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Quest’opera fa parte della grandiosa opera La Filosofia occulta è la Magia. Già nei primi due capitoli del I libro dell'opera, intitolato La magia naturale, Agrippa stabilisce l'intento dell'opera: premesso che esistono tre mondi, l’Elementare, il Celeste e l’Intellettuale, investigati rispettivamente da tre scienze, la Fisica o Magia naturale - che svela l'essenza delle cose terrene - la Matematica o Magia celeste - che fa comprendere il moto dei corpi celesti - e la Teologia o Magia cerimoniale - che fa comprendere «Dio, la mente, gli angeli, le intelligenze, i demoni, l'anima, il pensiero, la religione, i sacramenti, le cerimonie, i templi, le feste e i misteri.La Magia racchiude queste tre scienze traducendole in atto. Essa è «la vera scienza, la filosofia più elevata e perfetta [ ... ] il compimento di tutte le scienze naturali»: ]essa è dunque la scienza integrale della natura, tanto fisica che metafisica, e l'espressione equivalente di «Filosofia occulta» indica tanto la sua natura di scienza - la filosofia è la scienza di tutte le cose, materiali e spirituali - quanto il fatto che tale scienza è riservata a pochi, è sapienza esoterica ma può essere appresa:«Coloro che vorranno dedicarsi allo studio della Magia, dovranno conoscere a fondo la Fisica, che rivela la proprietà delle cose e le loro virtù occulte; dovranno essere dotti in Matematica, per scrutare gli aspetti e le immagini degli astri, da cui traggono origine le proprietà e le virtù delle cose più elevate; e infine dovranno intendere bene la Teologia, che dà la conoscenza delle sostanze immateriali che governano tutte queste cose. Perché non vi può essere alcuna opera perfetta di Magia, e neppure di vera Magia, che non racchiuda queste tre facoltà»(De occulta philosophia, I, 2.)
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Cornelio Agrippadi Nettesheim
LA MAGIA CERIMONIALE
Prima edizione digitale 2016 a cura di Anna Ruggieri
CAPITOLO IDella necessità della Virtù e dell’utilità della Religione.
Ora è tempo di passare a cose più alte e rivolgere il nostro pensiero a quella parte della Magia che c’insegna a conoscere e sperimentare le leggi delle religioni ed in qual modo dobbiamo mediante la religione divina raggiungere la verità e nobilitare ritualmente l’animo e la mente, per mezzo della quale soltanto possiamo giungere alla comprensione del vero. E’ opinione di tutti i magi che se la mente e il pensiero non sieno sani, il corpo a sua volta non possa esser sano e viceversa. Ora noi non possiamo, secondo l’opinione di Ermete, ottenere la fermezza e il vigore della mente che dalla purezza della vita dalla pietà e dalla religione sacra, la quale purifica per eccellenza la mente e la rende divina. La religione viene altresì in soccorso della iattura e ne fortifica le forze, nel modo istesso con cui il medico fortifica la salute corporale e l’agricoltore aumenta la fertilità del suolo. Gli spiriti malvagi traviano Spesso coloro che spregiano la religione e solo nella conoscenza della religione si può trovare il disprezzo e il rimedio al vizio e la protezione contro gli spiriti maligni. Infine l’uomo veramente pio è bene accetto presso la divinità, ed egli si eleva tanto sopra gli altri uomini, quanto gli dei immortali si elevano sopra lui. Dobbiamo dunque per prima cosa offrirci purificati e raccomandarci alla divina pietà e religione e poi, sopiti i sensi, con la mente tranquilla, lodando e adorando, aspettare quel divino nettare ambrosiano, il nettare dico che il profeta Zaccaria chiama il vino che fa germogliare le vergini, quel sovraceleste Bacco, il sommo di tutti gli Dei ed antistite dei sacerdoti, autore della rigenerazione, che gli antichi poeti cantarono due volte nato e da cui tanti divinissimi rivi emanano nei nostri cuori.
