Gli animali hanno un'anima? - Ernesto Bozzano - E-Book

Gli animali hanno un'anima? E-Book

Ernesto Bozzano

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  • Herausgeber: Ale.Mar.
  • Kategorie: Ratgeber
  • Sprache: Englisch
  • Veröffentlichungsjahr: 2020
Beschreibung

Indice dei ContenutiIntroduzioneCategoria I - Allucinazioni telepatiche in cui funge da agente un animaleCategoria II - Allucinazioni telepatiche in cui funge da percipiente un animaleCategoria III - Allucinazioni telepatiche percepite collettivamente dagli animali e dall'uomoCategoria IV - Visioni, non più telepatiche, di fantasmi umani percepiti collettivamente dagli animali e dall'uomoCategoria V - Casi in cui soltanto gli animali diedero segno di percepire manifestazioni paranormaliCategoria VI - Animali e fenomeni d'infestazioneCategoria VII - Apparizioni di fantasmi animali identificatiCategoria VIII - Manifestazioni post-mortem di animali con modalità inconsuete di estrinsecazioneCategoria IX - Animali e premonizioniCategoria X - Materializzazioni di animaliConclusioni

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indice

 

INTRODUZIONE

CATEGORIA I - ALLUCINAZIONI TELEPATICHE IN CUI FUNGE DA AGENTE UN ANIMALE

CATEGORIA II - ALLUCINAZIONI TELEPATICHE IN CUI FUNGE DA PERCIPIENTE UN ANIMALE

CATEGORIA III - ALLUCINAZIONI TELEPATICHE PERCEPITE COLLETTIVAMENTE DAGLI ANIMALI E DALL'UOMO

CATEGORIA IV - VISIONI, NON PIU' TELEPATICHE, DI FANTASMI UMANI PERCEPITI COLLETTIVAMENTE DAGLI ANIMALI E DALL'UOMO

CATEGORIA V - CASI IN CUI SOLTANTO GLI ANIMALI DIEDERO SEGNO DI PERCEPIRE MANIFESTAZIONI PARANORMALI

CATEGORIA VI - ANIMALI E FENOMENI D'INFESTAZIONE

CATEGORIA VII - APPARIZIONI DI FANTASMI ANIMALI IDENTIFICATI

CATEGORIA VIII - MANIFESTAZIONI POST-MORTEM DI ANIMALI CON MODALITA' INCONSUETE DI ESTRINSECAZIONE

CATEGORIA IX - ANIMALI E PREMONIZIONI

CATEGORIA X - MATERIALIZZAZIONI DI ANIMALI

CONCLUSIONI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ernesto Bozzano

 

 

Gli animali hanno un’anima?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

INTRODUZIONE

Ciò che venne affermato in ordine alle manifestazioni paranormali in cui l'uomo è "agente" o "percipiente", e cioè che tali manifestazioni furono osservate in ogni tempo e presso qualsiasi popolo, si deve affermare ugualmente per la branca complementare delle manifestazioni stesse, in cui gli animali sono "agenti" o "percipienti". Naturalmente le manifestazioni paranormali in cui sono protagonisti gli animali risultano circoscritte in limiti di estrinsecazione più modesti al confronto di quelle in cui sono protagonisti gli esseri umani, limiti rispondenti alle capacità intellettive delle specie animali in cui si estrinsecano; ma, in ogni modo, risultano più notevoli di quanto a tutta prima si sarebbe presunto. In esse infatti si contemplano episodi telepatici in cui gli animali non fungono solamente da "percipienti", ma bensì da "agenti"; come pure, episodi di animali che percepiscono, collettivamente all'uomo, fantasmi od altre manifestazioni supernormali occorse all'infuori di ogni coincidenza telepatica, nonché episodi in cui gli animali percepiscono, collettivamente all'uomo, le manifestazioni che si estrinsecano in località infestate. Si aggiungano episodi d'ordine premonitorio, episodi di materializzazione di fantasmi animali identificati; circostanza quest'ultima teoricamente importantissima, poiché tenderebbe a convalidare l'ipotesi della sopravvivenza della psiche animale. L'indagine di questa branca delle discipline metapsichiche venne completamente dimenticata fino ai giorni nostri, per quanto nelle riviste metapsichiche, e soprattutto nelle collezioni dei Proceedings e del Journal della benemerita "Society for Psychical Research" di Londra, si contengano numerosi casi della natura indicata; che, però, non furono mai raccolti, classificati ed analizzati da nessuno; come ben poco si scrisse e si discusse intorno ad essi. Rimane pertanto ben poco da riassumere in merito alle teorie formulate al riguardo. Noterò soltanto che nei commenti a qualche singolo caso appartenente alla classe più numerosa dei fenomeni in esame, che è quella in cui gli animali percepiscono collettivamente all'uomo le manifestazioni d'ordine telepatico e infestatorio, si propose l'ipotesi che le percezioni psichiche di tal natura traggano origine da un fenomeno allucinatorio originato nei centri d'ideazione di un agente umano, e poi trasmesso inconsapevolmente ai centri omologhi dell'animale presente e percipiente. Come si vedrà, tale ipotesi è contraddetta dai fatti, i quali dimostrano che in numerosi episodi di tal natura gli animali percepiscono le manifestazioni supernormali in precedenza all'uomo, circostanza che annulla di colpo l'ipotesi in questione. Per un'altra classe della fenomenologia in esame, e più precisamente per quella delle apparizioni di fantasmi animali, si presuppose un fenomeno di allucinazione pura e semplice da parte dell'individuo percipiente. Altra ipotesi insostenibile in base all'analisi comparata dei fatti, i quali testificano come ben sovente i fantasmi animali vengano percepiti collettivamente o successivamente da parecchie persone; e, quel che più importa, vengano identificati con animali vissuti e morti in quella medesima località, e tutto ciò mentre i percipienti ignoravano che fossero esistiti gli animali visualizzati. In base a tali risultanze è forza concluderne che in tesi generale le due ipotesi esposte debbono considerarsi insufficienti a dare ragione dei fatti; conclusione che riveste importanza grande, poiché equivale ad ammettere l'esistenza di una subcoscienza animale depositaria delle medesime facoltà supernormali esistenti nella subcoscienza umana; come pure, equivale a riconoscere la possibilità della esistenza di apparizioni veridiche di fantasmi animali. Ciò posto, emerge palese tutto il valore scientifico e filosofico di questa nuova branca delle ricerche metapsichiche, in merito alla quale è lecito fin d'ora preconizzare come non sia lontano il giorno in cui sarà riconosciuta indispensabile onde impostare su salde basi la nuova "Scienza dell'Anima", la quale apparirebbe incompiuta, fino a dimostrarsi inesplicabile, senza il necessario complemento che ad essa apportano l'indagine analitica e le condizioni sintetiche intorno alla psiche animale; ciò che mi riserbo di dimostrare a suo tempo. Già si comprende che con la presente classificazione - la quale è la prima del genere - io sono ben lungi dal presumere di avere sviscerato a fondo un tema tanto vasto e di tanta importanza metapsichica, scientifica, filosofica. Mi lusingo unicamente di avere apportato un primo contributo efficace alle nuove ricerche, e con ciò di avere risvegliato l'interesse degli studiosi in argomento, favorendo in tal guisa l'accumularsi ulteriore del materiale greggio dei fatti; ciò che appare indispensabile onde portare a compimento le indagini intorno a questa giovane branca delle discipline metapsichiche. Infine, qualora si volesse fissare la data in cui le manifestazioni paranormali in rapporto agli animali cominciarono a prendersi in seria considerazione, allora dovrebbe indicarsi quella di un famoso incidente di telepatia canina in cui fu percipiente il noto romanziere inglese Rider Haggard, incidente telepatico occorso in circostanze tali da non potersi mettere in dubbio, mentre per una di quelle condizioni provvidenziali di tempo, di luogo, di ambiente, quali ben sovente si rinvengono nella storia iniziale di nuove branche dello scibile, esso valse a destare in Inghilterra interesse inatteso, quasi esagerato; dimodoché intorno al medesimo discussero lungamente i giornali politici, le riviste di varietà e quelle metapsichiche, determinando l'ambiente favorevole alle indagini del genere. E' doveroso pertanto iniziare la classificazione delle "manifestazioni metapsichiche negli animali" col caso telepatico in cui fu percipiente il romanziere Rider Haggard. E. B.

