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Samson, un affascinante vampiro scapolo, non riesce più ad avere un'erezione. Nemmeno il suo strizzacervelli è in grado di aiutarlo. Tutto cambia quando Delilah, la bella esperta di revisione contabile mortale, gli cade letteralmente tra le braccia dopo un'aggressione apparentemente casuale. Improvvisamente, il suo apparato idraulico sembra funzionare alla perfezione, ma solo se Delilah è la donna tra le sue braccia. I suoi scrupoli nel portarsi a letto Delilah svaniscono quando il terapeuta suggerisce che questo potrebbe essere l'unico modo per risolvere il suo problema. Pensando che gli basti una sola notte con lei, Samson si abbandona a una notte di piacere e passione. Tuttavia, dopo un'altra aggressione nei confronti di Delilah e il ritrovamento di un cadavere, Samson si ritrova con più di un problema tra le mani: non solo deve nascondere il fatto di essere un vampiro, ma anche scoprire quali segreti Delilah sta custodendo, tanto da spingere qualcuno a volerle fare del male. INFORMAZIONI SULLA SERIE La serie Vampiri Scanguards è ricca di azione frenetica, scene d'amore bollenti, dialoghi arguti ed eroi ed eroine forti. Il vampiro Samson Woodford vive a San Francisco ed è proprietario di una società di sicurezza e guardie del corpo, la Scanguards, che impiega sia vampiri che umani. E, alla fine, anche delle streghe. Nel corso della serie si aggiungeranno anche guardiani immortali e demoni, per rendere tutto ancora più interessante! Ogni libro può essere letto come un romanzo autoconclusivo si concentra sempre su una nuova coppia che trova l'amore, ma la serie è più piacevole se letta in ordine. E, naturalmente, ci sono sempre alcune battute ricorrenti, lo capirai quando incontrerai Wesley, un aspirante stregone. Buona lettura! Vampiri Scanguards Desiderio Mortale (Storia breve #½) La Graziosa Mortale di Samson (#1) L'Indomita di Amaury (#2) L'Anima Gemella di Gabriel (#3) Il Rifugio di Yvette (#4) La Salvezza di Zane (#5) L'Amore Infinito di Quinn (#6) La Fame di Oliver (#7) La Scelta di Thomas (#8) Morso Silenzioso (#8 ½) L'Identità di Cain (#9) Il Ritorno di Luther (#10) La Missione di Blake (#11) Riunione Fatidica (#11 ½) Il Desiderio di John (#12) La Tempesta di Ryder (#13) La Conquista di Damian (#14) La Sfida di Grayson (#15) L'Amore Proibito di Isabelle (#16) La Passione di Cooper (#17) Il Coraggio di Vanessa (#18) Guardiani Furtivi Amante Smascherato (#1) Maestro Liberato (#2) Guerriero Svelato (#3) Guardiano Ribelle (#4) Immortale Disfatto (#5) Protettore Ineguagliato (#6) Demone Scatenato (#7) La serie Vampiri Scanguards ha tutto: amore a prima vista, nemici che diventano amanti, incontri fortuiti, colpo di fulmine, eroe alfa, compagni predestinati, guardia del corpo, banda di fratelli, damigella in pericolo, donna in pericolo, la bella e la bestia, identità nascosta, anime gemelle, primo amore, vergini, eroe tormentato, divario di età, una seconda possibilità d'amore, amante in lutto, ritorno dalla morte, bambino segreto, playboy, rapimenti, da amici ad amanti, coming out, ammiratore segreto, ultimo a saperlo, amore non corrisposto, amnesia, regalità, amore proibito, gemelli identici, partner nella lotta al crimine.
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Veröffentlichungsjahr: 2025
VAMPIRI SCANGUARDS - LIBRO 1
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
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Informazioni sull’autrice
Samson, un affascinante vampiro scapolo, non riesce più ad avere un'erezione. Nemmeno il suo strizzacervelli è in grado di aiutarlo. Tutto cambia quando Delilah, la bella esperta di revisione contabile mortale, gli cade letteralmente tra le braccia dopo un’aggressione apparentemente casuale. Improvvisamente, il suo apparato idraulico sembra funzionare alla perfezione, ma solo se Delilah è la donna tra le sue braccia.
I suoi scrupoli nel portarsi a letto Delilah svaniscono quando il terapeuta suggerisce che questo potrebbe essere l’unico modo per risolvere il suo problema. Pensando che gli basti una sola notte con lei, Samson si abbandona a una notte di piacere e passione.
Tuttavia, dopo un’altra aggressione nei confronti di Delilah e il ritrovamento di un cadavere, Samson si ritrova con più di un problema tra le mani: non solo deve nascondere il fatto di essere un vampiro, ma anche scoprire quali segreti Delilah sta custodendo, tanto da spingere qualcuno a volerle fare del male.
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Revisionato da Elena H.
© 2024 Tina Folsom
Scanguards® è un marchio registrato.
«Lascia che ti succhi il cazzo».
La vampira tirò giù i pantaloni di Samson. Liberò il suo cazzo flaccido dalla costrizione dei jeans e lo risucchiò nella sua splendida bocca. Osservò le labbra rosse di lei stringersi attorno a lui, lavorandolo freneticamente. Su e giù, profondo e duro, caldo e bagnato.
Gli accarezzò le palle e le strinse con un ritmo perfetto, aveva un talento evidente. Lui le affondò le mani nei capelli e mosse i fianchi avanti e indietro, invitandola ad aumentare l’attrito.
«Più forte».
La sua richiesta fu accolta con entusiasmo, i suoi suoni della suzione rimbalzavano sulle pareti della stanza scarsamente illuminata.
Samson lasciò che il suo sguardo scivolasse sul corpo di lei, vestito in modo succinto: curve sensuali, culo da urlo, persino un bel viso: tutto ciò che avrebbe potuto desiderare in una partner sessuale. Desiderosa di prenderlo in bocca, e senza dubbio, anche di ingoiare. Una cosa che lui apprezzava particolarmente. Nonostante la lingua seducente di lei gli scivolasse su e giù dal cazzo, nonostante il forte movimento di suzione, nonostante l’entusiasmo che mostrasse, non arrivò alcuna erezione. Con Samson, la sua pazienza era mal riposta. Non vi era nessun movimento.
La testa di lei oscillava avanti e indietro, i lunghi capelli castani sfioravano la pelle nuda di Samson, impigliandosi nei peli pubici, eppure il suo corpo non reagiva, come se stesse facendo un pompino a qualcun altro e lui stesse semplicemente guardando un vecchio porno noioso.
Infine, Samson la spinse via, umiliato, frustrato, insoddisfatto. Se i vampiri potessero arrossire dall’imbarazzo, il suo viso sarebbe stato rosso come le labbra dipinte della vampira. Per fortuna, l’arrossire era riservato agli umani.
Frettolosamente, si rimise l’inutile aggeggio maschile nei pantaloni. Ancor più velocemente, si chiuse la zip. Alla velocità di un vampiro, fuggì dalla compagnia di lei.
