Iran e questione nucleare - Anna Ruggieri - E-Book

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Anna Ruggieri

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Beschreibung

Lo sviluppo del nucleare civile è un diritto inalienabile degli Stati che ne siano privi, fino al punto da prevedere l’obbligo per gli Stati nucleari di assistere e fornire agli Stati non nucleari la tecnologia e i materiali utili allo scopo. Tale assioma, però, in un contesto geopolitico come quello dell’Iran, pone, nella comunità internazionale, dubbi in merito alla diversione di energia nucleare dall’impiego pacifico alla produzione di armi nucleari. Con questo testo, l’autrice cerca di proporre una analisi approfondita della questione, attraverso temi di carattere storico-politico, economico e normativo, per condurre il lettore ad una interpretazione propria in merito alla “querelle”, che oramai da anni, ha assunto un’evidenza globale.

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- IRAN E QUESTIONE NUCLEARE –

Anna Ruggieri 2014

Copiright 2014 © Anna Ruggieri Tutti i diritti riservati

ebook by ePubMATIC.com

INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO I

1.1 La nascita dell’Iran contemporaneo

1.2 La costituzione della Repubblica Islamica

1.3 Dalla Guerra del Golfo ad oggi: Iran c.d. “Stato-Canaglia”

1.4 L’ascesa al potere del laico Mahmoud Ahmadinejad e riflessioni sul nuovo nazionalismo

CAPITOLO II

2.1 Il ciclo del combustibile nucleare

2.2 Il ciclo industriale

2.3 I vantaggi e svantaggi dell’energia nucleare

2.4 I programmi nucleari nel mondo

CAPITOLO III

3.1 Il “regime di non-proliferazione nucleare”

3.2 Il Trattato di non-proliferazione nucleare

a) cenni storici

b) sintesi degli articoli

c) durata

3.3 L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica

3.4 L’incidenza dell’NPT sulle scelte politiche degli Stati Nazionali

3.5 Il nucleare militare oggi nel mondo

3.6 I principi di interdizione della Proliferation Security Initiative

3.7 I punti deboli dell’NPT ed i fattori di rischio

3.8 Considerazioni conclusive

CAPITOLO IV

4.1 Il programma del Nucleare

4.2 La posizione del Presidente Ahmadinejad nei confronti dell’AIEA e dell’ONU nel discorso del 20 settembre 2006

4.3 l'Iran ed il proprio “diritto inalienabile” previsto dal NPT di arricchire l'uranio per scopi non bellici

4.4 Analisi e considerazioni

CAPITOLO V

5.1 La posizione americana e la campagna di disinformazione

5.2 Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e le sanzioni

5.3 I Regolamenti della CE

5.4 Il Consiglio di sicurezza dell’ONU spiana la strada alla guerra contro l’Iran

5.5 Il delicato intervento del mondo diplomatico

5.6 L’allarme di George W. Bush sui rischi di un nuovo conflitto mondiale

5.7 Il nuovo corso della politica del governo Obama e la primavera araba

5.8 La “nuova era” di Hassan Rouhani?

CONCLUSIONI

INTRODUZIONE

Questa trattazione non è e non vuole essere una mera raccolta di notizie e di accadimenti inerenti la vicenda del nucleare iraniano, né tantomeno aspira a fornire al lettore una verità che avalli, da una parte, il diritto della Repubblica islamica dell’Iran di dotarsi e sfruttare per fini economici l’energia nucleare e, dall’altra, il timore della comunità internazionale circa l’utilizzo di tale energia per scopi bellici. Lo scopo a cui tendo è quello di fornire, attraverso argomentazioni di carattere giuridico, politico ed economico, un quadro completo ed esaustivo che faccia soppesare le posizioni iraniane e quelle della comunità internazionale, per giungere, per quanto possibile, ad una personale opinione, libera da pregiudizi e preconcetti.

