ATTO PRIMO
Siamo nell’antico palazzo della
nobile signora Don na Livia Palegari, nell’ora del ricevimento,
che sta per finire. Si vedrà in fondo, attraverso tre arcate e due
co lonne, un ricchissimo salone molto illuminato e con molti
invitati, signori e signore. Sul davanti, meno illu minato,
vedremo un salotto, piuttosto cupo, tutto dama scato, adorno di
pregiatissime tele, la maggior parte di soggetto sacro; cosicché ci
sembrerà di trovarci nella cappella d'una chiesa, di cui quel
salone in fondo, oltre le colonne, sia la navata: cappella sacra
d’una chiesa profana. Questo salotto avrà appena una panca e qual
che scranna per comodità di chi voglia ammirar le tele alle pareti.
Nessun uscio. Ci verranno dal salone alcuni degli invitati, a due,
a tre alla volta, per farsi, appartati, qualche confidenza; e, al
levarsi della tela, ci troveremo un Vecchio Amico di casa e un
Giovine sottile, che di scorreranno tra loro.
IL GIOVINE SOTTILE (con un capino
straziato, d’uccello pe lato). Ma che ne pensa lei?
IL VECCHIO (bello, autorevole, ma
anche un po’ malizio so, sospirando).
Che ne penso!
Pausa.
Non saprei.
Pausa.
Che cosa ne dicono gli
altri?
IL GIOVINE SOTTILE.
Mah! Chi una cosa e chi
un’altra. IL VECCHIO.
S’intende! Ciascuno ha
le sue opinioni.
IL GIOVINE SOTTILE. Ma
nessuno, per dir la verità, par che ci s’attenga sicuro, se tutti
come lei, prima di ma- nifestarle, vogliono sapere che cosa ne
dicono gli al- tri.
IL VECCHIO. Io alle mie mi
attengo sicurissimo; ma certo la prudenza, non volendo parlare a
caso, mi consiglia di conoscere se gli altri sanno qualche cosa
che io non so e che potrebbe in parte modificare la mia
opinione.
IL GIOVINE SOTTILE.
Ma per quello che ne sa?
IL VECCHIO.
Caro amico, non si sa
mai tutto! IL GIOVINE SOTTILE.
E allora, le
opinioni?
IL VECCHIO. Oh Dio mio, mi tengo
la mia ma – ecco – fino a prova contraria!
IL GIOVINE SOTTILE. No, mi
scusi; con l’ammettere che non si sa mai tutto, lei già presuppone
che ci siano codeste prove contrarie.
IL VECCHIO (lo guarderà un po’,
riflettendo, sorriderà e domanderà): E con questo lei vorrebbe
conclu- dere che non ho nessuna opinione?
IL GIOVINE SOTTILE. Perché a
stare a quello che dice, nes- suno potrebbe mai averne!
IL VECCHIO.
E non le sembra già questa
un’opinione? IL GIOVINE SOTTILE.
Sí, ma negativa!
IL VECCHIO.
Meglio che niente, eh!
meglio che nien- te, amico mio!
Lo prenderà sotto il braccio e
s’avvierà con lui per rientrare nel salone in fondo.
Pausa. Nel salone si vedranno
alcune signorine offrire il tè e le paste agli invitati. Entreranno
guardinghe due Giovani Signore.
LA PRIMA (con foga ansiosa).
Mi ridai la vita! Mi ri- dai
la vita! Dimmi! dimmi!
L'ALTRA. Ma non è niente più che
una mia impressione, bada!
LA PRIMA.
Se l’hai avuta, è segno
che qualcosa di vero dev’esserci! – Era pallido? Sorrideva
triste?
L'ALTRA. Mi parve cosí.
LA PRIMA. Non dovevo
lasciarlo partire. Ah, il cuo- re me lo diceva! Gli tenni la mano
fino alla porta. Era già lontano d’un passo fuori della porta e
ancora gli tenevo la mano. Ci eravamo baciati, lasciati, ed esse
no, le nostre mani non si volevano staccare. Rientran- do, caddi,
come rotta dal pianto. – Ma dimmi un po’,
dimmi: nessuna allusione?
L'ALTRA. Allusione a che?
LA PRIMA. No, dico, se –
cosí, parlando in generale
– come tante volte si fa…
L'ALTRA. No, non parlava: stava
ad ascoltare ciò che si dicevano gli altri.