CATEGORIA I - ALLUCINAZIONI TELEPATICHE IN CUI FUNGE DA AGENTE UN ANIMALE

 

CASO 1 - E' il caso Haggard, che per brevità io mi limiterò a riferire quale fu riassunto fedelmente nel numero di agosto 1904 della Rivista di Studi Psichici, rimandando per ulteriori ragguagli al numero di ottobre 1904 del Journal of the Society for Psychical Research. Mr. Rider Haggard racconta che si era coricato tranquillamente verso l'una antimeridiana del 10 luglio 1904. Un'ora dopo, la signora Haggard che dormiva in un altro letto della stessa camera, si svegliò di soprassalto, udendo il marito gemere ed emettere suoni inarticolati simili al lamento di una bestia ferita. Lo chiamò spaventata; il marito udì la voce di lei come in sogno, ma non riuscì a liberarsi subito dall'incubo che l'opprimeva. Quando si svegliò completamente, narrò alla moglie che aveva sognato di Bob, il vecchio cane bracco della loro primogenita, e che lo aveva veduto dibattersi in una lotta terribile come se stesse per morire. Il sogno aveva avuto due parti distinte. Della prima il romanziere ricordava soltanto di aver provato un senso di affannosa oppressione, come se si fosse trovato in pericolo di affogare, ma tra il momento in cui udì la voce della moglie e quello in cui riprese la piena conoscenza di sé, il sogno divenne assai più vivace. «Vedevo» disse «il buon vecchio Bob steso sul fianco tra i canneti di uno stagno. Mi pareva che la mia stessa personalità uscisse in modo misterioso dal corpo del cane che sollevava stranamente la testa verso il mio viso. Bob tentava di parlarmi, e, non riuscendo a farsi capire coi suoni, mi trasmise in qualche altro modo indefinibile la nozione che esso stava morendo». I due coniugi si riaddormentarono, e il romanziere non fu più turbato nel sonno. Il mattino a colazione narrò alla figlia quanto aveva sognato, e rise con lei per la paura che la madre aveva provato: attribuiva l'incubo alla cattiva digestione. Quanto a Bob, nessuno se ne preoccupò, poiché la sera antecedente era stato veduto con gli altri numerosi cani della villa e aveva fatto la solita festa alla padroncina. Ma l'ora del pasto quotidiano passò senza che Bob comparisse. La padroncina era inquieta e il romanziere cominciò a sospettare che il sogno fosse stato veridico. Si iniziarono attive ricerche che durarono quattro giorni; finalmente il romanziere stesso trovò il povero cane galleggiante in uno stagno, a due chilometri dalla villa, col cranio fracassato e le zampe spezzate. Un primo esame del veterinario fece supporre che la bestia fosse stata colta in trappola; ma si trovarono poi tracce indiscutibili che il cane era stato urtato da un treno sopra un ponte che traversava lo stagno e gettato dall'urto tra i canneti dell'acqua. La mattina del 10 luglio un cantoniere ferroviario aveva trovato sul ponte il collare insanguinato di Bob, sicché non v'era dubbio che il cane era morto nella notte del sogno. Per caso in quella notte era passato poco prima di mezzanotte un treno straordinario che aveva dovuto compiere il misfatto. Tutte le precedenti circostanze sono provate dal romanziere con una serie di documenti testimoniali. Secondo il veterinario la morte dovette essere quasi istantanea, cosicché avrebbe preceduto di un paio d'ore e più il sogno dell'Haggard. Tale in succinto il caso capitato allo scrittore inglese, nel quale si riscontrano molteplici circostanze di fatto che concorrono ad escludere in modo categorico qualsiasi altra spiegazione che non sia quella della trasmissione telepatica diretta tra l'animale e l'uomo. Non poteva, infatti, trattarsi d'impulso telepatico originato nella mentalità di una persona presente, in quanto nessuno aveva assistito al dramma o ne era stato informato, come risulta dall'inchiesta condotta dall'Haggard medesimo, e come d'altronde era facile presumere, tenuto conto dell'ora inoltrata in cui si svolse il fatto. Non si poteva trattare di una forma comune d'incubo allucinatorio con coincidenza fortuita, poiché troppe risultano le circostanze veridiche riscontrate nella visione, oltre il fatto in sé della coincidenza tra il sogno e la morte dell'animale. Non poteva essere questione di un caso di telestesia in forza del quale lo spirito del romanziere abbia avuto la percezione a distanza del dramma, inquantoché in tale evenienza il percipiente avrebbe dovuto mantenersi spettatore passivo, ciò che non fu. Egli - come si è visto - ebbe a sottostare a un fenomeno notevolissimo di "immedesimazione", o "possessione" incipiente. Tale fenomeno - come bene osserva l'editore del Journal of the S.P.R. - presenta un interessante parallelo con le "immedesimazioni" e le "drammatizzazioni" tanto frequenti nei sensitivi o nei "medium" durante lo stato di trance. Non poteva infine trattarsi di sogno premonitorio mediante il quale l'Haggard abbia appreso non già l'avvenimento all'atto in cui si svolgeva, bensì la circostanza della scoperta del cadavere nello stagno quale doveva avvenire alcuni giorni dopo, e ciò perché con una soluzione siffatta non si perviene a dare ragione di nulla: né del fatto della coincidenza veridica tra il sogno e l'evento, né del fenomeno della drammatizzazione altrettanto veridica dell'evento stesso, né del caso notevolissimo di "immedesimazione" o "possessione". Queste le considerazioni principali che concorrono a dimostrare in guisa incontestabile la realtà del fenomeno di trasmissione telepatica diretta tra l'animale e l'uomo. Ritenni doverle formulare onde rispondere ad alcune obbiezioni timidamente avanzate da diverse parti dopo che la "Society for Psychical Research" aveva accolto e commentato il caso in parola. In pari tempo le considerazioni medesime potranno servire di norma ai lettori onde giudicare circa l'attendibilità o meno dell'ipotesi telepatica in merito ai casi che seguiranno.