Il Testo si compone di cinque capitoli, il primo a carattere storico, il secondo economico, il terzo giuridico, il quarto ed il quinto rappresentano rispettivamente il diritto iraniano alla produzione dell’energia nucleare e la reazione della comunità internazionale. Nel primo capitolo vengono forniti i necessari elementi storico-politici dell’Iran contemporaneo, dal periodo dello Scià, passando per la nascita della Repubblica con Khomeini, passando per Mahmoud Ahmadinejad e fino all’attuale presidente Hassan Rouhani. Nel secondo capitolo, partendo dal ciclo del combustibile nucleare, ho analizzato i rapporti tra l’economia e l’utilizzo di tale energia, con particolare attenzione ai conseguenti vantaggi ed agli svantaggi, concludendo con i programmi nucleari nel mondo. Il terzo capitolo analizza il nucleare da un punto di vista giuridico, attraverso l’esame del Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP), ponendo l’accento sull’incidenza dello stesso sulle politiche degli Stati Nazionali ed evidenziandone i punti deboli ed i fattori di rischio. Il quarto capitolo pone l’accento sul “diritto inalienabile”, su cui punta il dito il presidente iraniano Hassan Rouhani, seguendo le orme del predecessore, a produrre energia nucleare, mentre il quinto prende in considerazione la reazione ed i timori dei diversi Stati, le sanzioni inflitte all’Iran, i controlli dell’AIEA, il delicato intervento diplomatico ed i forti legami economici, oltre che con la Comunità Europea, con Paesi come Cina e Russia.

Sarà proprio dall’analisi completa di quanto riportato nei singoli capitoli che si potrà giungere a delle conclusioni omogenee, in quanto, a mio parere e come preciserò meglio nella parte finale, la ragione è nel mezzo, nel senso che sarà possibile, con le dovute accortezze, agire per via diplomatica, scongiurando un’altra guerra che, certamente, porterebbe solamente danni e perdite per l’intera comunità internazionale.

CAPITOLO I

1.1 La nascita dell’Iran contemporaneo

La nascita dell’Iran contemporaneo viene fatta risalire al 1925 quando, deposta la dinastia regnante Qajar, Reza Palavi sale al trono di Persia che da lì a poco cambierà nome in Iran. Reza Palavi si fa incoronare imperatore (Scià) e guiderà il Paese fino alla Seconda guerra mondiale quando Gran Bretagna e Unione Sovietica invadono il Paese, costringendo lo Scià ad abdicare.

La corona passa a suo figlio, Mohamed Reza Palavi, che schiera il paese al fianco dell’Occidente in funzione antisovietica.

E’ a partire dagli anni Cinquanta che i rapporti tra Iran e Occidente cominciano a complicarsi. Nel 1951 l'Assemblea nazionale approva la nazionalizzazione di tutti gli impianti petroliferi esistenti nel Paese che sono nelle mani dei britannici. Il governo di coalizione, formato da tutti i gruppi nazionalisti e capeggiato da Muhammad Mossadeq avalla la nazionalizzazione, aprendo così un lungo contenzioso internazionale. Nell'aprile 1952, Mossadeq si dimette, ma sotto la spinta del favore popolare lo Scià è costretto a rinnovargli l'incarico, affidandogli poteri eccezionali .

Dopo un tentativo americano di mediare il contenzioso tra Gran Bretagna e Iran sul petrolio, nell'ottobre 1952 si arriva alla rottura delle relazioni diplomatiche tra Londra e Teheran. Lo Scià – a quel punto contrario all'intransigenza di Mossadeq sulla questione petrolifera – decide di rimuoverlo dal suo incarico, ma ancora una volta violente manifestazioni a lui contrarie costringono lo Scià a lasciare il Paese e a rifugiarsi a Roma.

Dopo tre giorni di scontri durissimi, l'esercito riprende il controllo di Teheran: Mossadeq viene arrestato e lo Scià può tornare in patria e nomina a capo del governo il gen. Fazullah Zahedi.

Di fronte a questo nuovo scenario politico, gli USA appoggiano il nuovo corso con un prestito di emergenza di oltre 45 milioni di dollari e la Gran Bretagna decide di riprendere le relazioni diplomatiche con l’Iran.

Nel 1960 comincia il lento declino dello Scià. La decisione dell’Iran di riconoscere lo Stato d'Israele solleva le ire e l’inimicizia dei Paesi arabi.

Nel 1963 altra mossa sbagliata dello Scià che, introducendo un pacchetto di riforme sociali ed economiche per dare all'Iran uno stile di vita occidentale, finisce col creare gravissime tensioni nel clero sciita che ha un grande peso nel Paese (Albright).

Terzo gravissimo errore dello Scià: accorgendosi di non avere più nelle sue mani il Paese, nel 1975 decide di mettere fuorilegge tutti i partiti ad eccezione di quello della Rinascita Nazionale Iraniana, a lui legato.

In politica estera – in questo periodo - l’Iran rispolvera buone relazioni con i paesi del blocco comunista e cerca di riallacciare buoni rapporti con i Paesi arabi, ad esclusione dell'Iraq.