Una settimana dopo quell’episodio imbarazzante, il suo amico Amaury gli fece una proposta.
«Dagli una possibilità, Samson», insistette. «È un tipo di cui ci si può fidare. Non dirà una parola a nessuno».
Il suo amico di vecchia data non poteva dire sul serio. «Uno strizzacervelli? Vuoi che vada da uno strizzacervelli?»
«Mi ha aiutato in passato. Cos’hai da perdere?»
La sua dignità. Il suo orgoglio.
«Credo che se garantisci per lui, posso fare un tentativo».
E così, cedette.
«E non giudicarlo dall’aspetto fisico».
Lo studio dello psichiatra sembrava la pessima battuta finale di una barzelletta ancora peggiore.
Quando Samson entrò per la prima volta nell’oscuro seminterrato dove lavorava lo psichiatra, volle immediatamente scappare. Ma la segretaria lo aveva già notato. Con un sorriso smielato e la schiena dritta, mise in bella mostra il suo prosperoso seno.
Fantastico, uno strizzacervelli che lavora in una segreta sotterranea e una Barbie come guardiana!
«Signor Woodford, si accomodi. Il dottor Drake la sta aspettando», disse lei, sbattendo le ciglia e inclinando leggermente la testa di lato, attirando lo sguardo di Samson verso il collo, alludendo al fatto che avrebbe accettato volentieri un suo morso. Un morso che gli avrebbe concesso durante un incontro sessuale. Un morso che lui avrebbe dovuto negarle, non perché fosse una vampira, ma perché non era il suo tipo. Sì, decisamente non il suo tipo.
Una volta entrato nell’ufficio di Drake, capì subito che era stato un errore. Al posto di un divano, c’era una bara. Uno dei pannelli laterali in legno era stato rimosso per permettere a una persona viva di sdraiarsi comodamente, come su una chaise longue.
Quel tipo doveva essere un pazzo. Nessun vampiro rispettabile, al giorno d’oggi, si sarebbe mai fatto vedere in una bara! I vampiri di San Francisco si stavano integrando nella società, adattandosi allo stile di vita umano. Le bare erano ormai obsolete: i materassi Tempur-Pedic erano la nuova tendenza.
L’uomo allampanato girò intorno alla scrivania e gli tese la mano in segno di saluto.
«Se pensa che mi sdraierò in quella bara, si sbaglia di grosso», ringhiò Samson.
«Vedo che ci aspetta un bel lavoro». Impassibile di fronte al commento scortese, il dottore indicò una poltrona dall’aspetto confortevole.
Con riluttanza, Samson si sedette.
Il dottor Drake si lasciò cadere sulla sedia di fronte. Non disse una parola. Sul suo volto, nessun muscolo si mosse. Nessun arto si contrasse. Non stava facendo nulla, oltre a fissarlo. A disagio sotto lo sguardo indagatore dello strizzacervelli, Samson serrò le mani sui braccioli della poltrona. Le sue spalle si irrigidirono, la gola si strinse, il sangue pompava febbrilmente nelle sue vene, gonfiandole come un palloncino di elio pronto a esplodere.
«Possiamo iniziare? Suppongo di pagarla all’ora». Meglio prendere il vampiro dalle zanne.
Il sorriso del dottor Drake era distaccato, il suo atteggiamento imperturbabile, quando disse, con aria tranquilla: «Abbiamo iniziato il momento stesso in cui è entrato, ma questo, ne sono certo, già lo sapeva».
Il rimprovero implicito bruciò. «In effetti».
«Da quanto tempo soffre di questi problemi di rabbia?»
Non si aspettava quella domanda. Fu come un pugno sferrato da una vecchietta innocua: inaspettato, immotivato e fuori luogo. Un attacco diretto alla sua psiche già malconcia.
«Problemi di rabbia? Non ho problemi di rabbia. Sono qui per... Il problema è… Ehm, il mio problema ha a che fare con…» Dio, da quando non riusciva più a pronunciare la parola sesso senza sentirsi imbarazzato? Non aveva mai avuto difficoltà a esprimersi quando si trattava di sesso. Il suo vocabolario comprendeva molte parolacce che, di solito, usava senza problemi quando la situazione lo richiedeva.
«Ehm… Uhm». Il dottore annuì, come se avesse intuito qualcosa che Samson non aveva capito. «Lei pensa che si tratti di un problema sessuale. Interessante».
Quell’uomo era in grado di leggere nel pensiero? Samson sapeva che alcuni vampiri avevano delle doti particolari. Una memoria fotografica come la sua, la capacità di percepire emozioni o ricordi, come sapevano fare alcuni dei suoi amici. Ma questi talenti erano diffusi o solo casi eccezionali?
«Legge nel pensiero?»
Drake scosse la testa. «No. Ma il suo problema non è così raro. È piuttosto facile da capire. Mostra segni di rabbia e frustrazione estrema». Si schiarì la gola e si sporse in avanti per enfatizzare ciò che stava per dire. «Signor Woodford, sono perfettamente consapevole di chi lei sia. Gestisce una delle aziende di maggior successo nel mondo dei vampiri, se non la più proficua. È ricco sfondato e mi creda, non influirà sulla cifra che le chiederò».
«Certo che no», lo interruppe Samson. Quel ciarlatano gli avrebbe fatto pagare tanto quanto pensava di potergli spillare.
«Eppure, allo stesso tempo, è da un po’ che non si fa vedere in pubblico, mentre invece dovrebbe essere in giro a corteggiare belle donne. Suppongo che la rottura con la signorina Hampstead…»
«Non sono qui per parlare di lei», sbottò Samson.
Non avrebbe mai, per nessuna ragione, pronunciato il suo nome. Non faceva parte della sua vita, non più, e il solo nominarla gli faceva prudere le zanne, desiderose di un morso feroce. Si scrocchiò le nocche e si domandò se il collo di lei, spezzandosi, avrebbe fatto il medesimo suono.
«No, non è venuto a parlare di lei. Eppure, si tratta di lei, vero? Ci può essere una sola causa dietro a tutto ciò. Lo sappiamo entrambi. Quindi, la domanda è: si fiderà della mia capacità di aiutarla?»
Samson decise di continuare a negare. Fino a quel momento aveva funzionato. «Aiutarmi in cosa?»
«A superare la rabbia».
«Gliel’ho già detto, non si tratta di un problema di rabbia».
«Oh, credo proprio di sì. Qualunque cosa lei abbia fatto, qualunque cosa abbia detto, l’ha fatta arrabbiare a tal punto da bloccare ogni suo desiderio sessuale. Come se volesse evitare una sola cosa».
«Quale?»
«Permettersi di essere vulnerabile».
«Non sono vulnerabile. Non lo sono mai stato. Non da quando sono diventato un vampiro». Essere vulnerabile significava essere debole.
«Non nel senso fisico del termine. Siamo tutti consapevoli della sua forza e del suo potere. Sto parlando delle sue emozioni. Le proviamo tutti. Tutti noi abbiamo difficoltà a gestire le emozioni. Alcuni più di altri. Mi creda, la mia agenda è piena di nostri simili che hanno bisogno di aiuto per affrontare le proprie emozioni».
