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Callimaco ist von der Schönheit Lucrezias besessen und will unbedingt den Platz ihres Ehemanns einnehmen. Sie aber würde niemals für einen anderen Mann von den eigenen moralischen Vorstellungen abweichen – bis ein vermeintliches Heilmittel für die Kinderlosigkeit des Paares ins Spiel gebracht wird. Doch die Verabreichung des Tranks muss mit einem Ehebruch einhergehen … Was wohl Callimaco damit zu tun hat?
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Seitenzahl: 188
Niccolò Machiavelli
Italienisch/Deutsch
Reclam
Questo libro è stato tradotto grazie a un contributo per la traduzione assegnato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano.
Die Übersetzung dieses Buches kam dank einer Förderung des Italienischen Ministeriums für Auswärtige Angelegenheiten und Internationale Zusammenarbeit zustande.
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RECLAMS UNIVERSAL-BIBLIOTHEK Nr. 962342
2024 Philipp Reclam jun. Verlag GmbH, Siemensstraße 32, 71254 Ditzingen
Covergestaltung: Cornelia Feyll, Friedrich Forssman
Gesamtherstellung: Philipp Reclam jun. Verlag GmbH, Siemensstraße 32, 71254 Ditzingen
Made in Germany 2024
RECLAM, UNIVERSAL-BIBLIOTHEK und RECLAMS UNIVERSAL-BIBLIOTHEK sind eingetragene Marken der Philipp Reclam jun. GmbH & Co. KG, Stuttgart
ISBN978-3-15-962342-9
ISBN der Buchausgabe 978-3-15-014584-5
www.reclam.de
Mandragola
Interlocutori
Atto primo
Atto secondo
Atto terzo
Atto quarto
Atto quinto
Personen
Lied
Prolog
Erster Akt
Erste Szene
Zweite Szene
Dritte Szene
Lied
Zweiter Akt
Erste Szene
Zweite Szene
Dritte Szene
Vierte Szene
Fünfte Szene
Sechste Szene
Lied
Dritter Akt
Erste Szene
Zweite Szene
Dritte Szene
Vierte Szene
Fünfte Szene
Sechste Szene
Siebte Szene
Achte Szene
Neunte Szene
Zehnte Szene
Elfte Szene
Zwölfte Szene
Lied
Vierter Akt
Erste Szene
Zweite Szene
Dritte Szene
Vierte Szene
Fünfte Szene
Sechste Szene
Siebte Szene
Achte Szene
Neunte Szene
Zehnte Szene
Lied
Fünfter Akt
Erste Szene
Zweite Szene
Dritte Szene
Vierte Szene
Fünfte Szene
Sechste Szene
Zu dieser Ausgabe
Literaturhinweise
Moderne Textausgaben (Auswahl)
Sekundärliteratur zu Machiavelli und zur Mandragola (Auswahl)
Nachwort
CALLIMACO
SIRO
MESSER NICIA
LIGURIO
SOSTRATA
FRATE TIMOTEO
UNA DONNA
LUCREZIA
da dirsi innanzi alla commedia, cantata da ninfe e pastori insieme
Perché la vita è brieve
e molte son le pene
che vivendo e stentando ognun sostiene;
dietro alle nostre voglie,
andiam passando e consumando gli anni,
ché chi il piacer si toglie
per viver con angosce e con affanni,
non conosce gli inganni
del mondo; o da quai mali
e da che strani casi
oppressi quasi – sian tutti i mortali.
Per fuggir questa noia,
eletta solitaria vita abbiamo,
e sempre in festa e in gioia
giovin’ leggiadri e liete Ninfe stiamo.
Or qui venuti siamo
con la nostra armonia,
sol per onorar questa
sì lieta festa – e dolce compagnia.
Ancor ci ha qui condutti
il nome di colui che vi governa,
in cui si veggon tutti
i beni accolti in la sembianza eterna.
Per tal grazia superna,
per sì felice stato,
potete lieti stare,
godere e ringraziare – chi ve lo ha dato.
Idio vi salvi, benigni auditori,
quando e’ par che dependa
questa benignità da lo esser grato.
Se voi seguite di non far romori,
noi vogliàn che s’intenda
un nuovo caso in questa terra nato.