CASO 2 - Lo ricavo dal Journal of the S.P.R. , vol. II, pag. 22. Il signor E.W. Phibbs riferisce: «Nel primo lunedì dell'agosto 1883 (ferie del commercio), io mi trovavo a Ilfracombe. Verso le 10 pomeridiane andai a letto, e tosto mi addormentai. Fui risvegliato verso le dieci e mezza da mia moglie che entrava nella stanza, alla quale raccontai come in quel momento avessi fatto un sogno in cui vedevo il mio cane Fox giacente ferito e moribondo ai piedi di un muro. Non avevo idea precisa circa la località, ma mi occorse di osservare che si trattava di uno dei soliti muri a secco particolari alla provincia di Gloucester. Ne avevo desunto che il cane doveva essere precipitato dall'alto del muro; tanto più che esso aveva il vezzo di arrampicarvisi. L'indomani, martedì, mi pervenne da casa una lettera scritta dalla donna di servizio, con la quale mi si avvertiva che Fox non si era più lasciato vedere da due giorni. Replicai subito ingiungendo di procedere alle più minute ricerche. Mi si rispose sabato con lettera ch'io ebbi il giorno dopo, domenica. Mi s'informava che il cane era stato assalito ed ucciso da due cani "bull-dogs" nella sera del precedente lunedì. «Tornato a casa una quindicina di giorni dopo, iniziai subito una rigorosa inchiesta, in seguito alla quale potei accertarmi che verso le cinque pomeridiane del lunedì in questione una signora aveva visto i due "bull-dogs" assalire e dilaniare ferocemente il mio cane. Un'altra donna dimorante nelle vicinanze, informò che verso le nove pomeridiane del giorno stesso aveva visto il mio cane giacente moribondo ai piedi di un muro, ch'essa m'indicò, e ch'io vedevo per la prima volta. Il mattino seguente il cane, non era più in quel posto. Seppi in seguito che il proprietario dei "bull-dogs", non appena aveva appreso il fatto, temendone le conseguenze, aveva provvisto a farlo seppellire verso le dieci e mezza della stessa sera. L'ora dell'avvenimento coincide con la visione del mio sogno». (Mrs. Jessie Phibbs, moglie del citato relatore, conferma la narrazione del marito.) Il caso esposto venne ripetute volte citato dal professore Richet nel suo Traité de Métapsychique con l'intento di dimostrare che poteva spiegarsi con la "criptestesia", senza che bisogno vi fosse di presumere un fenomeno di telepatia in cui l'animale fosse agente e il suo padrone percipiente. Osserva in proposito: "Sarebbe più razionale supporre che sia stata la natura del fatto che abbia colpito la mentalità del signor Phibbs, e non già che lo spirito del cane abbia fatto vibrare i centri cerebrali del padrone" (pag. 330). Con l'espressione "la natura del fatto" egli si riferisce alla propria ipotesi della "criptestesia" secondo la quale le cose esistenti, nonché lo svolgersi di qualsiasi azione nel mondo animato e inanimato, emetterebbero delle vibrazioni sui generis percepibili dai sensitivi, i quali in tale maniera sarebbero teoricamente in grado di venire a conoscenza di tutto ciò che avviene, che è avvenuto, e che avverrà nel mondo intero. Io risposi con un lungo articolo nella Revue Spirite (1922, pag. 256), inteso a contestare tale presunta onniscienza delle facoltà subconscie, dimostrando sulla base dei fatti che le facoltà in questione erano invece condizionate - quindi limitate -dalla necessità imprescindibile del "rapporto psichico"; vale a dire che se non esistevano in precedenza vincoli affettivi, od anche, in rarissime circostanze, rapporti di semplice conoscenza, tra l'agente e il percipiente, non potevano realizzarsi manifestazioni telepatiche. Indi, riferendomi al caso in esame, così continuavo: «Se si esclude che il pensiero del cane, rivolto con ansiosa intensità verso il suo protettore lontano, sia stato l'agente determinatore del fenomeno telepatico, o, in altri termini, se si esclude che ciò abbia potuto realizzarsi in virtù dell'esistenza di un "rapporto affettivo" tra il cane e il suo padrone, allora sorge spontanea la domanda: perché il signor Phibbs vide in quella notte proprio il suo cane agonizzante, e non vide tutti gli altri animali che in quella medesima notte agonizzavano certamente un po' dovunque? A tale domanda non è possibile rispondere se non riconoscendo che il signor Phibbs non vide gli animali morenti all'ammazzatoio od altrove, perché tra essi e lui non esistevano rapporti psichici di sorta alcuna, e vide invece l'agonia del proprio cane perché tra questo e lui esistevano vincoli affettivi, e perché in quel momento l'animale moribondo rivolgeva intensamente il pensiero al suo protettore lontano; circostanza quest'ultima che non ha nulla d'inverosimile, e che anzi è logicamente presumibile in un povero animale agonizzante, e quindi in urgente bisogno di soccorso». E mi pare che tali conclusioni non possano mettersi in dubbio. In ogni modo i lettori troveranno nella presente classificazione numerosi esempi di varia natura i quali confermano ad esuberanza tale punto di vista, mentre contraddicono inesorabilmente l'ipotesi di una criptestesia onnisciente.