Lo strizzacervelli lo fissò, di nuovo, con uno sguardo esperto.
No, non poteva permettere a Drake di avvicinarsi così tanto. Le emozioni erano pericolose. Erano in grado di distruggere qualcuno, metterlo a nudo, esporlo.
Samson si alzò bruscamente dalla poltrona. «Non funzionerà».
«Da quando abbiamo iniziato a integrarci con gli umani», continuò Drake, imperterrito, alzandosi in piedi, «il mio lavoro è quadruplicato. Adattarsi al modo in cui gli umani vivono le loro vite ha avuto un impatto su molti di noi. Oggigiorno, dobbiamo affrontare problemi emotivi che abbiamo tenuto sepolti per secoli. Nel senso letterale della parola. Non è solo. Posso aiutarla».
Samson scosse la testa. Nessuno poteva aiutarlo. «Mi mandi il conto. Arrivederci».
Se ne andò infuriato.
Beh, il sesso era sopravvalutato, dopotutto. Doveva solo convincersi di questo. Alcune notti riusciva a credere alle sue stesse bugie, ma solo alcune notti. La verità era che gli piaceva fare sesso, sesso sudato, passionale, selvaggio. Ma nessuna delle vampire riusciva più ad eccitarlo. Per quanto si sforzasse, non riusciva più ad avere un’erezione.
Non aveva mai sentito parlare di una cosa del genere che accadesse a un vampiro. La virilità sessuale era parte integrante dell’essere vampiri, tanto quanto la sete di sangue o la paura del sole. Solo gli umani diventavano impotenti. Se la voce si fosse sparsa, avrebbe perso il rispetto dei suoi colleghi vampiri. E, di conseguenza, avrebbe perso il suo potere, la sua influenza, il suo prestigio.
Quella prospettiva lo terrorizzava più di ogni altra cosa, tanto da spingerlo a cedere e tornare nel seminterrato, dallo strizzacervelli e dalla sua segretaria Barbie.
Samson si scrollò di dosso i ricordi degli ultimi nove mesi.
Attraversò con passo deciso il suo elegante salotto fino al mobile bar e si versò un bicchiere del suo gruppo sanguigno preferito. Lo mandò giù tutto d’un fiato, come un umano avrebbe fatto con uno shot di tequila, ma senza sale e limone. Il liquido denso gli rivestì la gola e gli placò la sete, smorzando allo stesso tempo la voglia di altri piaceri. Bene; nessun altro piacere sarebbe stato soddisfatto quella notte.
Come, d’altronde, era accaduto le ultime duecentosettantasei notti.
Non che stesse tenendo il conto.
Il senso di piacere insoddisfatto gli fece desiderare di potersi ubriacare per dimenticarsi dei problemi, ma l’alcol non aveva alcun effetto sul corpo di un vampiro. Cosa non avrebbe dato per un po’ di torpore, in quel momento. Ma era più lucido che mai, nonostante il fatto che quella sera avrebbe compiuto duecentotrentasette anni. E finché qualcuno non gli avesse conficcato un paletto nel cuore, sarebbe rimasto esattamente com’era ora: giovane, sano... impotente.
Il suono stridente del telefono squarciò il silenzio della sua casa. Samson guardò l’orologio sulla parete. Mancava poco alle nove. Per un attimo considerò l’idea di non rispondere, ma l’abitudine lo spinse a tirare su la cornetta.
«Pronto?»
«Ehi, festeggiato. Come te la cavi?»
Pessima scelta di parole.
«Sì, Ricky?»
«Volevo solo farti gli auguri di buon compleanno e sapere cosa fai stasera».
Perché Ricky dovesse continuare con questa farsa, Samson davvero non lo capiva. Non si rendeva conto che era bravo a mentire quanto una suora a fare la lap dance?
«A che ora arrivano tutti?» chiese Samson, che non era dell’umore giusto per scherzare.
«Cosa intendi?» Nemmeno adottare un tono innocente era il punto forte di Ricky.
«A che ora avete intenzione di sorprendermi con una festa di compleanno?» Dopotutto, avevano fatto esattamente la stessa cosa l’anno prima.
«Come fai a saperlo? Non importa. I ragazzi volevano che mi assicurassi che ci fossi. Quindi non uscire di casa. E se l’altra sorpresa dovesse arrivare prima di noi, trattienila lì».
Sorpresa? Beh, non era perfetto?
«Quando vi deciderete a capire che non mi piacciono le spogliarelliste?»
Non mi sono mai piaciute e non mi piaceranno mai.
Ricky rise. «Non importa. Questa è speciale. Non è solo una spogliarellista. Fa anche gli extra».
L’ultima parola fece sollevare un sopracciglio a Samson, ma non il suo cazzo.
«Penso che potrebbe far qualcosa per te, sai cosa intendo. È brava, quindi dalle una possibilità, d’accordo? È per il tuo bene. Non puoi continuare così. Holly ha detto…»
«Holly? L’hai detto a Holly, cazzo? Sei impazzito? È la più grande pettegola dell’oltretomba! Te l’ho detto in confidenza. Come ti sei permesso?»
Samson sentì spuntare le zanne, una reazione automatica che non poteva, non riusciva, non voleva fermare. Qualsiasi umano, vedendo le punte affilate dei canini protendersi dalla bocca, sarebbe scappato a gambe levate. Ma Ricky non era umano e non si spaventava facilmente.
«Attento a come parli della mia ragazza, Samson. Holly non è una pettegola. E poi, è stata lei a raccomandare quella spogliarellista. È un’amica di Holly».
Eh beh, allora! Perfetto! Un’amica di Holly. Certo, funzionerà sicuramente! Perché i suoi amici non ci avevano pensato prima?
«Disdici!»
«Mi dispiace, troppo tardi. Ci vediamo dopo».
Prima che Samson potesse dar sfogo alle acide parole che aveva sulla punta della lingua, Ricky aveva già chiuso la chiamata.
Con la cornetta in mano, Samson si sentì indifeso, inerme, patetico.
Fantastico! Ora che Holly era a conoscenza del suo piccolo problema, presto l’intero mondo sotterraneo di San Francisco ne sarebbe venuto a conoscenza. Sarebbe diventato lo zimbello di ogni festa, il bersaglio di ogni battuta sui vampiri.
Quanto tempo le sarebbe servito per divulgare la notizia: un giorno, un’ora, cinque minuti? Quanto tempo sarebbe passato prima che iniziassero a sghignazzare alle sue spalle? Quanto tempo sarebbe passato prima che tutti, compresi i loro pipistrelli da compagnia, ne fossero informati?
Perché non pubblicare lui stesso un annuncio di una pagina intera sul SF Vampire Chronicle per risparmiarle la fatica?
Samson Woodford, affascinante vampiro scapolo e libertino, non riesce più ad avere un'erezione!