Vedete l’apparato,
qual or vi si dimostra:
quest’è Firenze vostra,
un’altra volta sarà Roma o Pisa,
cosa da smascellarsi delle risa.
Quello uscio, che mi è qui in sulla man ritta,
la casa è d’un dottore,
che imparò in sul Buezio legge assai;
quella via, che è colà in quel canto fitta,
è la via dello Amore,
dove chi casca non si rizza mai;
conoscer poi potrai
a l’abito d’un frate
qual priore o abate
abita el tempio che all’incontro è posto,
se di qui non ti parti troppo tosto.
Un giovane, Callimaco Guadagno,
venuto or da Parigi,
abita là, in quella sinistra porta.
Costui, fra tutti gli altri buon compagno,
a’ segni ed a’ vestigi
l’onor di gentilezza e pregio porta.
Una giovane accorta
[12]fu da lui molto amata,
e per questo ingannata
fu, come intenderete, ed io vorrei
che voi fussi ingannate come lei.
La favola »Mandragola« si chiama:
la cagion voi vedrete
nel recitarla, com’i’ m’indovino.
Non è il componitor di molta fama;
pur, se vo’ non ridete,
egli è contento di pagarvi il vino.
Un amante meschino,
un dottor poco astuto,
un frate mal vissuto,
un parassito, di malizia il cucco,
fie questo giorno el vostro badalucco.
E, se questa materia non è degna,
per esser pur leggieri,
d’un uom, che voglia parer saggio e grave,
scusatelo con questo, che s’ingegna
con questi van’ pensieri
fare el suo tristo tempo più suave,
perché altrove non have
dove voltare el viso,
ché gli è stato interciso
mostrar con altre imprese altra virtùe,
non sendo premio alle fatiche sue.
El premio che si spera è che ciascuno
si sta da canto e ghigna,
dicendo mal di ciò che vede o sente.
Di qui depende, sanza dubbio alcuno,
[14]che per tutto traligna
da l’antica virtù el secol presente,
imperò che la gente,
vedendo ch’ognun biasma,
non s’affatica e spasma,
per far con mille sua disagi un’opra,
che ’l vento guasti o la nebbia ricuopra.
Pur, se credessi alcun, dicendo male,
tenerlo pe’ capegli,
e sbigottirlo o ritirarlo in parte,
io l’ammonisco, e dico a questo tale
che sa dir male anch’egli,
e come questa fu la suo prim’arte,
e come in ogni parte
del mondo, ove el »sì« sona,
non istima persona,
ancor che facci sergieri a colui,
che può portar miglior mantel che lui.
Ma lasciam pur dir male a chiunque vuole.
Torniamo al caso nostro,
acciò che non trapassi troppo l’ora.
Far conto non si de’ delle parole,
né stimar qualche mostro,
che non sa forse s’ e’ s’è vivo ancora.
Callimaco esce fuora
e Siro con seco ha,
suo famiglio, e dirà
l’ordin di tutto. Stia ciascuno attento,
né per ora aspettate altro argumento.
CALLIMACO. SIRO.
CALLIMACO. Siro, non ti partire, io ti voglio un poco.
SIRO. Eccomi.
CALLIMACO. Io credo che tu ti maravigliassi assai della mia sùbita partita da Parigi; ed ora ti maraviglierai, sendo io stato qui già un mese sanza fare alcuna cosa.
SIRO. Voi dite el vero.
CALLIMACO. Se io non ti ho detto infino a qui quello che io ti dirò ora, non è stato per non mi fidare di te, ma per iudicare che le cose che l’uomo vuole non si sappino, sia bene non le dire, se non forzato. Pertanto, pensando io di potere avere bisogno della opera tua, ti voglio dire el tutto.
SIRO. Io vi sono servidore: e servi non debbono mai domandare el padrone d’alcuna cosa, né cercare alcuno loro fatto, ma quando per loro medesimi le dicano, debbono servirgli con fede; e così ho fatto e sono per fare io.
CALLIMACO. Già lo so. Io credo che tu mi abbi sentito dire mille volte, ma e’ non importa che tu lo intenda mille una, come io avevo dieci anni quando da e mia tutori, sendo mio padre e mia madre morti, io fui mandato a [18]Parigi, dove io sono stato venti anni. E perché in capo de’ dieci cominciorono, per la passata del re Carlo, le guerre in Italia, le quali ruinorono quella provincia, delibera’mi di vivermi a Parigi e non mi ripatriare mai, giudicando potere in quel luogo vivere più sicuro che qui.