CASO 3 - Lo ricavo dal libro di Camillo Flammarion: L'Inconnu (pag. 413). Madame R. Lacassagne, nata Durant, scrive al Flammarion: «Posso ancora citarvi un caso personale che mi colpì grandemente quando mi capitò; tuttavia, siccome questa volta si tratta di un cane, forse ho torto ad abusare del vostro tempo: me ne scuserò domandando dove mai si arrestano i problemi da risolvere. «Ero allora una giovinetta, e mi capitava abbastanza sovente di avere in sogno una sorprendente lucidità. Noi avevamo una cagna di intelligenza superiore al comune, la quale era particolarmente affezionata a me, per quanto io la carezzassi ben poco. Una certa notte sogno la nostra cagna morente, e la scorgo che mi guarda con occhi umani. Non appena mi svegliai dissi subito a mia sorella: "Lionne è morta: io l'ho sognato. La cosa è certa". Mia sorella rise, e non credette affatto. Si suonò il campanello, e si pregò la cameriera accorsa di volere far venire la cagna. La chiamano, ma essa non risponde; la cercano dappertutto, e finalmente la trovano morta in un angolo. Ora, siccome il giorno prima non era affatto malata, risulta evidente che in me non esistevano cause predisponenti a un tal sogno». (Firmata: Mad. R. Lacassagne, nata Durant, Castres). Anche nel caso esposto l'ipotesi più verosimile è che l'animale agonizzante abbia rivolto ansiosamente il pensiero alla propria padroncina, determinando in tal modo l'impressione telepatica cui ebbe a sottostare nel sonno la padroncina stessa. L'episodio però risulta teoricamente molto meno dimostrativo in tal senso di quello che precede; tanto più che questa volta non si rilevano particolari capaci di eliminare l'altra ipotesi di un presumibile fenomeno di chiaroveggenza nel sonno.

CASO 4 - Lo ricavo dal Light (1921, pag. 187). Il relatore è F.W. Percival, il quale scrive: «Il signor Everard Calthrop, grande allevatore di cavalli "puro sangue", nel suo libro intitolato: The Horse as Camarade and Friends, racconta come anni or sono possedesse una splendida cavalla, di nome "Windemers", alla quale si era profondamente affezionato, e dalla quale era ricambiato con tale trasporto affettivo, da rendere il caso addirittura commovente. Sventura volle che la povera cavalla annegasse in uno stagno prossimo all'azienda del signor Calthrop; ed egli racconta in questi termini le impressioni provate in quel momento: «Alle ore 3,20 ant. del giorno 18 marzo 1913, io mi risvegliai con un sobbalzo da un sonno profondo, e non già a causa di qualche rumore o di qualche nitrito, ma di una invocazione di aiuto a me trasmessa - non so come - dalla mia cavalla "Windemers". Stetti in ascolto: non si percepiva il minimo rumore nella notte tranquilla; ma quando divenni pienamente sveglio, sentii vibrare nel cervello e nei nervi il disperato appello della mia cavalla, in tal guisa apprendendo che si trovava in estremo pericolo, e che invocava urgentemente aiuto. Infilai un soprabito, calzai gli stivali, apersi la porta e presi una rincorsa attraverso il parco. Non si sentivano nitriti o lamenti, ma in guisa incomprensibile e prodigiosa io sapevo da qual parte mi giungeva quella segnalazione di "telegrafia senza fili"; per quanto la segnalazione stessa andasse rapidamente indebolendosi. Appena uscito, avevo riscontrato con terrore che la segnalazione mi giungeva dalla parte dello stagno; Correvo, correvo, ma sentivo che le onde vibratorie della "telegrafia senza fili" si ripercuotevano sempre più deboli nel mio cervello; e quando giunsi in riva allo stagno, erano cessate. Guardando le acque, mi avvidi che la loro superficie era ancora increspata da piccole onde concentriche che giungevano a riva, e nel mezzo allo stagno scorsi una massa nera che risaltava sinistramente ai primi albori del mattino. Compresi subito che quello era il corpo della mia povera cavalla, e che purtroppo avevo risposto tardi alla sua chiamata: era morta». Questo il fatto. Il signor F.W. Percival che lo riporta nel Light (1921, pag. 187), osserva in proposito: «E' vero che nei casi come quello esposto, a noi manca la testimonianza dell'agente; ma ciò non impedisce che le tre regole del Myers atte a vagliare gli eventi telepatici da quelli che tali non sono, siano ugualmente applicabili al caso nostro. Queste le regole: 1°, che l'agente si sia trovato in una situazione eccezionale (e qui l'agente lottava con la morte) - 2°, che il percipiente abbia provato un alcunché di psichicamente eccezionale, inclusa un'impressione rivelatrice dell'agente (e qui l'impressione che rivela l'agente è palese) - 3°, che i due eventi abbiano a coincidere nel tempo (ed anche questa terza regola è adempiuta)». A rincalzo delle argomentazioni del signor Percival, gioverebbe forse soffermarsi sul fatto che l'impulso telepatico fu così preciso ed energico da risvegliare il percipiente da un sonno profondo, da renderlo subito consapevole che si trattava di un'invocazione di aiuto da parte della sua cavalla, e da orientare i suoi passi senza esitazione alcuna verso il teatro del dramma. Posto ciò, non pare logicamente lecito di mettere in dubbio l'origine genuinamente telepatica dell'evento.

