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Pubblicato nel 1903,
Elias Portolu racconta la storia di un pastore sardo che ritornato in paese, dopo aver scontato un’ingiusta condanna ed essere stato tentato dal prendere i voti, cerca inutilmente di resistere all’amore che prova per la moglie del fratello.
Elias Portolu è uno dei romanzi più riusciti di Grazia Deledda. In esso la scrittrice descrive con grande efficacia il dramma del protagonista, succube della forza della passione e lacerato dai sensi di colpa, che solo la fede riuscirà alla fine a placare.
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Grazia Deledda
Elias Portolu
OMBand Digital Editions
1. Alberto Camì, Breve matrimonio di Benito, e morte
2. Enrico Quarto, Le maschere
3. Pavel I. Smirnov, Il mio regno non è di questo mondo
4. Enrico Quarto, Il sogno del prete
5. Giovanni Messina, Elogio del paradosso
6. Michel de Montaigne, Il piacere di vivere
7. Serena Bianchi, Cliccare Obbedire Combattere
8. Giovanni Messina, I nove comandamenti
9. Giovanni Messina, Lo scrittore Heinrich
10. Giovanni Messina, Diario di una guerra quasi giusta
11. Giovanni Messina, Storia di un ristorante italiano in Cina
12. L’esprit (Le più belle massime della letteratura francese)
13. François Rabelais, Lode al debito
14. Voltaire, L’abc della filosofia
15. Enrico Quarto, Diamanti
16. Anatole France, Nel giardino di Epicuro
17. Duca de Saint-Simon, Questa puttana mi farà morire
18. Intervista alla Stupidità
19. Giovanni Messina, Delocalizziamo la vita
20. Italo Svevo, La novella del buon vecchio e della bella fanciulla
21. Italo Svevo, L’assassinio di via Belpoggio
22. Octave Mirbeau, La vacca picchiettata e altre strane storie
23. Luigi Pirandello, Così è (se vi pare)
24. Luigi Pirandello, Il berretto a sonagli
25. Luigi Pirandello, Il giuoco delle parti
26. Luigi Pirandello, Pensaci, Giacomino!
27. Luigi Pirandello, Liolà
28. Carlo Goldoni, La bottega del caffè
29. Carlo Goldoni, Le smanie per la villeggiatura
30. Le più belle poesie di Gabriele D’Annunzio
31. Carlo Goldoni, La Locandiera
32. Italo Svevo, Corto viaggio sentimentale
33. Luigi Pirandello, Tre atti unici
34. Federigo Tozzi, Con gli occhi chiusi
35. Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore
36. Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila
37. Luigi Pirandello, Enrico IV
38. Carlo Goldoni, Il servitore di due padroni
39. Dino Campana, Canti Orfici
40. Vittorio Alfieri, Della tirannide
41. Alessandro Manzoni, Storia della colonna infame
42. Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal
43. Niccolò Machiavelli, Mandragola
44. Giacomo Leopardi, Operette morali
45. Pedro Calderón de la Barca, La vita è sogno
46. Italo Svevo, Senilità
47. Italo Svevo, La coscienza di Zeno
48. Le più belle poesie d’amore di Torquato Tasso
49. Niccolò Machiavelli, Il Principe
50. Giacomo Leopardi, Pensieri
51. Luigi Capuana, Il marchese di Roccaverdina
52. Grazia Deledda, Canne al vento
53. Dante Alighieri, Vita Nuova
54. Giovanni Verga, Storia di una capinera
55. Giovanni Verga, I Malavoglia
56. Edmondo De Amicis, Cuore
57. Carlo Goldoni, Il ventaglio
58. Lev Tolstoj, Sonata a Kreutzer
59. Lev Tolstoj, La morte di Ivan Il′ič
60. Luigi Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore
61. Giovanni Verga, La Lupa
62. Giovanni Verga, Una peccatrice
63. Emilio De Marchi, Il cappello del prete
64. Italo Svevo, Una vita
65. Federigo Tozzi, Bestie
66. Fëdor Dostoevskij, Le notti bianche
67. Edmondo De Amicis, Amore e ginnastica
68. Luigi Pirandello, Questa sera si recita a soggetto