L’aria condizionata soffiava gelida su di lei, tenendola sveglia. Ma, nonostante gli occhi le bruciassero, Delilah continuò a controllare le righe delle transazioni, cercando eventuali irregolarità.
«Caffè?»
La voce di John Reardon la fece voltare. Erano soli nell’ampio ufficio open space. John era appoggiato al bordo di una delle scrivanie e sollevò la tazza di caffè alle labbra. Era alto e, per essere un contabile, non era male. Noioso, insipido, ma non brutto.
«No, grazie; vorrei riuscire a dormire stanotte. È da qualche notte che soffro di insonnia. Probabilmente sono ancora abituata al fuso orario di New York».
«Sì, so cosa intendi. Non dormire nel tuo letto è quello che ti scombussola, giusto?»
«Per lo meno mi hanno sistemata in un appartamento aziendale piuttosto che in hotel. Non vengo disturbata dal personale delle pulizie».
Era vero, alloggiava in un comodo appartamento di proprietà dell’azienda che era venuta a revisionare, ma, da quando era arrivata qualche giorno prima, aveva avuto difficoltà a dormire.
Delilah si strofinò gli occhi e guardò l’orologio. Erano le nove passate. «Mi spiace, John. Sono sicura che tu sia pronto per tornare a casa».
«E tu? Sei pronta a chiudere baracche e burattini per oggi?»
Quando Delilah annuì, un lampo di sollievo animò lo sguardo di John. Gli bastarono due secondi per infilarsi la giacca e afferrare la valigetta. Non poteva biasimarlo. Aveva una famiglia a casa che lo stava aspettando.
Delilah spense il computer, si alzò e prese la giacca dallo schienale della sedia.
«Ho bisogno di mangiare qualcosa. Puoi indicarmi la strada per Chinatown? Mi perdo facilmente al buio».
«Certo», disse John.
Al di fuori dell’edificio, Delilah seguì le sue indicazioni e si precipitò nel primo ristorante cinese che trovò. Il locale era praticamente vuoto. La cameriera cercò di accompagnarla a un tavolo, ma Delilah le fece un cenno per indicare che avrebbe solo preso cibo da asporto.
«Solo da portar via, per piacere».
La cameriera le porse il menù. Delilah lo lesse rapidamente, cercando di non lasciare che le dita si soffermassero troppo a lungo sulla copertina di plastica appiccicosa.
«Prendo il manzo alla mongola con riso integrale, per cortesia».
«Per il riso integrale ci vogliono dieci minuti».
«Non c’è problema. Aspetto».
Delilah sprofondò in una delle sedie di plastica rosse vicino alla porta. Si trattava del suo primo viaggio d’affari a San Francisco. Era stata fortunata: la sua reputazione come eccellente contabile forense le aveva permesso di ottenere questo incarico importante, mentre la maggior parte delle volte lavorava solo lungo la East Coast.
Stanca, sbadigliò. Aveva bisogno di dormire bene quella notte, ma provava angoscia al solo pensiero di andare a letto. Al suo arrivo a San Francisco, i suoi vecchi incubi si erano ripresentati.
Erano sempre gli stessi. La vecchia casa colonica francese in cui avevano vissuto più di vent’anni prima, quando suo padre aveva accettato un incarico di due anni come professore all’estero. I campi di lavanda che circondavano la proprietà. La culla. Il silenzio. E poi i volti dei suoi genitori. Le lacrime che rigavano il viso di sua madre.
Ma da quando era arrivata a San Francisco, questi sogni ricorrenti si erano trasformati in altri, più incomprensibili.
La casa in stile vittoriano aveva un aspetto sinistro sotto la pioggia battente. Dalla finestra proveniva una luce fioca, per il resto, tutto era avvolto nell’oscurità. Correva sempre più velocemente. Verso la casa, verso la salvezza. Non osava guardarsi alle spalle. Lui era ancora lì, ancora sulle sue tracce. Una mano la afferrò sulla spalla. Poi, all’improvviso, pugni che sbattevano contro una pesante porta di legno. La sua? Qualcosa cedette. Lei inciampò e cadde. Ritrovandosi nel calore, nella morbidezza, nella sicurezza. A casa.
«Manzo alla mongola, riso integrale». La voce della donna squarciò il ricordo del sogno.
Delilah pagò il conto e prese il cibo. Si fermò sulla soglia.
Dannazione!
Aveva iniziato a piovere, non proprio a dirotto, più come un acquazzone leggero. Aveva dimenticato l’ombrello nel suo appartamento. Anche l’impermeabile. Non aveva altra scelta che affrontare la pioggia. Non doveva essere lontana dall’appartamento.
Restando vicina agli edifici, Delilah iniziò a correre lungo il marciapiede ripido, poi svoltò nella strada successiva, e ancora in un’altra un isolato più avanti. Si guardò attorno, ma la pioggia si faceva sempre più intensa: le gocce si stavano trasformando in secchiate e le secchiate in cascate. Non riconosceva più nulla. Aveva forse sbagliato strada?
I suoi vestiti erano già zuppi. Dove diavolo era finita?
Svoltò l’angolo, ritrovandosi in una piccola strada secondaria. Non le sembrava affatto familiare, ma non era quello il problema più grande, né lo era la pioggia incessante.
Il problema era l’uomo che veniva verso di lei.
Anche se non riusciva a vederlo bene, avrebbe scommesso il fondo pensione che non era lì per offrirle un ombrello.
La figura imponente dell’uomo si stagliava contro la luce fioca di un lampione alle sue spalle. Si stava avvicinando e, all’improvviso, un debole fascio di luce proveniente da una finestra gli illuminò un lato del volto. Il suo sguardo le fece gelare il sangue più della pioggia fredda. Una cicatrice gli increspava la pelle. Non ispirava fiducia.
Anche se non riusciva a vederlo bene, avrebbe scommesso il fondo pensione che non era lì per offrirle un ombrello. Prima che riuscisse a fare due passi, una mano le afferrò la spalla, strattonandola indietro. Il colpo improvviso le fece schizzare il battito cardiaco alle stelle. Scivolò sul marciapiede bagnato, le gambe le cedettero come quelle di un giocatore di poker con una pessima mano. Lottò per mantenere l’equilibrio e lasciò cadere il cibo nel tentativo di attutire la caduta.
La mano dell’uomo affondò ancora di più nella sua spalla. Urlò, cercò di divincolarsi, ma scivolò e cadde sul marciapiede. Si girò di scatto, vedendolo chinarsi verso di lei. Per la prima volta, riuscì a vedere il suo viso, abbastanza chiaramente da poterlo identificare, se mai ne avesse avuto l’occasione. Era di carnagione chiara e sulla quarantina. La sua violenza e l’intenzione di scatenarla su di lei avevano trasformato il suo volto in una maschera orribile.
Delilah non poteva permettere che la trascinasse in qualche angolo buio. La prima regola di sopravvivenza era chiara: mai lasciare che l’aggressore trasporti la vittima in un luogo isolato. Doveva respingerlo lì, dove almeno c’era una possibilità di attirare l’attenzione di qualcuno di passaggio.