CAPITOLO IIDel silenzio e dell’occultamento dei misteri della religione.
Chiunque voi siate che intendete dedicarvi a questa scienza, custodite in fondo al vostro cuore una dottrina tanto eccelsa, occultatela con ferma costanza, non arrischiatevi a parlarne. Perché, disse Mercurio, è un offendere la religione il confidare al pensiero irreligioso delle masse parole impregnate della maestà divina e Platone proibì di divulgare tra la plebe i secreti contenuti entro i misteri. Anche Pitagora e Porfirio obbligavano i loro discepoli al segreto intorno alla religione e Orfeo esigeva da coloro che iniziava alle cerimonie delle cose sacre il giuramento del silenzio, per impedire che i segreti della religione giungessero sino alle orecchie profane. Perciò, nel suo inno al verbo consacrato, egli canta: Io esorto voi, amici della virtù, ad ascoltate le mie parole e a tendere le vostre menti. E voi invece che disprezzate le leggi sante, allontanatevi, profani disgraziati! E Virgilio, parlando della Sibilla, dice: Adventante dea. "Procul, o, procul oste prophani"; conclamat vates, "totoque absistite luco". Così pure non si ricevevano che gli iniziati durante la celebrazione dei misteri di Cerere Eleusina, e l’araldo imponeva a gran voce ai profani di allontanarsi dal luogo delle cerimonie. Noi leggiamo in Esdra lo stesso comandamento intorno ai misteri cabalistici degli ebrei: Offrite questi libri a coloro che hanno la saggezza e che conoscete capaci di comprenderli e di custodirne il secreto. Gli egiziani scrivevano i segreti delle cerimonie su papiro ieratico con caratteri occulti sacri. Macrobio, Marcellino e gli altri Storiografi dicono che questi caratteri erano chiamati geroglifici e che i profani non erano in grado di leggerli. Apuleio ne parla in questi termini: Consumato il sacrificio, egli (il celebrante) apporta certi libri scritti con caratteri sconosciuti, in parte misti a figure d’animali, in parte disseminati di accenti strani, allacciati tra loro come virgulti, cosa che impediva al profano curioso di leggerli. Osservando dunque il silenzio e occultando i segreti religiosi, noi saremo degni discepoli di tanta scienza, perché, dice Tertulliano, è obbligo di osservare la fede del silenzio nelle religioni e coloro che fanno altrimenti sono sull’orlo d’un precipizio. Da ciò derivano le precauzioni d’Apuleio circa i misteri delle cose sacre: Se mi fosse lecito parlare e se a voi fosse permesso ascoltarmi, io vi svelerei i misteri e ve ne largheggerei la conoscenza, ma se io parlassi e se voi ascoltaste, noi saremmo egualmente puniti della nostra temeraria curiosità. Per un simile fallo noi troviamo nell’istoria che Teodoto. poeta tragico, divenne cieco per aver tentato di penetrare i misteri della scrittura ebraica. Anche Teopompo, che si era accinto a tradurre in greco qualche versetto della legge divina, smarrì il senno in un istante e dopo aver supplicato la divinità a lungo per conoscere la causa della sua disgrazia, n’ebbe risposta in sogno che il castigo era dovuto appunto all’aver egli esposto alla profanazione del volgo le cose divine. Così pure un certo Numenio, curioso di cose occulte, si rese colpevole presso le divinità per aver rivelato i misteri Eleusini. Egli vide in sogno le divinità Eleusine avanti alla porta aperta d’una lupanare e acconciate come meretrici e alla sua attonita interrogazione, le dee risposero incollerite che la sua indiscretezza le aveva tratte fuori a forza dal vestibolo del loro pudore e che egli le aveva prostituite al primo venuto. Tal rimprovero valse a fargli comprendere che non è lecito rivelare ai profani i misteri delle cerimonie religiose. Perciò gli antichi hanno sempre avuto gran cura di occultare i sacramenti divini e naturali e di non parlarne che per enigmi, pratica osservata come una legge presso gli