69. Luigi Pirandello, L’esclusa
70. Grazia Deledda, La madre
71. Grazia Deledda, Elias Portolu
72. Arthur Schopenhauer, Sul valore del giudizio degli altri
73. Gabriele D’Annunzio, Il fuoco
74. Gabriele D’Annunzio, Il piacere
75. Giovanni Verga, Eros
76. Vittorio Alfieri, Vita
77. Vittorio Alfieri, Mirra
78. Gaetano Carlo Chelli, L’eredità Ferramonti
79. Matilde Serao, Leggende napoletane
80. Matilde Serao, Il paese di cuccagna
81. Lev Tolstoj, I racconti di Sebastopoli
82. Federigo Tozzi, Il podere
83. Giovanni Verga, Cavalleria rusticana
84. Giovanni Verga, Mastro-don Gesualdo
85. Laurence Sterne, Viaggio sentimentale
86. Carlo Goldoni, Il teatro comico
87. Luigi Pirandello, La favola del figlio cambiato
88. Italo Svevo, Una burla riuscita
89. Matilde Serao, Il ventre di Napoli
90. Luigi Capuana, Giacinta
91. Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis
92.Søren Kierkegaard, Diario del seduttore
93. Giovanni Verga, Eva
94. Voltaire, Candido
95. Charles Dickens, Canto di Natale
96. Cesare Pavese, Tra donne sole
97. Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò
98. Cesare Pavese, La bella estate
99. Cesare Pavese, La luna e i falò
100. Cesare Pavese, Paesi tuoi
101. Cesare Pavese, La casa in collina
In copertina:
L’arrestato di Giuseppe Mentessi
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Giorni lieti s'avvicinavano per la famiglia Portolu, di Nuoro. Agli ultimi di aprile doveva ritornare il figlio Elias, che scontava una condanna in un penitenziario del continente; poi doveva sposarsi Pietro, il maggiore dei tre giovani Portolu.
Si preparava una specie di festa: la casa era intonacata di fresco, il vino ed il pane pronti; pareva che Elias dovesse ritornare dagli studi, ed era con un certo orgoglio che i parenti, finita la sua disgrazia, lo aspettavano.
Finalmente arrivò il giorno tanto atteso, specialmente da zia Annedda, la madre, una donnina placida, bianca, un po' sorda, che amava Elias sopra tutti i suoi figliuoli. Pietro, che faceva il contadino, Mattia e zio Berte, il padre, che erano pastori di pecore, ritornarono di campagna. I due giovanotti si rassomigliavano assai; bassotti, robusti, barbuti, col volto bronzino e con lunghi capelli neri. Anche zio Berte Portolu, la vecchia volpe, come lo chiamavano, era di piccola statura, con una capigliatura nera e intricata che gli calava fin sugli occhi rossi malati, e sulle orecchie andava a confondersi con la lunga barba nera non meno intricata. Vestiva un costume abbastanza sporco, con una lunga sopragiacca nera senza maniche, di pelle di montone, con la lana in dentro; e fra tutto quel pelame nero si scorgevano solo due enormi mani d'un rosso-bronzino, e nel viso un grosso naso egualmente rosso-bronzino.
Per la solenne occasione, però, zio Portolu si lavò le mani ed il viso, chiese un po' d'olio d'oliva a zia Annedda, e si unse bene i capelli, poi li districò con un pettine di legno, dando in esclamazioni per il dolore che quest'operazione gli causava.
«Che il diavolo vi pettini», diceva ai suoi capelli, torcendo il capo. «Neanche la lana delle pecore è così intricata!»
Quando l'intrico fu sciolto, zio Portolu cominciò a farsi una trecciolina sulla tempia destra, un'altra sulla sinistra, una terza sotto l'orecchio destro, una quarta sotto l'orecchio sinistro. Poi unse e pettinò la barba.
«Fatevene altre due, ora!», disse Pietro, ridendo.
«Non vedi che sembro uno sposo?», gridò zio Portolu. E rise anche lui. Aveva un riso caratteristico, forzato, che non gli smoveva un pelo della barba.