SIRO. Egli è così.
CALLIMACO. E commesso di qua che fussino venduti tutti e mia beni, fuora che la casa, mi ridussi a vivere quivi, dove sono stato dieci altri anni con una felicità grandissima …
SIRO. Io lo so.
CALLIMACO. … avendo compartito el tempo parte alli studii, parte a’ piaceri, e parte alle faccende; ed in modo mi travagliavo in ciascuna di queste cose, che l’una non mi impediva la via dell’altra. E per questo, come tu sai, vivevo quietissimamente, giovando a ciascuno, ed ingegnandomi di non offendere persona: talché mi pareva essere grato a’ borghesi, a’ gentiluomini, al forestiero, al terrazzano, al povero ed al ricco.
SIRO. Egli è la verità.
CALLIMACO. Ma, parendo alla Fortuna che io avessi troppo bel tempo, fece che e’ capitò a Parigi uno Cammillo Calfucci.
SIRO. Io comincio a ’ndovinarmi del male vostro.
CALLIMACO. Costui, come li altri fiorentini, era spesso convitato da me; e, nel ragionare insieme, accadde un giorno che noi venimo in disputa dove erano più belle donne, o in Italia o in Francia. E perché io non potevo ragionare delle italiane, sendo sì piccolo quando mi parti’, alcuno altro fiorentino, che era presente, prese la parte [20]franzese, e Cammillo la italiana; e, dopo molte ragione assegnate da ogni parte, disse Cammillo, quasi che irato, che, se tutte le donne italiane fussino monstri, che una sua parente era per riavere l’onore loro.
SIRO. Io sono or chiaro di quello che voi volete dire.
CALLIMACO. E nominò madonna Lucrezia, moglie di messer Nicia Calfucci: alla quale e’ dètte tante laude e di bellezza e di costumi, che fece restare stupidi qualunque di noi, ed in me destò tanto desiderio di vederla, che io, lasciato ogni altra deliberazione, né pensando più alle guerre o alle pace d’Italia, mi messi a venire qui. Dove arrivato, ho trovato la fama di madonna Lucrezia essere minore assai che la verità, il che occorre rarissime volte, e sommi acceso in tanto desiderio d’esser seco, che io non truovo loco.
SIRO. Se voi me n’avessi parlato a Parigi, io saprei che consigliarvi; ma ora non so io che mi vi dire.
CALLIMACO. Io non ti ho detto questo per voler tua consigli, ma per sfogarmi in parte, e perché tu prepari l’animo adiutarmi, dove el bisogno lo ricerchi.
SIRO. A cotesto son io paratissimo; ma che speranza ci avete voi?
CALLIMACO. Ehimè! nessuna,
SIRO. O perché?
CALLIMACO. Dirotti. In prima mi fa guerra la natura di lei, [22]che è onestissima ed al tutto aliena dalle cose d’amore; l’avere el marito ricchissimo, e che al tutto si lascia governare da lei, e, se non è giovane, non è al tutto vecchio, come pare; non avere parenti o vicini, con chi ella convenga ad alcuna vegghia o festa o ad alcuno altro piacere, di che si sogliono dilettare le giovane. Delle persone meccaniche non gliene càpita a casa nessuna; non ha fante né famiglio, che non triemi di lei: in modo che non c’è luogo ad alcuna corruzione.
SIRO. Che pensate, adunque, di poter fare?
CALLIMACO. E’ non è mai alcuna cosa sì disperata, che non vi sia qualche via da poterne sperare; e benché la fussi debole e vana, e la voglia e ’l desiderio, che l’uomo ha di condurre la cosa, non la fa parere così.
SIRO. Infine, e che vi fa sperare?
CALLIMACO. Dua cose: l’una, la semplicità di messer Nicia, che, benché sia dottore, egli è el più semplice ed el più sciocco uomo di Firenze; l’altra, la voglia che lui e lei hanno d’avere figliuoli, che, sendo stata sei anni a marito e non avendo ancora fatti, ne hanno, sendo ricchissimi, un desiderio che muoiono. Una terza ci è, che la sua madre è suta buona compagna, ma la è ricca, tale che io non so come governarmene.