Indiani, gli Etiopi i Persiani e gli Egiziani. Per tale legge Orfeo e tutti gli antichi indovini, Pitagora, Socrate, Platone, Aristosseno, Ammonio hanno conservato inviolabile il segreto. E Plotino, Origene e gli altri discepoli di Ammonio, come narra Porfirio nel libro della educazione e disciplina di Plotino, hanno fatto giuramento di non rivelarmi dogmi del Maestro. E perché Plotino violò il giuramento prestato ad Ammonio e rivelò pubblicamente i misteri, fu divorato orribilmente dalle pulci, come riporta qualche storiografo. Cristo stesso sulla terra adombrò il suo verbo così che solo i suoi più fidi discepoli poterono intenderlo e proibì di largire ai cani le carni consacrate e le perle ai maiali. E il profeta disse: Io ho accolto le vostre parole nel segreto del mio cuore, nella tema di arrecarvi offesa. E’ dunque peccato divulgare al pubblico mercè la scrittura, quei segreti che non vanno comunicati che verbalmente attraverso una schiera esigua di sapienti. E voi mi scuserete se io ho serbato il silenzio sui misteri piùimportanti della Magia cerimoniale. Io credo aver fatto abbastanza sottoponendovi le cose necessarie da sapersi e voi ricaverete dalla lettura di questi miei libri alcuna conoscenza dei misteri. Ma ricordatevi che non ve li sottopongo che alla stessa condizione a cui Dionigi obbligò Timoteo, vale a dire che coloro che intendono tali misteri non li diano in pascolo agli indegni, così che i sacri arcani possano essere custoditi da un numero esiguo di eletti. Inoltre, all’inizio di questo libro, voglio avvertirvi di un punto importante e cioè che, come gli stessi numi detestano le cose esposte al pubblico e profanate ed amano le segrete, così ogni esperienza di magia aborre il pubblico, vuole essere nascosta, si fortifica col silenzio, si distrugge dichiarandola e l’effetto completo non si produce, perché si perdono tutte queste cose esponendole ai ciarlieri e agli increduli. Occorre pertanto che l’operatore sia discreto e non riveli ad alcuno ne la sua opera, ne il luogo, ne il tempo, ne la meta perseguita, salvo che al suo maestro, o al suo coadiutore, o al suo associato, che anch’esso dovrà essere fedele, credente, taciturno e degno di tanta scienza o per natura o per istruzione; perché il troppo parlare anche di un consocio, la sua incredulità, la sua, indegnità, impediscono ogni operazione e fanno abortire l’effetto.
CAPITOLO IIIQuale dignificazione sia richiesta per divenire un vero Mago ed operatore di miracoli.
Nel principio del libro di quest’opera abbiano parlato delle qualità che sono indispensabili al Mago. Diremo ora della cosa arcana e secreta, necessaria a chi voglia bene operare in quest’arte, cosa che è il principio, il complemento e la chiave di tutte le operazioni magiche, cioè la dignificazione stessa dell’operatore ad una tanto sublime virtù e potestà. Solo l’intelletto, che è in noi la più alta espressione, è capace di operare le cose miracolose e se esso è troppo dominato dalla carne, non sarà capace di operare sulle sostanze divine, cosa che spiega il perché tanti ricerchino le arie di quest’arte senza trovarle. Bisogna dunque che noi che aspiriamo a tanta alta dignità, troviamo anzitutto il modo per distaccarci dalle affezioni della carne dal senso mortale e dalle passioni della materia e in seguito cerchiamo per quale via e in qual modo ci eleveremo a quelle altezze dell’intelletto puro, senza le quali non potremo mai felicemente pervenire alla conoscenza delle cose segrete e alla virtù delle operazioni miracolose. In questi due punti fondamentali si compendia tutta la dignificazione largita dalla natura dal merito e da una certa arte religiosa. La dignità naturale è una eccellente disposizione del corpo per cui le doti dell’anima non possono venire ottenebrate e questa eccellente disposizione del corpo e dei suoi