CASO 5 - Lo ricavo dal Journal of the S.P.R. (vol. XII, pag. 21). Lady Carbery, moglie a Lord Carbery, invia dal castello di Freke, nella contea di Cork, in data 23 luglio 1904, la seguente relazione: «In un caldo pomeriggio di domenica, nell'estate del 1900, io mi recai dopo colazione a fare la solita visita alle scuderie, per distribuire zucchero e carote ai cavalli, tra i quali vi era una mia cavalla favorita, ombrosa, nervosa, di nome Kitty. Tra noi esisteva una grande e non comune simpatia. Io la cavalcavo tutte le mattine, prima di colazione, e con qualunque tempo. Erano escursioni tranquille e solitarie lungo le colline sovrastanti al mare, e a me parve sempre che Kitty gioisse quanto la padrona di queste gite mattutine, nella freschezza dell'ora. «Nel pomeriggio di cui si tratta, uscendo dalle scuderie, io mi avviai da sola nel parco, percorrendo circa un quarto di miglio, e mi sedetti all'ombra di un albero con un libro interessante da leggere, con l'intenzione di rimanere là un paio d'ore. Dopo circa venti minuti, un influsso improvviso di sensazioni penose venne a interporsi fra me e le mie letture, e in pari tempo io ebbi la certezza che qualche cosa di doloroso era capitato alla mia cavalla Kitty. Procurai di scacciare quella impressione intempestiva proseguendo nella mia lettura, ma l'impressione crebbe al punto ch'io fui costretta a desistere ed avviarmi difilata alle scuderie. Giuntavi, mi diressi senz'altro al box di Kitty, e la trovai riversa a terra, sofferente, e in bisogno urgente di aiuto. Mi recai subito in cerca degli stallieri, che si trovavano in altra sezione lontana dalle scuderie, i quali accorsero a porgere l'assistenza che il caso richiedeva. La sorpresa degli stallieri fu grande quando mi videro apparire nella scuderia per la seconda volta, cosa assolutamente inconsueta». (Firmata: Lady Carbery). Il cocchiere che prestò assistenza in tali contingenze, conferma in questi termini: «In quel tempo io ero cocchiere al castello di Freke, e Sua Signoria venne alle scuderie nel pomeriggio a distribuire, come d'uso, zucchero e carote ai cavalli. Kitty si trovava libera nel suo box, e in ottime condizioni di salute. Subito dopo, io rientrai nella mia abitazione sovrastante le scuderie, e gli stallieri salirono nelle loro stanze. Trascorsa mezz'ora, o tre quarti d'ora, io fui sorpreso di veder tornare Sua Signoria, la quale accorreva per chiamare me e gli stallieri affinché porgessimo assistenza a Kitty, giacente riversa a terra per malore improvviso. Nell'intervallo, nessuno di noi era entrato nelle scuderie». (Firmato: Edward Nobbs). Questo secondo caso è meno emozionale del primo, e l'impressione a cui soggiacque Lady Carbery fu anche meno circostanziata e più vaga; ma nondimeno risultò sempre abbastanza forte per infondere nella percipiente la convinzione che le sensazioni provate indicavano che la cavalla Kitty aveva urgente bisogno di assistenza, nonché per determinarla ad accorrere senza indugio sul posto. Ora siffatte circostanze, d'ordine eccezionale e di significato preciso e suggestivo, risultano sufficienti ad autorizzare a concludere per la genuinità telepatica del caso.