SIRO. Avete voi per questo tentato per ancora cosa alcuna?
CALLIMACO. Sì ho, ma piccola cosa.
[24]SIRO. Come?
CALLIMACO. Tu conosci Ligurio, che viene continuamente a mangiar meco. Costui fu già sensale di matrimoni, dipoi s’è dato a mendicare cene e desinari; e perché gli è piacevole uomo, messer Nicia tiene con lui una stretta dimestichezza, e Ligurio l’uccella; e benché non lo meni a mangiare seco, li presta alle volte danari. Io me l’ho fatto amico, e gli ho comunicato el mio amore: lui m’ha promesso d’aiutarmi con le mane e co’ piè.
SIRO. Guardate e’ non v’inganni: questi pappatori non sogliono avere molta fede.
CALLIMACO. Egli è el vero. Nondimeno, quando una cosa fa per uno, si ha a credere, quando tu gliene communichi, che ti serva con fede. Io gli ho promesso, quando e’ riesca, donarli buona somma di danari; quando e’ non riesca, ne spicca un desinare ed una cena, ché ad ogni modo i’ non mangerei solo.
SIRO. Che ha egli promesso, insino a qui, di fare?
CALLIMACO. Ha promesso di persuadere a messer Nicia che vada con la sua donna al bagno in questo maggio.
SIRO. Che è a voi cotesto?
CALLIMACO. Che è a me! Potrebbe quel luogo farla diventare d’un’altra natura, perché in simili lati non si fa se non festeggiare; ed io me n’andrei là, e vi condurrei di tutte quelle ragion’ piaceri che io potessi, né lascerei indrieto alcuna parte di magnificenzia; fare’mi familiar suo, del marito … che so io? Di cosa nasce cosa, e ’l tempo la governa.
[26]SIRO. E’ non mi dispiace.
CALLIMACO. Ligurio si partì questa mattina da me, e disse che sarebbe con messer Nicia sopra questa cosa, e me ne risponderebbe.
SIRO. Eccogli di qua insieme.
CALLIMACO. Io mi vo’ tirare da parte, per essere a tempo a parlare con Ligurio, quando si spicca dal dottore. Tu, intanto, ne va’ in casa alle tue faccende; e, se io vorrò che tu faccia cosa alcuna, io tel dirò.
SIRO. Io vo.
MESSER NICIA. LIGURIO.
NICIA. Io credo ch’e tua consigli sien buoni, e parla’ne iersera alla donna: disse che mi risponderebbe oggi; ma, a dirti el vero, io non ci vo di buone gambe.
LIGURIO. Perché?
NICIA. Perché io mi spicco mal volentieri da bomba; dipoi, ad avere a travasare moglie, fante, masserizie, ella non mi quadra. Oltr’a questo, io parlai iersera a parecchi medici: l’uno dice che io vadia a San Filippo, l’altro alla Porretta, e l’altro alla Villa; e’ mi parvono parecchi uccellacci; e a dirti el vero, questi dottori di medicina non sanno quello che si pescano.
LIGURIO. E’ vi debbe dar briga, quello che voi dicesti [28]prima, perché voi non sete uso a perdere la Cupola di veduta.
NICIA. Tu erri. Quando io ero più giovane, io sono stato molto randagio: e’ non si fece mai la fiera a Prato, che io non vi andassi; e’ non c’è castel veruno all’intorno, dove io non sia stato; e ti vo’ dir più là: io sono stato a Pisa ed a Livorno, o va’!
LIGURIO. Voi dovete avere veduto la carrucola di Pisa.
NICIA. Tu vuo’ dire la Verucola.
LIGURIO. Ah! sì, la Verucola. A Livorno, vedesti voi el mare?
NICIA. Ben sai che io il vidi!
LIGURIO. Quanto è egli maggior che Arno?
NICIA. Che Arno? Egli è per quattro volte, per più di sei, per più di sette, mi farai dire: e’ non si vede se non acqua, acqua, acqua.
LIGURIO. Io mi maraviglio, adunque, avendo voi pisciato in tante neve, che voi facciate tanta difficultà d’andare ad uno bagno.