Ma intanto l’opposizione allo Scià cresce. A guidarla sono i capi religiosi (imam), contrari all'occidentalizzazione della società iraniana ai quali Reza risponde con la più brutale delle repressioni, affidata alla Savak, la feroce polizia politica.

Nel 1978 esplode un movimento di protesta decisamente radicalizzato dalla componente religiosa, tendente alla creazione di una Repubblica islamica. Leader venerato del movimento è l'ayatollah Ruhollah Khomeini che fin dal 1963 era stato costretto all'esilio in Francia.

Nel gennaio del 1979 la svolta: le manifestazioni di piazza, sempre più violente, costringono lo Scià a fuggire all'estero. Finisce così il suo regno durato 37 anni. Il 1° febbraio, Khomeini rientra trionfante in Iran.

Nel stesso mese di febbraio 1979 viene formalmente proclamata la fine della monarchia. Un referendum – stando almeno ai dati ufficiali – con il 98 per cento dei voti dà il via alla creazione in Iran di uno Stato teocratico. Ad aprile nasce la Repubblica Islamica d’Iran.

Il Paese fa un enorme balzo all’indietro.

Il nuovo Stato confessionale si caratterizza fin da subito per una repressione del dissenso ancora più feroce – se possibile - di quella messa in atto anni prima dallo Scià. Alle donne è imposto il chador.

1.2 La Costituzione della Repubblica Islamica.

La nuova Costituzione della Repubblica islamica, approvata nel dicembre del 1979, riconosce Khomeini come massima guida politico-spirituale del Paese e gli attribuisce poteri assoluti e totalizzanti a vita. Il suo regime propugna la diffusione dei principi del fondamentalismo islamico. Lo scopo è quello di eliminare qualsiasi influenza proveniente dal mondo occidentale e, contemporaneamente, ogni possibile opposizione interna a un governo di tipo teocratico.

Nemico numero uno del nuovo regime sono gli USA, simbolo della corruzione della civiltà occidentale, contro il quale (il “grande Satana”) è legittimo anche l’uso del terrorismo.

Nel novembre del 1979 lo Scià (gravemente malato) si reca per cure negli USA. Alcuni fondamentalisti iraniani assaltano l'ambasciata americana a Teheran e prendono in ostaggio 66 impiegati, chiedendo per la loro liberazione le scuse ufficiali del governo americano per l'appoggio concesso allo Scià, nonché la sua consegna alle autorità iraniane per istruire un processo nei suoi confronti. Comincia una lunga crisi internazionale che durerà 444 giorni.

Il 25 aprile 1980 il presidente USA Jimmy Carter tenta di liberare gli ostaggi con un disastroso blitz militare in cui trovano la morte otto militari americani.

La crisi si risolverà soltanto il 20 gennaio 1981, grazie all’intervento diplomatico algerino e soprattutto grazie ad un accordo segreto per la fornitura di armi (lo scandalo Iran-Contras) da parte degli Stati Uniti all’Iran che l’anno prima ha cominciato una durissima guerra con l’Iraq (ovviamente a sua volta rifornito di armi dagli USA). Nel 1980, infatti, il presidente iracheno Saddam Hussein ha attaccato l'Iran con la scusa di riconquistare la riva sinistra dello Shatt al-Arab, ricca di giacimenti petroliferi, che in base ad accordi precedenti era stato costretto a concedere allo Scià. La guerra Iraq-Iran finirà nel 1988, senza nessun sostanziale cambiamento. L'Iran uscirà umiliato dal conflitto, con almeno settecentomila morti.

Nel febbraio del 1989 l'ayatollah Khomeini muore. Gli succede, come supremo leader religioso, Ali Khamenei. Alla presidenza della Repubblica viene eletto Akbar Hashemi Rafsanjani che rimarrà in carica fino al 1997. Rafsanjani avrà il merito di avviare una politica di liberalizzazione economica volta ad attirare investimenti stranieri per la ricostruzione del paese devastato dalla guerra.

1.3 Dalla Guerra del Golfo ad oggi: Iran c.d. Stato-Canaglia

Nella guerra del Golfo del 1991 Teheran rimane ufficialmente neutrale, ma accoglie oltre 100 aerei da guerra iracheni in fuga, di cui peraltro si impossesserà a guerra finita. Al termine delle ostilità, l’Iran sosterrà l'azione anti Saddam dei ribelli sciiti nel sud dell'Iraq.

Nel frattempo le condizioni economiche iraniane sono al disastro. Negli anni Novanta il debito pubblico e l'inflazione sono saliti alle stelle. La disoccupazione è elevatissima: il 70 per cento dei giovani è senza lavoro.