organi proviene dalla situazione, dal moto, dalla luce e dall’influenza dei corpi e delle anime celesti che presiedono alla nascita d’ogni uomo. Come sono quelli la cui nona casa è fortunata per Saturno il Sole e Mercurio; ed anche Marte nella nona casa impera sugli spiriti. Ma di ciò è trattato ampiamente nei libri d’astrologia. Colui che non è nato sotto una così felice disposizione, ha bisogno di supplire alle manchevolezze della natura con l’educazione, con una vita assai regolata e con un buon uso delle cose naturali, sino al raggiungimento della perfezione così interna che esterna. Perciò la scelta d’un prete, nella legge mosaica, era circondata da tanta scrupolosità, e il prete non doveva aver accostato un cadavere, una vedova, né una donna mestruante e non doveva esser lebbroso, né soggetto a flussi sanguigni, ma integro in tutte le membra, non cieco, non zoppo, non gobbo ne col naso mal fatto. E Apuleio, nella sua Apologia, dice che il fanciullo destinato mediante un magico carme alla iniziazione deve essere scelto sano, integro corporalmente, ingegnoso, bello, industrioso e di facile eloquio, perché la potenza divina possa trovar degno ricettacolo nella sua persona e il suo intelletto sia capace di compenetrarsi della essenza divina. La dignità meritoria si ottiene con la dottrina e con le opere. Scopo della dottrina è conoscere la verità. Perciò, come è stato detto al principio del primo libro, occorre divenire anzitutto sapiente e esperto nelle tre facoltà del mondo elementare e poi, rimossi gli impedimenti, avvicinare profondamente e intimamente l’anima alla contemplazione e rivolgerla in se stessa. In noi stessi, infatti, è inerente la facoltà di apprendere e di dominare tutte le cose. Ma ci impediamo di fruirne a causa delle passioni della generazione che ci contrastano e delle false immagini e degli appetiti immoderati, espulsi i quali subito si presenta la divina cognizione e potestà. La dignità religiosa, infine, non ha minor efficacia e spesso anche è da sola sufficiente a guadagnarci una virtù deifica, perché le operazioni sacre, compiute secondo il rito, racchiudono in se tanta potenza, che, anche senza esser comprese, se eseguite con fervore e con tutte le prescrizioni del cerimoniale, nonché con ferma fede, valgono ad onorarci della potenza divina. Inoltre la dignità acquisita pel potere della religione è suscettibile di essere affinata mercè le espiazioni, le consacrazioni e i riti sacri, da colui che ha consacrato pubblicamente l’anima sua alla religione e che ha il potere dell’imposizione delle mani e di vincolare con la virtùsacramentale che imprime il carattere della virtù e potenza divina, che si chiama il divino consenso, per mezzo del quale l’uomo sostenuto dalla natura divina, e quasi complice degli spiriti celesti, porta inserita in lui la potenza della divinità; cerimonia che è stata compresa fra i sacramenti dalla chiesa. Se voi dunque siete un uomo imbevuto dello spirito sacro della religione, se nutrite sentimenti di pietà, se credete senza essere sfiorato dal dubbio, se siete tale a cui l’autorità delle cose sacre e la natura abbiano conferito la dignità che le divinità non disdegnano, voi potrete pregando, consacrando, sacrificando, invocando, attrarre le virtùspirituali e celesti e informarne le cose che vi appartengono, nel modo che reputerete migliore, e dare anima e vita a qualunque opera magica. Ma chiunque, senza la potenza dell’ufficio, senza aver meriti di santità e di dottrina, senza dignità naturali o educative, presumerà compiere opera fattiva in materia magica, lavorerà invano, ingannerà se stesso e i suoi aderenti e susciterà l’indignazione delle divinità, esponendo la sua esistenza i più gravi pericoli.
CAPITOLO IVDella Religione e della Superstizione, che sono i due cardini della Magia Cerimoniale.