CASO 6 - Lo ricavo dal Light (1915, pag. 168). Il signor Mildred Duke, noto sensitivo ed autore di articoli profondi in argomento metapsichico, riferisce il seguente episodio capitato a lui stesso: «Sere or sono m'indugiai a scrivere fino ad ora tarda, ed ero totalmente assorto nell'argomento trattato, quando fui letteralmente invaso dall'idea che la mia gattina avesse bisogno di me. Dovetti alzarmi e andarne in cerca. Dopo avere girato inutilmente per la casa, mi recai nel giardino e siccome l'oscurità impediva di vedere, cominciai a chiamarla. Finalmente mi pervenne distinto all'orecchio un debole miagolio a distanza, ed ogni volta che ripetevo la chiamata, il fioco miagolio si ripeteva, ma la gattina non veniva. Allora rientrai per munirmi d'una lanterna, quindi attraversai l'orto e mi diressi in un campo, dal quale mi pareva provenissero i miagolii, e dopo breve ricerca rinvenni la mia gattina in una siepe, presa in un laccio teso ai conigli, col nodo scorsoio che le stringeva il collo. Se si fosse sforzata a districarsi si sarebbe senza dubbio strangolata, ma fortunatamente ebbe l'intelligenza di non muoversi più, e d'inviare al suo padrone un messaggio di aiuto. «E' questa una gattina a cui sono profondamente affezionato, e non è la prima volta che si stabilisce un rapporto telepatico tra lei e me. Alcuni giorni or sono pareva smarrita, perché non si riusciva a trovarla da nessuna parte, e i familiari si affannavano a chiamarla da ogni angolo del giardino. D'improvviso, in una sorta di fotografia mentale, io la vidi prigioniera in una cameretta vuota delle soffitte, che rimaneva quasi sempre chiusa. E la visione risultò veridica: non si sa come, vi era rimasta rinchiusa. Mi mandò dunque, anche questa volta, un suo messaggio telepatico per avvertirmi della sua prigionia?» Anche in questo terzo caso in cui il fenomeno telepatico si estrinseca in forma di "impressioni" e nulla più, non è possibile accampare dubbi sulla genesi telepatica delle impressioni sensorie a cui soggiacque il relatore. I lettori avranno rilevato che nei tre casi in questione - come in molti altri che seguiranno - i protagonisti sono unanimi nel premettere la medesima osservazione, che cioè tra essi e gli animali coi quali entrarono in rapporto telepatico esistevano rapporti affettivi d'ordine eccezionale; e tale circostanza è meritevole di rilievo, poiché si riscontra identica nelle comunicazioni telepatiche fra esseri umani; dimodoché può affermarsi che una condizione di affettività reciproca eccezionale, risulti il fulcro di ogni rapporto telepatico. In altri termini: si tratterebbe sempre della grandiosa "legge di affinità", la quale governerebbe l'intera gamma delle comunicazioni telepatiche, sia che si determinino tra persone viventi, o tra viventi e defunti, o tra esseri umani ed animali; come, in ultima analisi, la medesima legge impera nell'universo intero - fisico e psichico - sotto forma di "sintonizzazioni vibratorie" sempre più raffinate e sublimate in serie infinita.

CASO 7 - Lo tolgo dal Journal of the S.P.R. (vol. XI, pag. 323). Il signor J.F. Young comunica il seguente incidente che gli è personale: «New Road, Lanelly, nov. 13, 1904. - Io posseggo un cane "terrier" dell'età di 5 anni, da me allevato. Fui sempre grande amatore di animali, ma specialmente di cani. Questo di cui si tratta ricambia in modo tale il mio affetto ch'io non posso recarmi in nessun luogo, neppure lasciare la mia camera, senza che mi segua costantemente. E' un terribile cacciatore di topi, e poiché il retro-cucina è occasionalmente frequentata da siffatti roditori, io vi avevo posto una comoda cuccia per Fido. Nella stessa camera si trovava un focolare con annesso forno adatto per cuocere il pane, nonché una caldaia per il bucato con relativa condotta che immette nel camino. Era mia costante abitudine accompagnarlo alla sera alla cuccia prima di ritirarmi per la notte. Mi ero svestito e stavo per andare a letto, quando mi colse di improvviso un sentimento inesplicabile di pericolo imminente. Non potevo pensare ad altra cosa che al fuoco; e l'impressione era così forte che cedetti. Indossai nuovamente gli abiti, scesi da basso e mi diedi a visitare camera per camera onde assicurarmi che tutto era in ordine. Giunto al retro-cucina non vidi Fido, e pensando che fosse sgattaiolato per andarsene al piano superiore, presi a chiamarlo, ma inutilmente. Mi recai tosto da mia cognata onde chiedere notizie, ma non sapeva nulla. Cominciavo a sentirmi inquieto. Tornai subito nel retro-cucina, e mi diedi a chiamare ripetutamente il cane, ma sempre inutilmente. Non sapevo che cosa fare. D'un tratto mi venne in mente che se c'era una cosa capace di farlo rispondere, questa era la frase: "Andiamo a spasso, Fido!", frase che lo metteva sempre in gran festa. La pronunciai ad alta voce, e un lamento soffocato, come se affievolito per la distanza, pervenne questa volta al mio orecchio. Replicai tosto e mi giunse un distinto lamento di cane in angustia. Ebbi tempo di accertarmi che proveniva dall'interno della condotta che mette in comunicazione la caldaia col camino. Non sapevo come fare per trarne fuori il cane; gli istanti erano preziosi, la sua vita era in pericolo. Presi una mazza e mi diedi a rompere in quel punto il muro. Pervenni finalmente, non senza difficoltà, a trarlo di là semivivo, ansante, in preda a sforzi di vomito, con la lingua e l'intero corpo anneriti dalla fuliggine. Se avessi tardato qualche istante ancora, il mio piccolo favorito sarebbe morto; e siccome la caldaia è usata molto raramente, io non avrei mai conosciuto la sorte toccata al cane. Mia cognata era accorsa al rumore. Trovammo insieme una tana di topi situata nel focolare da cui parte la condotta. Fido evidentemente, aveva dato la caccia a un topo fin nell'interno della condotta, in modo che vi era rimasto preso, senza potersi volgere né ritirare. «Tutto ciò capitò alcuni mesi or sono, e venne pubblicato nei fogli locali del tempo, ma non avrei certo pensato mai a comunicarlo a codesta Società, ove non fosse avvenuto nel frattempo il caso di Mr. Haggard». (Firmato: J.F. Young). Miss E. Bennett, cognata del firmatario, conferma quanto narra il congiunto. (Per ulteriori ragguagli in proposito rimando alla pubblicazione sopra riferita.) Questo quarto caso di telepatia per "impressione" differisce notevolmente dagli altri due che precedono, nei quali la caratteristica essenziale dell'impulso telepatico consisteva nella percezione esatta di un appello urgente da parte dell'animale in pericolo, nonché nella localizzazione intuitiva del luogo in cui l'animale si trovava. Qui, al contrario, la "impressione" a cui soggiace il percipiente gli suggerisce l'idea di pericolo imminente in rapporto al fuoco. Tuttavia la "impressione" è così forte da indurlo a vestirsi in gran fretta ed a recarsi ad ispezionare la casa; cosicché giungendo in cucina, ed avvertendo l'assenza del cane, è tratto a chiamarlo, cercarlo e salvarlo. Ne deriva che in questo caso il messaggio telepatico si estrinseca in guisa imperfetta, assumendo forma simbolica; il che nulla toglie al suo valore intrinseco, giacché tale circostanza non costituisce una perplessità teorica. Infatti è noto che le manifestazioni telepatiche, nel loro transito dal subconscio al conscio, seguono la "via di minor resistenza", la quale è determinata dalle idiosincrasie speciali all'agente e al percipiente considerati assieme. Queste, dal punto di vista umano, consistono anzitutto nel "tipo sensorio" al quale appartiene ogni singolo individuo (mentale, visivo, auditivo, tattile, olfattivo, emozionale); quindi consistono nelle condizioni di ambiente in cui egli vive (abitudini, consuetudini, reiterazioni dei medesimi incidenti nella vita giornaliera). Ne deriva che quando l'impulso telepatico non perviene ad estrinsecarsi in forma diretta, allora si trasforma in una modalità di percezione indiretta, o simbolica, la quale traduce più o meno fedelmente il pensiero dell'agente telepatizzante, pur trovandosi sempre in un rapporto qualunque col pensiero dell'agente stesso. Ciò posto, potrebbe dirsi che nel caso in esame l'appello ansioso del cane in pericolo, era sì pervenuto a impressionare il subconscio del percipiente, ma per emergere nella di lui coscienza aveva dovuto perdere gran parte della sua chiarezza, trasformandosi in una vaga impressione di pericolo imminente in rapporto col fuoco; ciò che corrispondeva ancora a verità, tenuto conto che l'animale si trovava effettivamente prigioniero, e in pericolo di morte per asfissia, nella tubatura del focolare.

