndo bordate per la lentaraffica, che a poco a poco collo spuntar del giorno girava all'est.Ma per quanto il vento divenisse contrario non impediva che i duerapidi legni guadagnassero via,aiutati di tratto in tratto dai remimanovrati da robuste braccia che li avean conosciuti fin dallapiù tenera età.

Al primo raggio di sole, che invase bruscamente il marescacciandone la cupa tenebra, sette od otto miglia lontano fuveduta Labuan. Quasinel medesimo istante Sandokan comparve sulponte.

— Patau! — esclamò egli con quel tono che nonammetteva replica né ritardo per quanto minimi fossero.

Il Malese abbandonando il remo in un sol salto gli fu vicino,sempre col medesimo volto fra l'ilare e il furbesco, come un uomoche ha ormai dimenticato la palla di cannone.

— Comandante! — rispose egli facendosi innanzifrancamente.

— La tua palla? — domandò Sandokan con stranosogghigno.

— È sul petto — rispose il Malese, — laprima che parte sarà mia.

—Bene, conosci tu una baia dove non si possa esseremolestati da quei cani dell'Australia?

— La conosco.

— Bene, dirigi i prahos.

Ad un ordine del Malese i due legni da preda virarono di bordodirigendosi verso il sud dell'isola.

Labuan è un lembo di terrache dista appena otto leghe daBorneo e che ha una circonferenza di circa venticinque miglia.

Si eleva a 24 metri sul livello del mare; semplici alturetengono luogo di catene di monti, numerosi corsi d'acqua tengonoluogo di fiumi, ma i più durante la stagione calda lasciano illetto completamente asciutto. Haperò magnifiche foreste chepotrebbero somministrare eccellenti legnami da costruzione, unagraziosa vallata con pascoli al nord-est dove finisce in unatranquilla baia. Vedute pittoresche rendono piacevole il soggiornosu quel lembo di terra, che ogni giorno acquista piùimportanza grazie le scoperte di vene di carbon fossile che sitrovano in gran numero, specialmente nelle vicinanze dei fiumi.

Gl'indigeni non sono numerosi e sono tanto stupidi, cheillusidalla presenza degli stranieri e da regali di due soldi, sisottomisero al velenoso giogo inglese che lentamente ma sicuramenteandrà decimandoli per isbarazzarsi di esseri che potrebbero ungiorno dar noia alla giovane colonia.

Fu nel 1846, 24 dicembre, che il capitano Rodney Mundy comparvepel primo a bordo dell'Irise che ne prese bellamentepossesso, dopo di avere spaventati i nativi facendo tuonare le sueartiglierie, come volesse mostrare a quegli esseri semplici lapotenza del leopardo inglese. Ed essi, dopo le danze d'onore e unafesta si sottomisero senza alzar una sola arma in difesa dellaterra natia.

Da quel tempo gli Inglesi vi avevano fondato la cittadella diVittoria e si affrettavano a lanciare in mare vapori di ferro perreprimere lapirateria flagello di quei disgraziati mari. Sandokannon lo ignorava, no, ed era anzi per questo che voleva prendereterra nel fondo di qualche canale, di qualche seno al sicuro daimprovvisi attacchi per poter poi agire a suo bell'agio.

I dueprahos, dopo di aver fiancheggiato per brevetratto la costa coperta da fitti alberi, in mezzo ai qualitorreggiava qualchetek, navigando lentamente e con estremaprudenza per non dar sospetto a qualche colono che battesse idintorni, si cacciarono silenziosamentein un piccolo fiume, chealla foce avevasi scavato poco a poco un seno semi-nascosto dapiante palustri.

Le âncore furono gettate con buona riuscita su di un fondosabbioso, le vele ammainate senza far rumore come lo dovevano duevisitatori che volevano mantenersi incogniti, eiprahosspinti verso la riva destra, nascondendoli deltutto sotto l'ombra dei grandi alberi e dei canneti, chefiancheggiavano una piccola palude di due o trecento metri diestensione. Un incrociatore che avesse battuto la costa, nonsarebbe riuscito a scoprire quei due legni pirateschi che sitenevano imboscati come le tigri nel delta del Gange che spiano,sotto le grandi foglie acquatiche, la preda.

Sandokan e Patau sbarcarono, mentre che il restantedell'equipaggio rimaneva a bordo rigorosamente consegnato.Bisognava agire più che prudentemente per affrettare i pianidel formidabile capo, che già contava non solo di veder laPerla, ma di mettere a ferro e fuoco se non tutta almeno una partedell'isola.

Armati entrambi di carabine indiane e di scuri, i due piratis'internarono senza dir verbo sotto la foresta, che lasciava qua elà qualche varco, tracciato talvolta dalla mano umana ma ilpiù dalla naturale disposizione delle piante, che si rizzavanoin mille guise differenti, ora ritte, ora inclinate e talvoltacontorte come giganteschi serpenti.

Sandokan guidò il Malese per un duecento passi sotto laforesta, come conoscesse di già il cammino, poi siarrestò ai piedi di undurioncolossale le cui fruttapericolose per le cadute che il più delle volte riesconomortali per l'incauto che vi passa sotto, si agitavanoleggermentesotto uno stormo di tucani dal becco colossale, cheparevano affaccendarsi nella costruzione dei loro strani nidi.

— Ascolta, Patau — diss'egli. — La vicinanzadinemici, che godono fama di possedere potenti navi e potenticongegni di distruzione, non ti nasconderò che mi inquieta perMompracem, la mal difesa isola che non saprebbe resistere dinanziai loro cannoni, e che è d'uopo ci rimanga. L'intenzione diquestegiacche rossedacché si sono stabilite su questimalaugurati mari, è evidente che mira a portare un colpofatale alla pirateria; fuggono la nostra presenza, ma spiano ecercano di tagliarci la ritirata invadendo i nostri selvaggicovi.

— Lo so — rispose il Malese. — Mompracemè troppo vicina a Labuan, offre troppe mire per quei ladri diterre, e un dì o l'altro non mi meraviglierei che una interaflotta si presentasse dinanzi al villaggio e cominciasse una danzainfernale a suon di cannone.

— È ciò che vado pensando anch'io da variotempo. Vedi, la presenza di questo incrociatore, che fumasilenziosamente su queste onde, non mi rassicura punto riguardoalle sue intenzioni che puzzano di polvere cento miglia lontano.È d'uopo che uno di noi, Mompracem o Labuan, abbia a cedere learmi al più forte. Spenta la pirateria, la Malesia saràmorta.

— Se io rimanessi in vita — disse Patau senzacommuoversi, — agirei prontamente. La colonia va crescendo digiorno in giorno, grazie alla scoperta del carbone che attiramaledettamente tutte le navi da guerra dei dintorni; oggi è unpugno di uomini che l'abitano, domani saranno due, da qua un annocento. Le difficoltà allora saranno cento volte raddoppiate,le mosse difficili sotto l'occhio degli incrociatori e poco apocola pirateria cadrà.

Sandokan rimase colle braccia incrociate a mirare il Malese,come per commentar le sue parole che trovava più che giuste,poi ripigliò la via senza smascherare l'audace progetto che lorodeva.