Sì, come no!
Con quella pioggia, le strade erano deserte.
La sollevò, afferrandola per il colletto della giacca, dopo aver allentato la dolorosa presa sulla spalla. Rapidamente, con la schiena rivolta verso di lui, Delilah mosse le braccia all’indietro e scivolò fuori dalla giacca, lasciandogliela in mano. Ora aveva una possibilità di lottare.
Lui rimase sorpreso, e lei usò saggiamente quei pochi secondi di vantaggio. Ai tempi dell’università era stata una velocista, forse ce l’avrebbe fatta, anche se il terreno scivoloso non aiutava… e neppure i tacchi alti.
La vanità l’avrebbe uccisa un giorno o l’altro.
Corse verso la strada successiva. Lui era subito dietro di lei. Ed era veloce, più veloce di quanto lei si aspettasse. Il respiro di Delilah si fece affannoso. I polmoni richiedevano più ossigeno.
Scrutando l’area davanti a sé, prese una decisione in una frazione di secondo e si precipitò nella strada alla sua destra. Un’occhiata disperata alle sue spalle le confermò che l’aggressore la stava ancora inseguendo.
Scrutando la strada, notò varie residenze in stile vittoriano sul lato opposto. Tutte erano al buio, tranne una. Le sembrava stranamente familiare. Dalla finestra del soggiorno, filtrava una luce.
Quella era la sua occasione, forse l’unica.
Si diresse verso la vecchia casa vittoriana, salì di corsa i pochi gradini e si mise a battere furiosamente alla porta.
«Aiuto! Aiutatemi!»
Si guardò freneticamente alle spalle, continuando a colpire la porta con i pugni. Il suo aggressore era ormai a meno di mezzo isolato e si avvicinava in fretta. Se l’avesse raggiunta, avrebbe riversato tutta la sua furia su di lei, e non c’era nessun altro posto dove scappare.
I colpi alla porta non cessavano, per quanto Samson cercasse di ignorarli. Forse urlare contro i suoi amici li avrebbe convinti che voleva essere lasciato in pace.
«Vi ho detto di annullare tutto!» Sbottò, spalancando la porta.
Una figura minuta, con i capelli bagnati e i vestiti fradici gli cadde tra le braccia.
«Aiutami, ti prego!» La voce femminile aveva un’urgenza che non ammetteva esitazioni.
Istintivamente, la tirò dentro e sbatté la porta alle sue spalle.
«Grazie». Il sussurro era intriso di autentico sollievo.
La donna sollevò la testa e lo guardò. Occhi grandi e verdi, ciglia lunghe e folte, labbra rosse e carnose. La camicetta bianca le aderiva al corpo e, senza ombra di dubbio, avrebbe potuto vincere qualsiasi concorso di Miss Maglietta Bagnata. Non che Samson ne avesse mai visto uno del vivo. Chiaramente ci aveva rimesso. Il reggiseno di pizzo nero metteva in risalto il seno prominente: coppa 34C, se avesse dovuto indovinare.
Non era difficile capire di chi si trattasse: la spogliarellista!
Ed era entrata in scena come una vera professionista faceva sul palcoscenico: voilà, la damigella in pericolo. Un diversivo rispetto alla solita poliziotta o infermiera, ma in ogni caso, non avrebbe funzionato.
L’ultima volta che i suoi amici lo avevano sorpreso con una spogliarellista, l’agente Nasty aveva provato a perquisirlo, togliendogli i vestiti, lasciandolo del tutto indifferente. Neppure il flirt con un po’ di bondage era riuscito a risvegliare il suo cazzo dal suo sonno profondo. Cosa faceva pensare a Ricky che questa damigella in pericolo potesse ottenere risultati migliori?
Era indubbiamente carina, sensuale e innocente al contempo. Forse avrebbe potuto stare al gioco per qualche minuto, per vedere se si sarebbe smosso qualcosa. Senza farsi troppe illusioni, ovviamente.
«Cos’è successo?»
Profumava di pioggia estiva e di qualcos’altro, che non riusciva a identificare.
«Un tizio mi ha aggredita». Si fermò per riprendere fiato. «Devo chiamare la polizia».
Tremava e sembrava credibile. La donna aveva ovviamente frequentato dei corsi di recitazione.
Un bel tocco di classe.
«Beh, perché non ti scaldi un po’ e ti togli quei vestiti bagnati?»
Di sicuro, quello era il copione che aveva in mente. Esisteva forse miglior motivo per spogliarsi se non per levarsi i vestiti bagnati?
Le apparì una ruga in mezzo alle sopracciglia. «Solo una telefonata, per favore. Mi cambierò a casa, grazie».
Ah, voleva fare la timida allora. La timidezza gli piaceva.
Le fece cenno di entrare in soggiorno, dove un piccolo fuoco scoppiettava nel camino. Lei si piazzò di fronte al camino e allungò le mani verso il calore. I vestiti bagnati le aderivano al corpo, mettendo in risalto le sue curve sensuali. Proporzioni perfette. Non troppo magra, ma abbastanza in carne da permettergli di avere qualcosa a cui aggrapparsi.
«Devi avere freddo con quei vestiti bagnati addosso», le sussurrò alle spalle.
Le spalle di lei si irrigidirono, la sua tensione era evidente. Non si era accorta che Samson si era avvicinato a lei? Lui le strinse le spalle con le mani, lei gridò e si girò di scatto. Lui riconobbe il bagliore nei suoi occhi come un misto di rabbia e paura. Era impossibile che avesse frequentato solo qualche lezione di recitazione all’università: a giudicare dalla sua performance, si era laureata a pieni voti in un’accademia professionale.
«Devo andare».
Adesso le cose si facevano interessanti. Stava facendo la preziosa.
Ricky aveva ragione: era brava. Forse, solo forse, poteva smuovere qualcosa dentro di lui. Come qualsiasi vampiro, Samson adorava andare a caccia. Ed era già da un po’ che non ci andava. Ogni donna gli era praticamente stata servita su un piatto d’argento e, per quanto molte fossero state intriganti, nessuna lo aveva colpito.
«Non così in fretta. Credo che ti stia dimenticando perché sei qui. Vediamo cos’hai da offrire».
La donna gli lanciò un altro sguardo spaventato e si diresse verso la porta. Samson fu più veloce e le bloccò la via di fuga. Ora si stava divertendo. In effetti, non si divertiva così tanto da parecchio tempo. Qualunque cifra Ricky l’avesse pagata, quella donna ne valeva la pena fino all’ultimo centesimo.
La donna respirava affannosamente, continuando a fingere di essere spaventata. Era esattamente come gli piacevano le vittime: in preda al panico, pietrificate e ansimanti. La tirò più vicina a sé.
«No, lasciami andare!» supplicò lei.
«Non vuoi andartene».
Inspirò il suo odore. Sì, profumava di pioggia estiva, ma anche di qualcos’altro, qualcosa di diverso. Questa piccola volpe stava forse usando un profumo esotico? Aveva un odore delizioso e invitante. Un lieve aroma di lavanda gli riempì le narici.