Zia Annedda borbottò qualche cosa, perché non le piaceva che i suoi figliuoli mancassero di rispetto al padre; ma questi la guardò con rimprovero e disse:
«Ebbene, cosa dici, tu? Lascia ridere i ragazzi; è tempo che si divertano, loro; noi ci siamo già divertiti».
Intanto giunse l'ora dell'arrivo di Elias. Vennero alcuni parenti e un fratello della fidanzata di Pietro, e tutti mossero verso la stazione. Zia Annedda rimase sola in casa, col gattino e le galline. La casetta, con un cortile interno, dava su un viottolo scosceso che scendeva allo stradale: dietro il muro assiepato del viottolo si stendevano degli orti che guardavano sulla valle. Pareva d'essere in campagna: un albero stendeva i suoi rami al disopra della siepe, dando al viottolo un'aria pittoresca: l'Orthobene granitico e le cerule montagne d'Oliena chiudevano l'orizzonte.
Zia Annedda era nata ed invecchiata là, in quel cantuccio pieno d'aria pura, e forse per questo era rimasta sempre semplice e pura come una creatura di sette anni. Del resto, tutto il vicinato era abitato da gente onesta, da ragazze che frequentavano la chiesa, da famiglie di costumi semplici. Zia Annedda usciva ogni tanto sul portone aperto, guardava di qua e di là, poi rientrava. Anche le vicine aspettavano il ritorno del prigioniero, ritte sulle loro porticine o sedute sui rozzi sedili di pietra addossati al muro: il gatto di zia Annedda contemplava dalla finestra.
Ed ecco un suono di voci e di passi in lontananza. Una vicina attraversò di corsa il viottolo e mise la testa entro il portone di zia Annedda.
«Eccoli, son qui!», gridò.
La donnina usci fuori, più bianca del solito e tremante; subito dopo un gruppo di paesani irruppe nel viottolo, ed Elias, assai commosso, corse da sua madre, si curvò e l'abbracciò.
«Fra cento anni un'altra, fra cento anni un'altra...», mormorava zia Annedda piangendo.
Elias era alto e snello, col volto bianchissimo, delicato, sbarbato; aveva i capelli neri rasati, gli occhi azzurri-verdognoli. La lunga prigionia aveva reso candide le sue mani e la sua faccia.
Tutte le vicine si affollarono intorno a lui, respingendo gli altri paesani, e gli strinsero la mano, augurandogli:
«Un'altra disgrazia simile fra cento anni».
«Dio voglia!», egli rispondeva.
Dopo di che entrarono in casa. Il gatto, che all'avvicinarsi dei paesani s'era ritirato dalla finestra, venuto alla scaletta esterna saltò giù spaventato, corse di qua e di là e andò a nascondersi.
«Muscì, muscì», cominciò a gridare zio Portolu, «che diavolo hai, non hai veduto mai cristiani? Oh che siamo assassini, che fuggono anche i gatti? Siamo gente onesta, galantuomini siamo!» La vecchia volpe aveva una gran voglia di gridare, di chiacchierare, e diceva cose inconsistenti.
Seduti che tutti furono in cucina, mentre zia Annedda versava da bere, zio Portolu s'impadronì di Jacu Farre, un suo parente, un bell'uomo rosso e grasso che respirava lentamente, e non lo lasciò più in pace.
«Vedi», gli gridava, tirandogli la falda del cappotto, e accennandogli i suoi figli, «li vedi ora i figli miei? Tre colombi! e forti, eh, e sani, e belli! Li vedi in fila, li vedi? Ora che è tornato Elias, saremo come quattro leoni; non ci toccherà neppure una mosca. Anche io, sai, anche io sono forte; non guardarmi così, Jacu Farre, io di te me ne infischio, intendi? Mio figlio Mattia è la mia mano destra; ora Elias sarà la mia sinistra. E Pietro, poi, il piccolo Pietro, Prededdu mio? Non lo vedi? è un fiore! Ha seminato dieci quarti d'orzo e otto di frumento e due quarti di fave: eh, se vuol sposarsi, può tenerla bene la moglie! Non gli mancherà la raccolta. È un fiore, Prededdu mio. Ah, i miei figli! Come i miei figli non ce ne sono altri a Nuoro.»
«Eh! eh!», disse l'altro quasi gemendo.