CASO 8 - Il professor Emilio Magnin comunica alle Anuales des Sciences Psychiques (1912, pag. 347) il caso seguente: «Lessi con vivo interesse nelle Annales la relazione del caso telepatico del cane Bobby. Un altro caso, abbastanza analogo, mi venne raccontato anni or sono dall'amico P.M., uno dei maggiori avvocati del Foro parigino, ed io ve lo comunico persuaso di far cosa gradita ai lettori. L'avv. P.M. della nostra Corte d'Appello possedeva una cagna spagnuola di nome Creola. La teneva costantemente a Parigi con sé, ed aveva posto la sua cuccia nell'andito che metteva nella sua camera, vicino alla porta della camera stessa. Tutte le mattine, non appena la cagna avvertiva qualche movimento nella camera del padrone, cominciava a raspare alla porta ed a guaire, fino a quando non le fosse aperto. «Un giorno l'avv. P.M. affidò la cagna al guardiacaccia di Rambouillet per una partita di caccia. «Il mattino di un sabato, assai per tempo, l'avvocato in discorso intese improvvisamente raspare alla sua porta e guaire. Sorpreso di apprendere in quella maniera la presenza della sua cagna, si alzò prontamente, convinto che il guardiacaccia fosse tornato a Parigi per qualche comunicazione importante. Aperse la porta, e con suo immenso stupore non vide né cagna, né guardiacaccia. «Due ore dopo, gli fu recapitato un telegramma di quest'ultimo, in cui gli comunicava che la sua cagna Creola era stata accidentalmente uccisa da un cacciatore». Anche in questo episodio, in cui l'allucinazione veridica fu di natura "auditiva", non pare possibile dubitare sull'origine genuinamente telepatica della manifestazione. E a proposito delle modalità con cui si svolse l'episodio, bisogna rilevare com'esse dimostrino che l'impulso telepatico risultò anche questa volta di natura indiretta o simbolica. Richiamandoci pertanto alle considerazioni svolte in precedenza, noi diremo che siccome la cagna defunta aveva in vita la caratteristica abitudinaria di raspare alla porta del padrone e di guaire fino a quando non le venisse aperto, ne derivò che l'impulso telepatico, non riuscendo a estrinsecarsi in forma diretta, lo fece in maniera indiretta e simbolica, assumendo quelle modalità di estrinsecazione che erano le più familiari all'agente e al percipiente assieme. Noto in proposito che la circostanza di una legge fondamentale delle manifestazioni telepatiche che si realizza scrupolosamente anche quando è questione di un agente animale, presenta un alto valore teorico, giacché non si può non arguire che se le manifestazioni telepatiche animali si conformano alle medesime leggi di quelle umane, ciò dimostra l'identità di natura delle manifestazioni stesse, e in conseguenza l'identità di natura dell'elemento spirituale in funzione in entrambe le circostanze.