Il crollo del prezzo del petrolio rende ancora più severa la crisi. Il nuovo corso politico cerca di liberalizzare il mercato interno, ma con scarsi risultati, anche perché il governo di Teheran, costantemente accusato di finanziare il terrorismo internazionale di matrice fondamentalista, soprattutto in Algeria ed Egitto, non può contare sugli aiuti internazionali.

Il 30 aprile 1995 il presidente americano Bill Clinton decide di imporre un embargo commerciale totale all'Iran per costringere il governo ad abbandonare il programma nucleare ed il sostegno al terrorismo islamista.

Nonostante i difficili e lenti tentativi di democratizzazione interna, dopo l’11 settembre i rapporti internazionali dell’Iran si complicano. Gli USA accusano l'Iran di continuare a fomentare l’instabilità nelle regioni di confine dell'Afghanistan occidentale e di dare asilo a combattenti di Al Qaeda (Behrens).

La situazione interna rimane molto instabile, perennemente in bilico tra i moderati che sostengono Khatami e gli estremisti raccolti attorno agli ayatollah.

Teheran decide così di non entrare a far parte della coalizione antiterrorismo, come, invece, aveva apertamente chiesto George W. Bush, senza però chiudere le porte all’Occidente a proposito dell’attacco all’Afghanistan.

C’è sempre stato, infatti, un odio feroce tra sunniti (talebani) e sciiti (iraniani), tanto che Teheran – durante il regime talebano - ha sempre sostenuto uno dei principali signori della guerra afghani, Ismail Khan, padrone di Herat. Ci sono poi in sospeso con i Talebani vecchie ruggini. Quando nel 1998 i Talebani hanno occupato la città di Herat, hanno massacrato 30 diplomatici iraniani e la guerra tra Iran e Afghanistan è giunta ad un passo senza ritorno. In Afghanistan, poi, Teheran ha grandi interessi economici che hanno sempre cozzato con gli interessi Talebani, ma anche quelli americani: l’Iran ha sempre puntato alla creazione di un oleodotto che attraversi il Turkmenistan fino al mar Nero, un progetto fortemente osteggiato dagli USA (Allison).

Per gli Stati Uniti, l'Iran è da considerarsi un c.d. “Stato canaglia”, dal momento che Teheran appoggia gli hezbollah attivi soprattutto in Libano, anche se non incita più alla guerra santa contro gli USA come aveva fatto fino a qualche anno prima. L’Iran, comunque, non riconosce più lo Stato d'Israele e non ha rapporti diplomatici con gli USA.

Attualmente in Iran continua una sorta di coabitazione tra riformisti e conservatori. Capo religioso è sempre l'ayatollah Sayyed Alì Khamenei, esponente del clero ultraconservatore. Dal maggio 1997 è stato Presidente della Repubblica Islamica (carica che riunisce i ruoli di capo dello Stato e capo del Governo) Mohammed Khatami, un riformista sostenuto da una coalizione di sinistra islamica e di tecnocrati, che coagula attorno a sé il diffuso desiderio popolare di riforme democratiche e di sviluppo sociale.

Il presidente Khatami che non ha mai messo in discussione l’autorità del clero sciita ha imposto una svolta vagamente democratica all'Iran.

Sul piano internazionale, Khatami ha avviato una politica di normalizzazione delle relazioni con i Paesi arabi (in particolare con Arabia Saudita ed Egitto) e di riavvicinamento ai Paesi occidentali. La parte più estremista del clero iraniano considera questa svolta un tradimento della rivoluzione di Khomeini.

Nel luglio 1999, in seguito all’approvazione di un progetto di legge che limitava la libertà di stampa da parte del parlamento iraniano (a maggioranza filo Khamenei), moti di protesta universitari hanno attraversato il Paese. Moti duramente repressi dalla polizia che ha assassinato decine di studenti. Più di mille studenti sono stati arrestati e molti di loro sono stati condannati a pesanti pene detentive e alcuni addirittura a morte con l’accusa di aver tentato di rovesciare la Repubblica islamica. Anche diversi intellettuali e giornalisti sono stati uccisi in circostanze poco chiare.

Lo scontro tra conservatori e riformisti si è fatto più violento dopo la vittoria dei partiti vicini a Khatami, che nelle elezioni legislative del 18 febbraio 2000 hanno conquistato la maggioranza dei seggi in parlamento.