LA PRIMA. Eh, perché lui lo
sa! Lo sa quanto male ci facciamo per questo maledetto bisogno di
parlare. Finché dentro di noi c’è un’incertezza, si dovrebbe stare
con le labbra cucite. Si parla; non sappiamo neanche noi quello che
diciamo... Ma era triste? Sor- rideva triste? Non ricordi che cosa
dicessero gli altri?
L'ALTRA. Ah, non ricordo. Non
vorrei, cara, che ti facessi qualche illusione. Sai com’è? Ci
s’inganna. Era forse indifferente e mi parve che sorridesse triste.
Aspetta, sí: quando uno disse –
LA PRIMA. – che disse?
–
L'ALTRA. – una frase: aspetta…
«Le donne, come i sogni, non sono mai come tu le vorresti».
LA PRIMA.
Non la disse lui,
questa frase? L'ALTRA. No, no.
LA PRIMA. Ah Dio mio! –
Intanto, non so se sbaglio o non sbaglio. Io che mi sono vantata
d’aver fatto in ogni occasione a mio modo! – Sono buona, ma posso
diventar cattiva; e allora guaj a lui!
L'ALTRA. Vorrei, cara, che tu non
rinunciassi a essere come sei.
LA PRIMA. E come sono? Non lo
so piú! Ti giuro che non lo so piú! Tutto mobile, labile, senza
peso. Mi volto di qua, di là, rido; m’apparto in un angolo per
piangere. Che smania! Che angoscia! E continua- mente mi nascondo
la faccia, davanti a me stessa, tan- to mi vergogno a vedermi
cambiare!
Sopravvengono a questo punto
altri invitati: due giova notti annojati, molto eleganti,
e Diego Cinci.
IL PRIMO. Disturbiamo?
L'ALTRA. No no: tutt’altro.
Venite avanti.
IL SECONDO.
Questa è la cappella delle
confessioni.
DIEGO.
Già. Donna Livia
dovrebbe tenere qua a dispo- sizione dei suoi invitati un prete e
un confessionale.
IL PRIMO. Ma che confessionale!
La coscienza! La co- scienza!
DIEGO.
Sí, bravo! E che te ne fai?
IL PRIMO. Come? Della coscienza?
IL SECONDO (con solennità). «Mea
mihi
conscientia pluris est
quam hominum sermo».
L'ALTRA. Come come? Lei parla in
latino?
IL SECONDO. Cicerone,
signora. Me ne ricordo ancora dal liceo.
LA PRIMA.
E che significa?
IL SECONDO (c. s.). «Fo piú
conto della testimonianza della mia coscienza, che dei discorsi di
tutto il mon- do».
IL PRIMO. Modestamente ognuno di
noi dice: «Ho la mia coscienza e mi basta».
DIEGO. Se fossimo soli.
IL SECONDO (stordito). Che vuol
dire, se fossimo soli?
DIEGO. Che ci basterebbe. Ma
allora non ci sarebbe più neanche la coscienza. Purtroppo, cari
miei, ci sono io e ci siete voi. Purtroppo!
LA PRIMA.
Dice purtroppo? L'ALTRA. Non
è gentile!
DIEGO.
Ma perché dobbiamo fare
i conti con gli altri, sempre, signore mie!
IL SECONDO.
Ma nient’affatto! Quando
ho la mia co- scienza!
DIEGO.
E non vuoi capire che la
tua coscienza significa appunto «gli altri dentro di te»?
IL PRIMO. I soliti
paradossi!
DIEGO. Ma che
paradossi!
Al Secondo:
Che vuol dire, scusa, che «hai la
tua coscienza e ti basta»? Che gli altri possono pensare di te e
giudicar- ti come piace a loro, anche ingiustamente; che tu sei
intanto sicuro e confortato di non aver fatto male. Non è
così?
IL SECONDO.
Mi pare!
DIEGO. Bravo! E chi te la dà, se
non sono gli altri, co- desta sicurezza? Codesto conforto chi te lo
dà?
IL SECONDO. Io stesso! La mia
coscienza appunto! Oh bella!
DIEGO. Perché credi che gli
altri, al tuo posto, se fosse loro capitato un caso come il tuo,
avrebbero agito come te! Ecco perché, caro mio! E anche perché,
fuo- ri dei casi concreti e particolari della vita... sí, ci sono
certi principii astratti e generali, su cui possiamo es- sere tutti
d’accordo (costa poco!). Intanto, guarda: se tu ti chiudi
sdegnosamente in te stesso e sostieni che