Due cose regolano tutte le operazioni della Magia Cerimoniale: la Religione e la Superstizione. La Religione è la contemplazione perpetua delle cose divine, l’elevazione verso la potenza divina mercè le opere buone, la santificazione del culto e le cerimonie rituali. La religione è dunque una specie di disciplina dei sacramenti esterni e del cerimoniale, per cui, come da certi segni esterni, noi siamo avvertiti delle cose interne e spirituali e la pratica della religione è così propria alla nostra natura umana, ch’essa, più che lo stesso raziocinio, vale a distinguerci dagli altri animali. Per conseguenza tutti coloro che, a suo dispregio, non hanno confidenza che nelle forze della natura, sono spesso ingannati dagli spiriti maligni. Chi sia stato disciplinato al culto, non pianterà un seme, ne un ceppo di vite e non si accingerà a compiere un’opera qualsiasi, senza avere invocato la potenza divina, secondo l’ammonimento del dottore delle nazioni nell’epistola, ai Colossesi: Tutto quanto farete, sia in parole che in azioni, sia fatto da voi nel nome di Gesù, a Cui renderete grazie e con lui al Padre suo. Bisognerà pertanto aggiungere il potere della religione alle forze della natura e del calcolo e mancare a tale dovere sarebbe cosa empia. Il rabbino Henina dice nel suo libro dei Senatori che chiunque si serva di alcuna creatura, omettendo di benedirla, commette una specie di rapina a danno della divinità e della chiesa. Anche Salomone esprime un concetto del genere: Chi si appropria di alcunché di pertinenza di suo padre o di sua madre, compie azione riprovevole. Ora Iddio è nostro padre e la Chiesa è nostra madre, secondo la Scrittura: Il padre vostro non è forse colui a cui appartenete? E altrove: Segui, figliuolo, la disciplina di tuo padre e non obliare la legge di tua madre. Nulla affligge più il Signore che l’essere negletto e non amato e nulla gli è più grato che il rispetto e l’adorazione. Perciò Iddio non permette che alcuna creatura umana sia insofferente della religione. Ogni creatura eleva preghiere a lui e tutte, dice Proclo, elevano indi in suo onore. Ma gli uni pregano in modo naturale, altri in modo sensibile, altri razionalmente, altri intellettualmente, benedicendo però tutti il Signore a modo loro, secondo il cantico dei tre fanciulli. I riti e le cerimonie della religione differiscono a secondo i tempi e i paesi ma ciascuna religione racchiude alcunché di buono che si eleva sino a Dio stesso, creatore d’ogni cosa. E quantunque Iddio non approvi che la sola religione cristiana, nondimeno non disapprova interamente gli onori che gli vengono resi dalle altre religioni, né li lascia senza ricompensa, se non nell’eternità, almeno nel tempo. Gli empi e gli atei sono invece considerati da Dio inimici suoi ed egli li fulmina e li stermina, perché la loro empietà è molto più grande di quella di coloro che han seguito un culto falso. Perché non v’ha culto, secondo il parere di Lattanzio, per quanto erroneo, che non racchiuda qualche grano di saggezza e questo può fare perdonare coloro che hanno tenuto il sommo degli ufficii umani secondo il loro proposito se non di fatto. L’uomo non può arrivare alla vera religione abbandonato ai soli suoi lumi, ma ha bisogno che Dio gliela riveli. Per conseguenza ogni preghiera indirizzata a lui fuori dello spirito della vera religione è similmente una superstizione. Anche il rendere onori divini a chi non li meriti rappresenta una superstizione. Occorre dunque badare a non fare ingiuria talora al Signore Onnipossente e alle divinità che si raccolgono intorno a lui col rendergli un culto superstizioso, il che sarebbe un vero delitto per un filosofo. Nondimeno, e benché essa sia contraria alla vera religione, la superstizione non è del tutto riprovabile, posto che viene tollerata in molte circostanze e osservata perfino