NICIA. Tu hai la bocca piena di latte. E’ ti pare a te una favola avendo a sgominare tutta la casa? Pure, io ho tanta voglia d’avere figliuoli, che io son per fare ogni cosa. Ma parlane un po’ tu con questi maestri, vedi dove e’ mi consigliassino che io andassi; ed io sarò intanto con la donna, e ritroverrenci.
LIGURIO. Voi dite bene.
LIGURIO. CALLIMACO.
LIGURIO(solo). Io non credo che sia nel mondo el più sciocco uomo di costui; e quanto la Fortuna lo ha favorito! Lui ricco, lui bella donna, savia, costumata, ed atta a governare un regno. E parmi che rare volte si verifichi quel proverbio ne’ matrimoni, che dice: »Dio fa gli uomini, e’ s’appaiono«; perché spesso si vede uno uomo ben qualificato sortire una bestia, e, per avverso, una prudente donna avere un pazzo. Ma della pazzia di costui se ne cava questo bene, che Callimaco ha che sperare. – Ma eccolo. (A Callimaco.) Che vai tu appostando, Callimaco?
CALLIMACO. Io t’avevo veduto col dottore, ed aspettavo che tu ti spiccassi da lui, per intendere quello avevi fatto.
LIGURIO. Egli è uno uomo della qualità che tu sai, di poca prudenzia, di meno animo, e partesi mal volentieri da Firenze; pure, io ce l’ho riscaldato: e’ mi ha detto infine che farà ogni cosa; e credo che, quando e’ ti piaccia questo partito, che noi ve lo condurreno; ma io non so se noi ci fareno el bisogno nostro.
CALLIMACO. Perché?
LIGURIO. Che so io? Tu sai che a questi bagni va d’ogni qualità gente, e potrebbe venirvi uomo a chi madonna Lucrezia piacessi come a te, che fussi ricco più di te, che [32]avessi più grazia di te: in modo che si porta pericolo di non durare questa fatica per altri, e che c’intervenga che la copia de’ concorrenti la faccino più dura, o che, dimesticandosi, la si volga ad un altro e non a te.
CALLIMACO. Io conosco che tu di’ el vero. Ma come ho a fare? Che partito ho a pigliare? Dove mi ho a volgere? A me bisogna tentare qualche cosa, sia grande, sia periculosa, sia dannosa, sia infame. Meglio è morire che vivere così. Se io potessi dormire la notte, se io potessi mangiare, se io potessi conversare, se io potessi pigliare piacere di cosa veruna, io sarei più paziente ad aspettare el tempo; ma qui non c’è rimedio; e, se io non sono tenuto in speranza da qualche partito, i’ mi morrò in ogni modo; e, veggendo d’avere a morire, non sono per temere cosa alcuna, ma per pigliare qualche partito bestiale, crudele, nefando.
LIGURIO. Non dire così, raffrena cotesto impeto dello animo.
CALLIMACO. Tu vedi bene che, per raffrenarlo, io mi pasco di simili pensieri. E però è necessario o che noi seguitiamo di mandare costui al bagno, o che noi entriano per qualche altra via, che mi pasca d’una speranza, se non vera, falsa almeno, per la quale io nutrisca un pensiero, che mitighi in parte tanti mia affanni.
LIGURIO. Tu hai ragione, ed io sono per farlo.
CALLIMACO. Io lo credo, ancora che io sappia che e pari [34]tuoi vivino di uccellare li uomini. Nondimanco, io non credo essere in quel numero, perché, quando tu el facessi ed io me ne avvedessi, cercherei valermene, e perderesti per ora l’uso della casa mia, e la speranza di avere quello che per lo avvenire t’ho promesso.
LIGURIO. Non dubitare della fede mia, ché, quando e’ non ci fussi l’utile che io sento e che io spero, e’ c’è che ’l tuo sangue si confà col mio, e desidero che tu adempia questo tuo desiderio presso a quanto tu. Ma lasciamo ir questo. El dottore mi ha commesso che io truovi un medico, e intenda a quale bagno sia bene andare. Io voglio che tu faccia a mio modo, e questo è che tu dica di avere studiato in medicina, e che abbi fatto a Parigi qualche sperienzia: lui è per crederlo facilmente per la semplicità sua, e per essere tu litterato e poterli dire qualche cosa in gramatica.