«Eh! eh! Cosa vuoi dire col tuo eh! eh!, Jacu Fà? Dico bugie forse? Mostrami altri tre giovani come i miei figli, onesti, laboriosi, forti. Uomini sono, essi, uomini sono!»
«E chi ti dice che siano donne?»
«Donne, donne! Donna sarai tu, pancia di cassetta», gridò zio Portolu premendo con le sue grosse mani sulla pancia del parente, «tu, non loro, i miei figli! Non li vedi?», proseguì, rivolgendosi con adorazione verso i tre giovanotti. «Non li vedi, sei cieco? Tre colombi...»
Zia Annedda s'avvicinò, col bicchiere in una mano e la caraffa nell'altra. Colmò il bicchiere e lo porse al Farre, e il Farre lo diede cortesemente a zio Portolu. E zio Portolu bevette.
«Beviamo! Alla salute di tutti! E tu, moglie mia, femminuccia, non aver più paura di nulla: saremo come leoni, ora, non ci toccherà più neanche una mosca.»
«Va! va!», ella rispose.
Versò da bere al Farre e passò oltre. Zio Portolu la seguì con gli occhi, poi disse, toccandosi l'orecchia destra con un dito:
«È un po'... qui; non sente bene, infine, ma una donna! Una donna buona! Fa il fatto suo, mia moglie, altro che fa il fatto suo! E donna di coscienza, poi! Ah, come lei...».
«Non ce n'è altra in Nuoro!»
«Pare!», gridò zio Portolu. «Forse che la sentono a fare dei pettegolezzi? Non temere, che se Pietro porta qui la sua sposa, ci stia male, qui, la ragazza!»
E tosto cominciò a lodare anche la ragazza. Una rosa, un gioiello, una palma! Essa cuciva e filava, essa buona massaia, essa onesta, bella, buona, benestante.
«Infine», disse il Farre ironico, «non ce n'è un'altra in Nuoro!»
Intanto il gruppo dei giovani parlava animatamente con Elias, bevendo, ridendo, sputando. Il più che rideva era lui, il reduce, ma il suo riso era stanco e spezzato, la voce debole; il suo viso e le sue mani spiccavano fra tutte quelle facce e quelle mani bronzine; sembrava una donna vestita da uomo.
Inoltre il suo linguaggio aveva acquistato qualche cosa di particolare, di esotico; egli parlava con una certa affettazione, metà italiano e metà dialetto, con imprecazioni affatto continentali.
«Senti tuo padre che vi vanta», disse il futuro cognato di Pietro. «Egli dice che siete dei colombi, e in verità che sei bianco come un colombo, Elias Portolu.»
«Ma ridiventerai nero», disse Mattia. «Da domani cominciamo a trottare verso l'ovile, non è vero, fratello mio?»
«Ch'egli sia bianco o nero poco importa», disse Pietro. «Lasciate queste sciocchezze, lasciategli raccontare quello che raccontava.»
«Dicevo dunque», riprese Elias con la sua voce fiacca, «che quel gran signore compagno di cella, era il capo dei ladri di quella grande città, come si chiama... non ricordo più, via. Era con me, mi confidava tutto. Quello sì, che si dice rubare: cosa contano i nostri furti? Noi, per esempio, un giorno abbiamo bisogno d'una cosa, andiamo e rubiamo un bue e lo vendiamo; ci prendono, ci condannano, e quel bue non basta a pagare l'avvocato. Ma quelli là, quei grandi ladri, altro che! Pigliano dei milioni, li nascondono, e poi quando escono di prigione diventano ricchissimi, vanno in carrozza e si divertono. Cosa siamo noi, Sardi asini, al loro confronto?»
I giovanotti ascoltavano intenti, pieni d'ammirazione per quei grandi ladri d'oltremare.
«Poi c'era un monsignore anche», riprese Elias, «un riccone che aveva nel libretto tante migliaia di lire.»
«Anche un monsignore!...», esclamò Mattia meravigliato.
Pietro lo guardò ridendo e volle fare il disinvolto, sebbene si meravigliasse anche lui.
«Ebbene, un monsignore? Oh che i monsignori non sono uomini come gli altri? La prigione è fatta per gli uomini.»