dai capi della religione. Parlo di quella superstizione che offre una certa affinità con la religione, che si esplica intorno a tutto ciò che è miracoli, sacramenti, cerimonie, solennità e che racchiude in sé stessa un potere non indifferente in forza della credulità dell’officiante. Già nel primo libro, in proposito abbiamo potuto rimarcare sin dove possa giungere il potere d’una ferma credenza. La superstizione richiede pertanto la credulità, così come la religione esige la fede e anche la credulità costante ha tanto potere da produrre miracoli, può se inspirata da una falsa religione, a patto che l’operatore ritenga verace la sua credenza, cosa che eleva il suo spirito, secondo la forza istessa della sua credulità, sino a renderlo eguale agli spiriti che sono i maestri della vera religione. Invece l’esitazione e la diffidenza, non solo nella superstizione ma anche nella religione vera, indeboliscono ogni opera magica e rendono nulli gli effetti delle esperienze più sicure e più poderose. La superstizione spesso contraffà la religione, nella scomunica, ad esempio, degli insetti e delle cavallette per impedir loro che danneggino i raccolti, nel battesimo delle campane, nella benedizione delle immagini. Ma poichéé i più famosi magi e i migliori scrittori di magia nell’antichità ci annoverano fra i Galilei, gli Egiziani, gli Assiri, i Persiani e gli Arabi, popoli tutti la cui religione non era che un’avvelenata idolatria, bisognerà badar bene a che i loro errori non abbiano la prevalenza sulle eccellenti verità della nostra religione cattolica. Questa sarebbe infatti una bestemmia ed un soggetto di maledizione; ed anche io sarei un bestemmiatore in questa scienza, se non vi avvertissi di queste cose e che i passi da me citati nel presente lavoro che sieno tratti da tali antichi, io non ve li presento come verità ma come congetture che si avvicinano alla verità. La nostra valentia deve aver campo di esplicarsi nel riuscire a porre in luce la verità frammezzo agli errori degli antichi e ciò non è possibile senza una profonda intelligenza, una pietà illimitata e una laboriosa, diligenza. Ma soprattutto occorre avere la saggezza, la quale sa estrarre il bene da ogni male, ridurre alla linea retta tutte le linee oblique e sa fare buon uso di tutto ciò che cade sotto la sua potestà. Sant’Agostino ci offre esempio di ciò nella persona del falegname, cui sono necessari ed opportuni non solo gli strumenti diritti, ma anche gli obliqui e complicati.
CAPITOLO VDelle tre guide della religione, che valgono a condurci verso il sentiero della verità.
Noi abbiamo tre guide che regolano tutta la religione e ne costituiscono la base, le quali ci conducono verso il sentiero della verità. Queste tre guide sono l’Amore, la Speranza e la Fede. L’amore è il veicolo dell’anima e, sopra tutte le altre virtù, fluisce dal cielo e attraverso le intelligenze superiori si rispande sino alle più umili intelligenze. Esso fa che le anime nostre eguaglino in bellezza l’anima divina; esso ci è di egida in ogni operazione e la porta a compimento a seconda dei nostri voti, irrobustendo le nostre preghiere. Noi leggiamo in Omero che Apollo esaudì i voti di Crise, perché gli era molto amico, e leggiamo negli Evangeli, a proposito di Maria Maddalena, che: molti peccati le saranno rimessi, perché molto ha amato. La Speranza, rivolta intensamente allo scopo perseguito, nutrisce lo spirito e lo perfeziona, purché esente da dubbi e incrollabile. La Fede, ben superiore alle altre due virtù, perché non riposa sulle asserzioni umane ma bensì sulla rivelazione divina, rischiara tutto quanto v’ha nell’universo. Essa discende dall’alto, emana dalla prima luce ed è ben più nobile e degna delle scienze, le arti, le opinioni e le testimonianze degli uomini e delle altre creature, giungendo sino al nostro intelletto