Con occhi terrorizzati, lei lo guardò dal basso, continuando a divincolarsi tra le sue braccia.
«Sono sicuro che Ricky ti ha pagata bene, e se non l’ha fatto, ti darò una generosa mancia». Il denaro non era un problema. Se poteva fare qualcosa per lui, sarebbe stato più che generoso.
«Pagata?» La sua voce si trasformò in uno strillo acuto, il suo panico enfatizzato dagli occhi spalancati. Occhi bellissimi, di un verde che brillava con cento sfaccettature diverse, dal verde muschio al turchese-acqua.
Quel mascalzone non l’aveva ancora pagata? Beh, poteva occuparsene più tardi, in quel momento voleva altro. Un piccolo assaggio di quelle labbra seducenti e di quella lingua ribelle.
Lei aveva risvegliato il suo interesse.
Samson abbassò la testa e premette le labbra sulle sue. Delilah cercò di divincolarsi dall’ abbraccio, ma il tentativo fu a dir poco vano. Le vampire erano forti quanto la loro controparte maschile, ma l’esemplare tra le sue braccia aveva ovviamente deciso di non usare la sua potenza contro di lui.
Le sue labbra erano morbide, deliziosamente morbide. Samson le fece scivolare una mano dietro il collo per tenerla ferma, mentre usava la lingua per tentare di aprirle la bocca. Voleva assaporarla, sentirle quella lingua, ma lei teneva le labbra saldamente chiuse, apparentemente decisa a non cedere troppo presto.
Più lei si dimenava, cercando di liberarsi dalla sua presa, più lui sentiva il suo corpo strofinarsi contro quello di lei, e più la desiderava. Samson continuò l’assalto appassionato alle labbra di lei, accarezzandole le labbra con la lingua umida. La strinse più forte contro di sé, facendo scivolare l’altra mano lungo la sua schiena fino a stringere il suo grazioso sedere. Invece dei vestiti bagnati, sentì solo il calore sotto di essi. Un calore che poteva scottare persino lui, un vampiro che aveva già provato di tutto e di più.
I suoi seni erano schiacciati contro il suo petto, e il battito accelerato del cuore di lei vibrava attraverso il suo corpo. Samson apprezzava quella morbidezza inusuale. E poi si accorse di qualcos’altro. Si sentì reagire a lei. Improvvisamente, il sangue gli affluì all'inguine e gli indurì il cazzo. I pantaloni si strinsero in maniera scomoda. Ma non aveva nessuna intenzione di lamentarsi.
Quando si sentì il cazzo, sempre più duro, premerle contro lo stomaco, emise un gemito di piacere. Sicuramente, anche lei doveva essersene accorta. Non aveva avuto un’erezione da così tanto tempo, e rendersi conto che il suo vecchio corpo funzionava ancora era un regalo di compleanno che non si aspettava. Con la mano sul suo sedere, la tenne stretta contro di sé e spinse il bacino contro di lei con più urgenza, facendole capire che aveva realizzato l’impossibile.
L’avrebbe ricompensata abbondantemente.
Perché il suo strizzacervelli non ci aveva pensato?
Tutto ciò di cui aveva bisogno era una donna che fingesse di non volerlo, e il suo istinto di caccia si sarebbe riattivato. Era pura e semplice psicologia inversa. Doveva licenziare Drake. In tutti quei mesi, quel ciarlatano non aveva proposto nulla di utile.
All’improvviso, le labbra di lei si aprirono, e Samson non esitò a infilare la lingua nella sua bocca con avidità.
Oh Dio, sì!
La sua bocca, il suo sapore… semplicemente divini. La lingua di Samson si spinse in profondità, fondendosi con quella di lei. Il corpo di lui si irrigidì mentre esplorava la deliziosa bocca di lei, giocando con la sua lingua, stuzzicandola per farsi concedere di più. Andò più a fondo. Oh Dio, era deliziosa.
Con la mano sul collo, la accarezzava con foga, mentre non riusciva a smettere di stringere il suo sedere tondo, premendola più forte contro di lui. A quel punto, il cazzo gli era diventato duro come una pietra ed era pronto a scoppiare.
Non l’avrebbe mai lasciata andare via prima di essersela scopata per bene. Voleva seppellirsi dentro di lei il più a lungo possibile e trovare il piacere che gli era sfuggito durante gli ultimi nove mesi.
Samson inghiottì ancora di più il suo sapore, assorbì di più del suo profumo, e all’improvviso tutti i suoi sensi si riattivarono.
Merda, cosa diavolo stava facendo?
Merda!
Merda! Non stava baciando una vampira.
Si trattava di un’umana! Avrebbe dovuto accorgersene nel momento in cui gli era caduta tra le braccia, ma si era talmente incazzato con i suoi amici che aveva agito come un toro che vedeva rosso. Gli avevano procurato una spogliarellista umana! Avrebbero dovuto avvertirlo! Avrebbe potuto farle del male se non fosse stato attento. O, peggio, rivelarsi accidentalmente per quello che era. Idioti!
Un dolore acuto e improvviso gli trafisse il piede. Samson allentò immediatamente la presa dalla spogliarellista e trasalì. Con tutta la sua forza, lei aveva conficcato il tacco alto nel suo costoso mocassino italiano.
E che cazzo?
Cosa le era preso?
Non c’era alcuna ragione per quella violenza improvvisa. Non stava facendo nulla che non fosse stata pagata per fare. Ricky aveva chiaramente detto che fosse disposta a fare anche degli «extra». E il bacio costituiva un extra. Niente di più, niente di meno.
Samson la fissò, incredulo. Lei lo fulminò con lo sguardo. E come se non bastasse, gli diede uno schiaffo sulla guancia.
Bam!
Una risata soffocata alle sue spalle lo fece voltare di scatto.
Eccoli lì: tutti i suoi amici, che lo osservavano mentre veniva colpito da una donna. Questa scena sarebbe passata alla storia. La notte in cui Samson era stato schiaffeggiato da un’umana.
Che altro avevano pianificato per la sua totale umiliazione?
«Che diavolo stai facendo, Samson?» gridò Ricky.
«Cosa pensi che stia facendo? Mi sto divertendo con la spogliarellista che mi avete preso per il mio compleanno». Qual era il problema di Ricky? In fin dei conti, era stata una sua stupida idea.
«Spogliarellista?» urlò la donna. «Io non sono una spogliarellista!»
Ricky scosse la testa e i ragazzi, dietro di lui, non riuscirono a reprimere un ghigno sciocco, come se fossero stati un gruppo di studenti universitari e non vampiri adulti.
«Sei cieco, amico? È questa la spogliarellista». Ricky indicò con un cenno del capo la donna che indossava una corta uniforme da infermiera e il reggicalze, in mezzo ai suoi amici.
Gli occhi di Samson rimbalzarono dall’infermiera alla donzella in pericolo, per posarsi, infine, su Ricky.