CALLIMACO. A che ci ha a servire cotesto?
LIGURIO. Serviracci a mandarlo a qual bagno noi vorreno, ed a pigliare qualche altro partito che io ho pensato, che sarà più corto, più certo, più riuscibile che ’l bagno.
CALLIMACO. Che di’ tu?
LIGURIO. Dico che, se tu arai animo e se tu confiderai in me, io ti do questa cosa fatta, innanzi che sia domani questa otta. E, quando e’ fussi uomo che non è, da ricercare se tu se’ o non se’ medico, la brevità del tempo, la cosa in sé farà o che non ne ragionerà o che non sarà a tempo a guastarci el disegno, quando bene e’ ne ragionassi.
[36]CALLIMACO. Tu mi risuciti. Questa è troppa gran promessa, e pascimi di troppa gran speranza. Come farai?
LIGURIO. Tu el saprai, quando e’ fia tempo; per ora non occorre che io te lo dica, perché el tempo ci mancherà a fare, nonché dire. Tu, vanne in casa, e quivi m’aspetta, ed io andrò a trovare el dottore, e, se io lo conduco a te, andrai seguitando el mio parlare ed accomodandoti a quello.
CALLIMACO. Così farò, ancora che tu mi riempia d’una speranza, che io temo non se ne vadia in fumo.
dopo il primo atto
Chi non fa prova, Amore,
della tua gran possanza, indarno spera
di far mai fede vera
qual sia del cielo il più alto valore;
né sa come si vive, insieme, e muore,
come si segue il danno e ’l ben si fugge,
come s’ama se stesso
men d’altrui, come spesso
timore e speme i cori adiaccia e strugge;
né sa come ugualmente uomini e dèi
paventan l’arme di che armato sei.
LIGURIO. MESSER NICIA. SIRO.
LIGURIO. Come io vi ho detto, io credo che Iddio ci abbia mandato costui, perché voi adempiate el desiderio vostro. Egli ha fatto a Parigi esperienzie grandissime; e non vi maravigliate se a Firenze e’ non ha fatto professione dell’arte, che n’è suto cagione, prima, per essere ricco, secondo, perché egli è ad ogni ora per tornarsi a Parigi.
NICIA. Ormai, frate sì, cotesto bene importa; perché io non vorrei che mi mettessi in qualche lecceto, e poi mi lasciassi in sulle secche.
LIGURIO. Non dubitate di cotesto; abbiate solo paura che non voglia pigliare questa cura; ma, se la piglia, e’ non è per lasciarvi infino che non ne veda el fine.
NICIA. Di cotesta parte io mi vo’ fidare di te, ma della scienzia io ti dirò bene io, come io gli parlo, s’egli è uomo di dottrina, perché a me non venderà egli vesciche.
LIGURIO. E perché io vi conosco, vi meno io a lui, acciò li parliate. E se, parlato li avete, e’ non vi pare per presenzia, per dottrina, per lingua uno uomo da metterli il capo in grembo, dite che io non sia desso.
[42]NICIA. Or sia, al nome dell’Agnol santo! Andiamo. Ma dove sta egli?
LIGURIO. Sta in su questa piazza, in quello uscio che voi vedete al dirimpetto a noi.
NICIA. Sia con buona ora. Picchia.
LIGURIO. Ecco fatto.
SIRO(affacciandosi alla porta). Chi è?
LIGURIO(a Siro). Èvi Callimaco?
SIRO. Sì, è. (Rientra in casa.)
NICIA(a Ligurio). Che non di’ tu »maestro Callimaco«?
LIGURIO. E’ non si cura di simil’ baie.
NICIA. Non dir così, fa ’l tuo debito, e, s’e’ l’ha per male, scingasi!
CALLIMACO. MESSER NICIA. LIGURIO.
CALLIMACO. Chi è quel che mi vuole?
NICIA. Bona dies, domine magister.
CALLIMACO. Et vobis bona, domine doctor.
LIGURIO(piano, a Nicia). Che vi pare?
NICIA(piano, a Ligurio). Bene, alle guagnele!
LIGURIO.