come rifrazione della prima suprema luce. E mercé la Fede l’uomo diventa identico ai superi e gode della stessa loro potenza cosa che fa dire a Proclo: Come la fede che è credulità è al di sotto della scienza, così la fede che è vera fede è al contrario al di sopra d’ogni scienza e di ogni intendimento e ci congiunge immediatamente a Dio. In effetti la fede è la radice di tutti i miracoli e, secondo l’opinione dei platonici, essa sola può accostare a Dio e farcene ottenere la protezione e la benedizione. Daniele scampò ai leoni perché ebbe fede in Dio e Cristo disse alla donna che aveva flusso di sangue: La tua fede ti ha guarita; e chiese ai ciechi che imploravano da lui di poter ricuperare la vista, se avessero la fede, con queste parole: Credete ch’io possa ridarvi la vista? Leggiamo in Omero che Pallade consola Achille dicendogli: Son venuta di persona a placare l’ira tua, se pur tu hai fede. E il poeta Lino dice che bisogna credere tutto, perché tutto è facile a Dio, niente gli è impossibile e per conseguenza, tutto è credibile. Credendo dunque le cose che concernono la religione, noi ne saggiamo la forza, ma se non abbiamo la fede, non potremo far nulla di sorprendente e non lavoreremo che pel nostro danno, come risulta da quest’esempio lasciatoci da, San Luca: Alcuni ebrei esorcisti del vicinato si accinsero temerariamente a invocare sopra coloro che erano posseduti dagli spiriti maligni il nome Iesv, dicendo: Io vi scongiuro per Gesù, che Paolo predica. Ma lo spirito maligno rispose loro: Io conosco Gesù e so chi è Paolo, ma voi chi siete? E l’uomo posseduto dal peggiore dei demoni si Scagliò con tal furia sugli ebrei esorcizzatori, che costoro non poterono trarsi in salvo fuor della casa ove erano entrati, che con gli abiti a brandelli e coperti di ferite.
CAPITOLO VI.In qual modo l’anima, con l’assistenza di queste tre guide, si elevi sino alla natura divina e diventi operatrice di miracoli.
La nostra mente pura e divina, fragrante di amore religioso, abbellita dalla speranza, guidata dalla fede, dopo avere attinto il vertice della umana sapienza, attira a sé la verità e nella verità divina istessa, come nello specchio dell’eternità, scorge le cose mortali e le immortali, la loro essenza, le loro cause e tutto comprende. Perciò in tale stato di purezza e d’elevazione ci è dato conoscere le cose che sono al di sopra della natura e scrutare tutto ciò che è contenuto nel nostro mondo. E non solo possiamo conoscere le cose presenti e le passate, ma, mercé gli oracoli e le divinazioni, pure quanto dovrà accadere in epoche da noi lontane. Di più una mente di tale specie acquista una virtù divina non soltanto nelle scienze le arti e gli oracoli, ma acquista una potenza miracolosa anche in tutte le cose soggette a esser trasmutate mercé la volontà. Perciò talora noi, pur essendo costituiti nella natura, dominiamo la natura e realizziamo opere miracolose e elevatissime, tali da renderci docili i mani, sconvolgere le stelle, piegare le divinità e asservire gli elementi, e i devoti a Dio ed elevati da queste tre virtù teologali riescono a dissipare le nubi, a scatenare i venti, a suscitare la pioggia, a guarire le malattie, a risuscitare i morti. Miracoli simili furono compiti in ogni epoca e in ogni paese e i poeti li hanno esaltati nei loro carmi, gl’isterici ce li hanno tramandati e i filosofi più famosi, insieme ai teologi, ce li hanno confermati autorevolmente. Così i Profeti gli Apostoli e tutti gli altri uomini di Dio hanno avuto lo splendore delle massime potenze. Occorre infine conoscere che nel modo istesso che per la virtù del primo agente si può operare senza la cooperazione delle cause mediane, ugualmente, mercé la sola virtù della religione, si può fare alcunché senza l’applicazione delle forze naturali e delle celesti; ma solo colui che [...]