1.4 L’ascesa al potere del laico Mahmoud Ahmadinejad e riflessioni sul nuovo nazionalismo

I risultati definitivi della doppia tornata elettorale iraniana conclusa il 24 giugno 2005 hanno portato alla presidenza l'outsider Mahmoud Ahmadinejad e hanno posto fine alla strana diarchia tra il leader spirituale integralista ayatollah Ali Khamenei e il presidente Mohammad Khatami, moderato riformista.

La chiave di lettura per ciò che è accaduto in Iran è complessa e lo dimostrano anche le reazioni contraddittorie degli Usa. Il presidente Bush aveva messo in dubbio la correttezza delle prime elezioni del 17 giugno ed è stato seguito dal segretario alla Difesa Rumsfeld che dichiarava il 26 giugno dopo il ballottaggio: “He (Ahmadinejad) is no friend of democracy; he is no friend of freedom”.

La fretta di screditare le elezioni e soprattutto di bollare Ahmadinejad come “non amico” della democrazia e della libertà non ha trovato riscontro nelle parole moderate del vincitore. Se la sua dichiarazione sul “diritto della nazione iraniana alla tecnologia nucleare di pace” era scontata, ha invece sorpreso il tono conciliante sui temi sociali e religiosi. Forse non ci si aspettava che dicesse: “Il governo sarà al servizio di tutte le persone con idee diverse, di diverse etnie, lingue e usanze. Il governo appartiene a tutti gli iraniani. E' un governo di 70 milioni (di persone)”.

Una frase di Ahmadinejad deve tuttavia avere profondamente urtato l'amministrazione americana: “Non c'è necessità per l'Iran di avere alcuna relazione significativa con gli Stati Uniti”. Sono forse più brucianti queste parole dell'appellativo “grande satana” di cui normalmente l'estremismo islamico gratifica la nazione yankee. Così Bush ha pensato di ripagare l'Iran con la stessa moneta ignorandolo completamente nel suo discorso alla nazione tenuto a Fort Bragg il 28 giugno 2005, dove pure ha parlato di altri paesi del Medio Oriente.

Queste schermaglie, da cui prudentemente per ora si tiene lontana l'Europa, fanno passare in secondo piano i veri motivi che hanno portato alla vittoria l'ex pasdaran. Semplificare la nascita di una democrazia in una lotta tra progressisti e integralisti vedendo nella vittoria di questi ultimi una sconfitta per la libertà è un paradigma di comodo tutto occidentale. La democrazia è una forma di governo, il suffragio più o meno universale è una modalità esecutiva, ma né l'una né l'altro garantiscono di per sé la libertà.

Nel caso dell'Iran c'era la libertà reclamata dai moderati delle classi colte e agiate, a cui l'uscente Khatami e ancora di più il candidato favorito ma sconfitto Rafsanjani appartengono. Ma c'era anche la libertà, più prosaica se si vuole ma non meno sentita, delle classi povere che da quando è stato cacciato lo Scià Reza Pahlavi non riescono a vedere la prosperità e la giustizia sociale (secondo il metro islamico beninteso) promessa dai vari regimi da Khomeini in poi. Proprio quegli iraniani si sono comportati in maniera del tutto imprevista, contro le sirene e le minacce occidentali in difesa della loro identità sociale e religiosa.

Il diplomatico indiano M. K. Bhadrakumar in un recente articolo su Asia Times suggerisce di non guardare all'Iran attraverso la lente deformante della cultura occidentale. Nella attuale situazione non avrebbe senso pensare di portare il paese alla democrazia fomentando contrasti nella leadership politica secondo le categorie tutte occidentali di fondamentalisti e liberali, conservatori e riformisti o ancora radicali e moderati.

Valutare la politica iraniana con il metro di una dialettica che ancora non le appartiene sarebbe una pia illusione, come quella che forse nutrivano gli Usa dopo il rovesciamento di Saddam Hussein di controllare la maggioranza sciita irachena capeggiata dall'ayatollah Al Sistani attraverso i buoni uffici del regime iraniano. All'epoca il terremoto in Iran e la pronta mano tesa del segretario di Stato Powell sembrarono una occasione propizia che tuttavia non ha dato alcun effetto.

Occorre guardare con altri occhi al successo di Ahmadinejad, ora a capo di uno Stato che fino dai tempi dello Scià aspira a ricoprire il ruolo di potenza regionale con speranze sempre più fondate nel nuovo scenario che si sta delineando in Medio Oriente. Ahmadinejad sa che quanto fattibil [...]