«Quella», disse Ricky, indicando la donna furiosa accanto a Samson, «è una donna davvero incazzata. Direi che le devi delle scuse enormi. Io inizierei a strisciare ai suoi piedi proprio in questo momento».
Ottimo consiglio.
«Buon compleanno», disse Amaury, il suo amico di più vecchia data. Se stava cercando di calmare la situazione, avrebbe dovuto impegnarsi di più.
«E congratulazioni», aggiunse Thomas sogghignando, ma non si stava congratulando con Samson per il suo compleanno. I suoi occhi erano fissi sull’inguine di Samson. Nulla sfuggiva agli occhi acuti di Thomas, mai, soprattutto quando si trattava di un corpo maschile.
Samson capì immediatamente, ma ciò non rese la situazione più confortevole. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare la donna che aveva baciato così appassionatamente, e non era qualcosa che desiderava fare in quel momento. Soprattutto non con quell’erezione prepotente che si intravedeva sotto i suoi pantaloni. Un’erezione che non voleva proprio andarsene, non finché aveva ancora il suo sapore sulla lingua.
Lei gli passò accanto per uscire dalla stanza. Ma Samson non poteva lasciarla andare. Le doveva più di un semplice mi dispiace. Lei aveva guarito ciò che il suo strizzacervelli non era riuscito a risolvere, neppure dopo mesi di sedute settimanali. Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa.
«Ehi, fermati».
Lei continuò a camminare, come se non l’avesse sentito. I ragazzi si fecero da parte per lasciarla passare.
«Ti prego. Mi dispiace. Non lo sapevo. Pensavo che fossi la… Mi dispiace. Penserai che sia un selvaggio. Per favore, permettimi di offrirti dei vestiti asciutti, qualcosa per scaldarti. Ti farò accompagnare a casa dal mio autista».
Lei si fermò, esitante.
«Per favore».
Non gli importava che i suoi amici lo guardassero implorare. Si sarebbe preoccupato di loro più tardi. Stranamente, tutto ciò che voleva adesso era che lei non fosse arrabbiata con lui. Non capiva nemmeno perché gli importasse. In fondo, era solo un’umana.
Delilah lanciò un’occhiata cauta allo sconosciuto che l’aveva baciata.
L’idea di togliersi i vestiti bagnati era allettante, così come lo era la prospettiva di avere qualcuno che la riaccompagnasse a casa. Dopotutto, quel tizio che l’aveva inseguita poteva essere ancora là fuori, e lei non sarebbe stata in una situazione migliore rispetto a quella precedentemente.
Ma era veramente più al sicuro lì?
In fondo, lo sconosciuto nella cui casa era entrata in cerca di aiuto l’aveva praticamente aggredita. Con un bacio. Un bacio così affamato e ardente, così passionale e irresistibile, che non era riuscita a trattenersi dal ricambiare.
E questo cosa diceva di lei?
Non le era mai successo con nessuno. Nessun uomo l’aveva mai eccitata così tanto.
Allo stesso modo, ciò non giustificava le azioni di lui.
Ma vi erano forse delle circostanze attenuanti? Si sarebbe comportato allo stesso modo se non l’avesse scambiata per una spogliarellista?
Delilah lanciò un’occhiata alla vera spogliarellista, con la sua uniforme da infermiera, poi tornò a guardare i suoi stessi vestiti. La sua camicetta bianca era completamente fradicia, rendendola trasparente, e il suo ultimo acquisto di Victoria’s Secret, decisamente succinto, traspariva chiaramente. Maledisse in silenzio la sua passione per la biancheria intima nera. Non c’era da stupirsi che l’avesse scambiata per una spogliarellista, specialmente considerando che ne stava aspettando una.
«Vestiti asciutti, hai detto?» Le parole uscirono prima che potesse fermarle.
Un accenno di sorriso curvò gli angoli della bocca del padrone di casa verso l’alto. «Posso trovarti una felpa e dei pantaloni comodi. Puoi asciugarti in bagno». In quel momento, sembrava quasi innocente. «Torno subito».
Salì di corsa le scale, con le gambe forti che coprivano due gradini alla volta, i glutei sodi che si muovevano sotto il tessuto aderente. Tutto muscoli, niente grasso.
«Io sono Ricky», disse improvvisamente uno dei suoi amici. «Mi dispiace, credo sia stata tutta colpa mia. Ho detto a Samson che sarebbe arrivata una spogliarellista. Di solito è un vero gentiluomo. Per favore, non giudicarlo per questa, ehm, situazione».
Era alto e di bell’aspetto, con un viso giovanile pieno di lentiggini e una folta chioma di capelli rossi.
«Assolutamente», intervenne l’uomo accanto a lui. «Io sono Amaury».
Amaury?
Che nome strano per un uomo. Lui le tese la mano. Delilah esitò, ma alla fine la strinse. «È stato molto stressato ultimamente. Ti prego di perdonarlo».
Era grande e massiccio, con i capelli scuri che gli ricadevano fino alle spalle. Non era un hippie, però. Sembrava ben curato e i suoi capelli lunghi suggerivano che non appartenesse a questa epoca. Piuttosto, sembrava uscito da un romanzo storico, magari in sella a un cavallo per salvare la sua amata. I suoi occhi azzurri erano penetranti, e il sorriso disarmante si allargava dalle labbra fino a illuminargli l’intero viso.
Tutti gli amici di Samson cercarono di trovare delle scuse per giustificare il suo comportamento. Un uomo con amici così leali non poteva essere del tutto cattivo. Ovviamente, anche Charles Manson probabilmente aveva avuto amici, e non per questo era una brava persona. Lo stesso discorso valeva per Jack lo Squartatore. Le vennero in mente anche Ted Bundy e il Killer dello Zodiaco.
«È davvero un ragazzo fantastico», disse un altro. «Thomas. Piacere di conoscerla, signora».
Signora? Che formalità.
Il suo sorriso caloroso era in netto contrasto con il suo abbigliamento: Thomas era vestito completamente di pelle, con il casco da motociclista stretto sotto un braccio.
C’era un quarto ragazzo in fondo. Sembrava un po’ timido e la salutò con un cenno del capo, senza dire nulla. Indossava lo stesso abbigliamento da motociclista di Thomas.
«Lui è Milo», disse Thomas mettendogli un braccio intorno alle spalle in maniera possessiva.
«Piacere di conoscervi tutti. Io sono Delilah».
Spostò il peso del corpo da un piede all’altro, sentendosi a disagio per il fatto che quegli uomini potessero vedere il suo reggiseno.
«Delilah? Come Sansone e Dalila?» chiese Ricky con un sorrisetto.
I ragazzi ridacchiarono. Delilah vide con la coda dell’occhio Amaury che dava una gomitata a Ricky sulle costole, evidentemente per farlo tacere.
«Sì, mi chiamo Delilah».
Come avevano chiamato il suo soccorritore dopo che lei l’aveva schiaffeggiato? Aveva capito bene il nome? Si chiamava davvero Samson?
«È un bel nome». Il complimento di Amaury sembrava un vano tentativo di riempire il silenzio imbarazzante con qualsiasi cosa, pur di spezzarlo.