«Perché c'era quello lì?»
«Ma... pare perché voleva che si mandasse via il Re e si mettesse per Re il Papa. Altri però dicevano che anche lui era in carcere per affari di denaro. Era un uomo alto coi capelli bianchi come la neve; leggeva sempre. Un altro venne a morire, e lasciò ai detenuti tutto il denaro che aveva nel libretto. Volevano darmi cinque lire; io però le rifiutai. Un Sardo non vuole elemosine.»
«Stupido! io le avrei prese!», gridò Mattia. «Mi sarei preso una sbornia solenne alla salute del morto.»
«È proibito», rispose Elias; e stette un momento in silenzio, assorto in vaghi ricordi, poi esclamò: «Gesù! Gesù! Quanta gente c'era, d'ogni qualità! C'era con me un altro Sardo, un maresciallo; lo imbarcarono a Cagliari la stessa notte che imbarcarono me: egli credeva lo rilasciassero, invece lo presero ch'egli neanche se ne accorse».
«Oh, io dico che se ne sarà accorto!»
«Oh, anch'io!»
«Egli si vantava che l'avrebbero presto graziato, che era parente del ministro, e che aveva un altro parente alla Corte del Re: invece io l'ho lasciato laggiù; nessuno gli scriveva, nessuno gli mandava un centesimo. E in quei luoghi, se non si hanno dei soldi, si crepa di fame, che Dio mi assista! E i carcerieri!», esclamò poi facendo una smorfia, «tanti aguzzini! Sono quasi tutti Napoletani, canaglie, che se ti vedono morire ti sputano addosso. Ma prima d'andar via io dissi ad uno di loro: "Prova a passare dalle nostre parti, marrano, che ti accomodo io l'osso del collo".»
«Sì», disse Mattia, «provi un po' a passare vicino al nostro ovile, che gli diamo un po' di siero!»
«Oh, egli non passerà!»
«Chi non passerà?», domandò zio Portolu, avvicinandosi.
«No, un guardiano che sputava addosso ad Elias», disse Mattia.
«No, diavolo, non mi sputava affatto: cosa stai dicendo?»
Tutti si misero a ridere: zio Portolu gridò:
«E poi Elias non l'avrebbe permesso; gli avrebbe rotto i denti con un pugno. Elias è un uomo: siamo uomini, noi, non siamo bambocci di formaggio fresco come i continentali, anche se essi sono guardiani di uomini...».
«Macché guardiani!», disse Elias alzando le spalle. «I guardiani sono canaglie; ma ci sono poi i signori; avreste visto voi! Grandi signori che vanno in carrozza, che quando entrano in carcere hanno migliaia e migliaia di lire nel libretto.»
Zio Portolu si stizzì, sputò, e disse:
«Cosa sono essi? Uomini di formaggio fresco! Va e mettili un po' a gettar il laccio ad un puledro indomito, o a chiappar un toro, od a sparare un archibugio! Muoiono prima di spavento. Cosa sono i signori? Le mie pecore sono più coraggiose, così Dio mi assista.»
«Eppure, eppure...», insisteva Elias, «se voi vedeste...»
«Cosa hai veduto tu?», ribatteva zio Portolu, sprezzante. «Tu non hai veduto nulla. Alla tua età io non avevo veduto nulla; ma ho veduto dopo e so cosa sono i signori, e cosa sono i continentali e cosa sono i Sardi. Tu sei un pulcino appena uscito dall'uovo.»
«Altro che pulcino!», mormorò Elias, sorridendo amaramente.
«Un gallo, piuttosto!», disse Mattia.
E il Farre. con finezza:
«No, un uccellino...».
«Uscito dalla gabbia!», esclamarono gli altri, ridendo.
La conversazione si fece generale. Elias proseguì a narrare i suoi ricordi, più o meno esatti, sul luogo e le persone che aveva lasciato: gli altri commentavano e ridevano. Zia Annedda ascoltava anch'essa, con un placido sorriso sul viso calmo, e non riusciva ad afferrar bene tutte le parole di Elias: ma il Farre, sedutole accanto, le avvicinava il viso al collo e le ripeteva a voce alta i racconti del reduce.