«Samson, eccoti qui», disse improvvisamente Thomas, guardando verso le scale.
Delilah sollevò lo sguardo e vide Samson scendere i gradini. Non riusciva a distogliergli gli occhi da lui.
Non avrebbe dovuto fissarlo, ma non riusciva a fermarsi, nemmeno se la sua vita fosse dipesa da questo.
Era alto, ben oltre il metro e ottanta, e faceva un’impressione notevole con i suoi pantaloni neri e il dolcevita grigio attillato. I suoi fianchi erano stretti, le spalle larghe, e sembrava tutt’altro che estraneo a una palestra. I suoi capelli scuri erano più lunghi di quanto fosse di moda, conferendogli una bellezza senza tempo. I suoi occhi color nocciola catturavano completamente la sua attenzione.
Scese le scale come se fosse il padrone del mondo, emanando un assoluto senso di fiducia in sé stesso. Ad ogni passo, Delilah si sentiva sempre più attratta da lui: più lui si avvicinava, meno lei era in grado di svicolarsi dalle esche che lui le lanciava per attirarla. Tutto questo senza che lui proferisse una sola parola.
Samson. Il nome gli si addiceva. Questo uomo incredibilmente attraente l’aveva baciata? Come le era venuto in mente di respingerlo? Stava forse perdendo la testa? Non vi era altra spiegazione plausibile.
Solo il ricordo di quelle cosce forti premute contro di lei fece salire la temperatura del suo corpo. Ancora qualche secondo e avrebbe avuto la febbre talmente alta da dover richiedere l’attenzione di un medico. O, meglio, l’attenzione di Samson. Preferibilmente la seconda, dato che un dottore non poteva fare nulla per ciò che aveva: un violento attacco di desiderio.
Samson si fermò proprio di fronte a lei, incrociando il suo sguardo.
Delilah si rese improvvisamente conto di averlo fissato per tutto il tempo che aveva impiegato a scendere le scale. Era sicura che lui l’avesse notato. Incapace di distogliere lo sguardo, inspirò il suo profumo puramente maschile.
Le porse una pila di vestiti e, per un breve istante, la sua mano sfiorò accidentalmente quella di Delilah.
«C’è un bagno per gli ospiti in fondo al corridoio. Gli asciugamani puliti sono nell’armadio della biancheria», disse, con un tono dolce e gentile.
«Grazie». Delilah sentì la sua voce tremare, probabilmente facendola sembrare un’adolescente emozionata.
Si incamminò lungo il corridoio per trovare il bagno. Prima di entrare, si girò a guardare oltre la spalla e trovò Samson che la fissava. Quegli occhi color nocciola l’avevano seguita.
* * *
Samson si voltò verso i suoi amici.
«Non so perché continuo a frequentarvi», disse Samson, afferrando il cellulare dal tavolo.
«Perché non hai altri amici». Come al solito, Ricky doveva sempre dire l’ovvio.
La chiamata ebbe risposta immediata.
«Carl, per favore, porta l’auto tra quindici minuti».
«Certamente, signore».
«Grazie». Poi si girò di nuovo verso il gruppo di amici.
«Allora, sembra che le cose stiano migliorando», osservò Thomas, sorridendo da un orecchio all’altro.
«È umana!»
E la cosa più sensuale che abbia mai toccato.
«Non siamo ciechi. Quindi, visto che non l’abbiamo mandata noi, chi diavolo è?» chiese Ricky.
«Come diavolo faccio a saperlo? Stava per sfondare la mia porta chiedendo aiuto».
«Posso interpretare quella parte, se è questo che ti eccita», intervenne la spogliarellista.
Samson dubitava delle sue capacità interpretative e la ignorò. «Bene, tutti in cucina, lasciatemi solo con lei per qualche minuto».
«Con me?» chiese la spogliarellista.
Neanche per sogno. Samson aggrottò la fronte. «Con la donna umana».
La spogliarellista fece una smorfia, poi si girò sui tacchi.
Samson la osservò allontanarsi insieme ai suoi amici, che sparirono attraverso la sala da pranzo in direzione della cucina, situata sul retro della casa. Il palmo della mano di Amaury si era già posato sul culo della spogliarellista. Il suo amico non aveva ancora incontrato una donna che non gli piacesse.
Samson si avvicinò al bar e versò due bicchieri di brandy. Si era abituato al suo sapore e apprezzava il calore che gli provocava al petto. A parte questo, l’alcol gli attraversava il corpo senza far alcun effetto. Saper gestire le bevande umane era utile ogni volta che si trovava in situazioni sociali con loro.
I vampiri si integravano liberamente con le loro controparti umane, che ignoravano le loro differenze. Alcune persone erano semplicemente considerate più eccentriche di altre. San Francisco era il luogo ideale per la loro specie. Praticamente tutti erano un po’ strani, e nessuno se ne preoccupava davvero.
Samson sorseggiò il suo brandy.
Accidenti, come si sentiva bene! Il suo apparato idraulico aveva ripreso a funzionare, anzi, meglio di prima. Il suo cazzo era duro come la pietra quando aveva premuto il corpo contro quello di Delilah e l’aveva baciata. Non sapeva come fosse successo, e non gli importava, ma sapeva di essere tornato in pista.
Sentì una porta aprirsi e si voltò. Delilah uscì dal bagno, indossando una delle sue felpe e un paio di pantaloni della tuta. Entrambi erano troppo grandi per lei, ma aveva arrotolato le maniche più volte per farle adattare. Accidenti, era proprio carina. Si era asciugata i lunghi capelli scuri con un asciugamano.
«Prego, vieni. Siediti qui. Scaldati».
Lei avanzò lentamente nella stanza, i suoi movimenti esitanti, chiaramente osservandolo per capire se fosse sicuro avvicinarsi. «Grazie».
«Brandy?»
Le porse un bicchiere. Lei allungò la mano e lo accettò, poi si sedette sulla poltrona più vicina al fuoco e bevve un sorso.
«Chiedo scusa, non mi sono ancora presentato. Sono Samson Woodford».
Lei alzò lo sguardo verso di lui, e Samson si rese conto di essere ancora in piedi. Si sedette di fronte a lei.
«Delilah, Delilah Sheridan».
Delilah? Un nome bellissimo per una donna bellissima. Una bellissima donna umana.
Intoccabile.
Sarebbe stata la sua rovina, proprio come la biblica Dalila era stata la rovina di Sansone? Un’altra buona ragione per non toccarla mai più.
«Devo scusarmi. Sono stato scortese, e non ci sono scuse per questo».
Imperdonabile, certo, ma comunque eccitante. Voleva sentire di nuovo quelle sensazioni: il calore, l’eccitazione, il suo corpo. Anche in quel momento, vestita con abiti informi di diverse taglie più grandi, lei era più attraente di qualsiasi vampira che avesse mai visto. Il profumo di lei gli stuzzicava i sensi, minacciando di sopraffare nuovamente le sue buone maniere.