Intanto veniva altra gente, amici, vicini, parenti. I nuovi venuti si avvicinavano ad Elias, molti lo baciavano, tutti gli auguravano:
«Fra cent'anni un'altra».
«Dio lo voglia!», gli rispondeva, tirandosi la berretta sulla fronte.
E zia Annedda versava da bere. In breve la cucina fu piena di gente; zio Portolu gridava incessantemente, facendo sapere a tutti che i suoi figli erano tre colombi, e avrebbe voluto trattenere a lungo tutta quella gente; ma Pietro smaniava di far conoscere ad Elias la sua fidanzata, e insisteva per uscire e condurlo con sé.
«Andiamo a pigliar aria», diceva. «Questo povero diavolo è stato ben rinchiuso perché lo vogliate tener qui tutta la sera.»
«Ne vedrà bene dell'aria!», rispose un parente.
«Quel suo volto di ragazza diventerà nero come la polvere da sparo.»
«Lo credo bene!», gridò Elias, passandosi le mani sul volto, vergognoso della sua bianchezza. Ma finalmente Pietro riusciva a farsi intendere, e stavano per uscire, quando sopraggiunse la futura suocera, una vedova magra, alta e rigida, col viso terreo avvolto in una benda nera: la accompagnavano i suoi due più giovani figli, una fanciulla ed un giovinetto già pieno di boria.
«Figlio mio!», declamò con enfasi la vedova slanciandosi a braccia aperte verso Elias. «Il Signore ti mandi fra cento anni un'altra di queste disgrazie.»
«Dio lo voglia!»
Zia Annedda andava premurosamente dietro la vedova, desiderosa di complimentarla; ma zio Portolu s'impadronì della donna, le prese le mani, la scosse tutta.
«Lo vedi?», le gridò sul viso, «lo vedi, Arrita Scada! Il colombo è tornato al nido. Chi ci tocca, ora? Chi ci tocca? Dillo tu. Arrita Scada...» Ella non seppe dirlo.
«Lasciatelo dire», esclamò Pietro, rivolto alla vedova. «È allegro oggi.»
«Perché deve essere allegro!»
«Sicuro che sono allegro. Cosa ne dici, tu? Non devo essere allegro? Non lo vedi il colombo? È ritornato al nido. È bianco come un giglio. E belle storie ne sa raccontare, ora. Arrita Scada, sentito hai? Siamo una famiglia, una casa di uomini, noi: e diglielo a tua figlia, che essa sposerà un fiore, non una immondezza.»
«Lo credo bene.»
«Lo credi? O che credi che tua figlia venga qui a far la serva? Verrà a far la signora: e troverà pane, e troverà vino, e troverà grano, orzo, fave, olio: ogni ben di Dio. Lo vedi tu quell'uscio?», gridò poi, facendo volger zia Arrita verso un usciolino in fondo alla cucina. «Lo vedi? Sì? Ebbene, sai cosa c'è dietro quell'uscio? Ci sono cento scudi in formaggio. Ed altre cose ancora.»
«Finitela, finitela», disse Pietro, un po' mortificato. «Ella non sa che farsene del vostro ben di Dio.»
«Del resto», osservò Elias, «Maria Maddalena Scada non sposerà Pietro per il nostro formaggio.»
«Figlio del mio cuore! tutto è buono nel mondo!», declamò zia Arrita, sedendosi fra i suoi figlioli, dei quali il maschio non parlava ma sorrideva beffardo.
«Andiamo, andiamo, finitela!», ripeteva Pietro.
Intanto zia Annedda, visto che non le lasciavano dire una parola, s'era messa a preparare il caffè per la socronza.
«Mio marito», le disse, appena poté averla tutta a sé, «è troppo attaccato alle cose del mondo: non pensa affatto che il Signore ci ha dato i suoi beni, senza che noi li meritassimo, e che il Signore ce li può togliere da un momento all'altro.»
«Annedda mia, gli uomini son tutti così», disse l'altra per confortarla. «Non pensano ad altro che alle cose del mondo. Lasciamo andare. Ma cosa stai facendo? Non pigliarti alcun disturbo. Sono venuta per un momentino, e me ne vado subito. Vedo che Elias sta bene, è bianco come una ragazza, Dio lo benedica.»
«Sì, sembra che stia bene, grazie al Signore: ha tanto sofferto, povero uccello!»
«Ah, speriamo che tutto sia finito: egli non tornerà ai cattivi compagni, certamente; perché sono stati i cattivi compagni a procurargli la disgrazia.»
«Che tu sia benedetta, le tue parole son d'oro, Arrita Scada mia. Ma cosa stavamo dicendo? Gli uomini non pensano che alle cose del mondo: se pensassero appena appena al mondo di là, andrebbero più dritti in questo. Essi pensano che questa vita terrena non debba finir mai; invece è una novena, questa vita, una novena ed anche corta. Soffriamo in questo mondo; facciamo sì che questa pulcina qui», si toccò il petto, «sia tranquilla e non ci rimproveri nulla; il resto vada come vuole andare. Metti dunque lo zucchero, Arrita; bada che il tuo caffè non sia amaro.»
«Va bene così; dolce non mi piace.»
«Bene, stavamo dicendo che basta aver la coscienza tranquilla. Invece gli uomini non ci badano, a questo. Basta loro che l'annata sia buona, che facciano molto formaggio, molto frumento, molte olive. Ah, essi non sanno che la vita è così breve, che tutte le cose del mondo passano così presto. Dàlla a me la tua chicchera, non disturbarti. Ah, non è nulla, è il cucchiaino che è caduto. Le cose del mondo! Va tu, Arrita Scada, mettiti sull'orlo del mare, e conta tutti i granelli della rena: quando li avrai contati saprai che essi sono un nulla in confronto degli anni dell'eternità. Invece i nostri anni, gli anni da passare nel mondo, stanno dentro il pugno di un bambino. Io dico sempre queste cose a Berte Portolu e a tutti i figli miei; ma essi son troppo attaccati al mondo.»
«Essi sono giovani, Annedda mia, bisogna considerare questo, che essi sono giovani. Del resto vedrai che Elias ha messo giudizio; è serio, molto serio: la lezione non è stata piccola, e gli servirà per tutta la vita.»
«Maria di Valverde lo voglia! Ah, Elias è un giovine di cuore; quando era ragazzo sembrava una femminuccia; non diceva una imprecazione, non una cattiva parola. Chi l'avrebbe creduto che appunto lui mi avrebbe fatto versar tante lagrime?»
«Basta, ora è tutto passato: ora i tuoi figli sembrano davvero dei colombi, come dice Berte tuo marito. Basta che fra loro regni sempre la concordia, l'amore...»
«Ah, per questo non c'è pericolo, che tu sia benedetta!», disse zia Annedda sorridendo.
Dopo cena zia Annedda poté finalmente trovarsi con Elias, seduti entrambi al fresco nel cortile. Il portone aperto, il viottolo deserto: sembrava una notte d'estate, silenziosa, col cielo diafano fiorito di stelle purissime. Dietro gli orti, dietro lo stradale, in lontananza, si sentiva uno scampanio argentino di pecore al pascolo; veniva nell'aria un aspro profumo d'erba fresca. Elias respirava quel profumo, quell'aria pura, con le narici dilatate, con un istinto di voluttà selvaggia: sentiva il sangue scorrer caldo nelle vene, e il capo oppresso da un piacevole peso. Aveva bevuto e si sentiva felice.
«Siamo stati dalla fidanzata di Pietro», disse con voce vaga, «è una ragazza assai graziosa.» «Sì, è bruna, ma è graziosa: inoltre è assai savia.»
«Sua madre mi pare un po' boriosa: se ha un soldo fa vedere d'avere uno scudo; ma la ragazza sembra modesta.»
«Che vuoi? Arrita Scada è di razza buona e ne va superba: del resto», disse zia Annedda, entrando nel suo argomento favorito, «io non so cosa si ricavi dalla boria e dalla superbia. Dio disse: "tre cose solamente deve aver l'uomo, amore, carità, umiltà". Cosa si ricava dalle altre passioni? Tu ora hai sperimentato la vita, figlio mio; cosa ne dici tu?»
Elias sospirò forte; sollevò il viso al cielo.