CASO 9 - Riproduco dal Journal of the S.P.R. (vol. IV, pag. 289), il caso seguente, riferito da Mrs. Beauchamp, di Hont Lodge, Twiford; la quale così si esprime nel brano di lettera qui riprodotta e indirizzata a Mrs. Wood, Colchester: «... Megatherium è il nome di un mio cagnolino indiano, il quale dorme nella camera di mia figlia. La notte scorsa io mi destai d'improvviso perché lo avevo sentito saltellare per la stanza. Conosco assai bene il suo caratteristico saltellio. Anche mio marito non tardò a risvegliarsi. Lo interrogai: "Senti tu?" Al che rispose: "C'è Meg". Accendemmo una candela, guardammo dappertutto ma non trovammo nulla nella camera, e constatammo che la porta era ben chiusa. Allora mi prese l'idea che qualche cosa di male fosse capitato a Meg: avevo la sensazione che fosse morto in quel preciso istante. Guardai l'orologio per rendermi conto dell'ora, e pensai che dovevo scendere e andare ad accertarmi del fatto. Stetti un momento indecisa, e mi riprese il sonno. Ben poco tempo poteva essere trascorso, qualcuno venne a battere alla porta: era mia figlia che con espressione di grande ansietà mi avvertì: "Mamma, mamma, Meg sta morendo". Prendemmo tutti le scale di volo, e trovammo Meg riverso su di un fianco, con le gambe allungate e irrigidite come morto. Mio marito lo sollevò da terra e si accertò che il cane era ancora in vita, ma per un momento non riuscì a darsi conto di ciò ch'era avvenuto. Si trovò infine che Meg, non si sa come, si era attorcigliata la correggiola della giubba intorno al collo, tanto da rimanerne quasi strangolato. Lo liberammo subito, e appena il cane potè respirare, non tardò a ravvivarsi e rimettersi. «D'ora in avanti, qualora a me accada di provare altre precise sensazioni simili a riguardo di qualcuno, mi propongo di accorrere senza indugio. Posso giurare di aver sentito il saltellio caratteristico di Meg intorno al letto, ed altrettanto può affermare mio marito». (Per ulteriori ragguagli in proposito rimando al Journal, luogo citato). Anche in questo caso, sulla cui origine genuinamente telepatica non è lecito dubitare (tanto più che questa volta furono due le persone che subirono le stesse impressioni auditive), anche in questo caso, dico, la manifestazione telepatica si estrinseca in forma simbolica, vale a dire che una invocazione urgente di aiuto formulatasi nella mentalità del cagnolino agente, arriva ai percipienti trasformata nella eco caratteristica del consueto saltellio che il cagnolino eseguiva ogni mattina intorno al letto dei padroni. Ora è indubitabile che una percezione di tal natura, date le condizioni in cui si svolse, non poteva risultare l'espressione fedele del pensiero dell'agente, ma solamente una traduzione simbolicaveridica del pensiero medesimo; giacché se appare logico e naturale presumere che un animale in procinto di morire strangolato, abbia diretto intensamente il pensiero verso coloro che soli potevano salvarlo, non sarebbe invece né logico né ammissibile il presupporre che l'animale stesso, in quel momento supremo, abbia invece pensato serenamente agli sgambettii da lui medesimo compiuti ogni mattina intorno al letto dei padroni.

CASO 10 - Lo ricavo dal vol. VIII, pag. 45 delle Annales des Sciences Psychiques, le quali lo dedussero dalla rivista italiana Il Vessillo Spiritista. «La signora Ludow Krijanowsky (ora signora Semenoff), ci riferisce il fatto seguente capitatole, e che riguarda la tanto dibattuta questione dell'anima degli animali. «Si tratta di un cagnolino grande favorito di noi tutti, ma specialmente di Wera, e che un po' a causa di tale affetto e delle conseguenti premure di cui era oggetto, cadde ammalato. Soffriva di crisi di soffocamento e di tosse; tuttavia il veterinario che lo curava non disse che la malattia era pericolosa. Nondimeno Wera se ne dimostrava assai preoccupata, e si alzava la notte per fargli frizioni e somministrargli medicine; nessuno però sospettava che potesse morire. «Una notte lo stato di Bonika (tale era il nome del cagnolino) peggiorò improvvisamente. Noi ne fummo assai preoccupati, soprattutto pensando a Wera, e decidemmo di andare subito, di primo mattino, dal veterinario, perché se lo si fosse mandato a chiamare non sarebbe venuto che verso sera. «Giunto il mattino, Wera e nostra madre uscirono portando in braccio il piccolo malato; io rimasi a casa, e mi misi a scrivere. Ero a tal segno assorta nel mio lavoro da dimenticarmi che i miei non erano in casa. Tutto ad un tratto io sento tossire il cagnolino nella camera attigua. Era là che si trovava la sua cuccia, e da quando era ammalato, non appena cominciava a tossire o a gemere, qualcuno di noi accorreva a vedere ciò che bisognava fare. Gli si porgeva da bere, gli si dava la medicina, gli si aggiustavano le bende intorno al collo. Spinta dall'abitudine, mi alzai di scatto e accorsi alla cuccia. Solo al vederla io mi ricordai che mamma e Wera erano uscite portando Bonika. Restai pertanto assai perplessa e stupita, poiché i colpi di tosse erano stati così forti e distinti da dover escludere qualsiasi possibilità di errore. «M'indugiavo pensosa presso la cuccia vuota, quando improvvisamente si fece intendere uno di quei guaiti con cui Bonika ci salutava quando rientravamo in casa, poi un secondo guaito che sembrava provenire dalla camera attigua, infine un terzo guaito che sembrava perdersi in lontananza. «Confesso ch'io ne rimasi impressionata, e fui colta da un brivido. Mi era balenato in mente l'idea che il cagnolino fosse morto. Guardai l'orologio: mancavano cinque minuti a mezzogiorno. «Inquieta ed agitata, mi affacciai alla finestra in attesa impaziente dei miei. Scorsi finalmente Wera che ritornava da sola, e correndole incontro, dissi a bruciapelo: "Bonika è morto". "Come fai a saperlo?" esclamò Wera stupefatta. Anziché risponderle, chiesi se conosceva l'ora precisa in cui Bonika era spirato, ed essa soggiunse: "Pochi minuti prima di mezzogiorno". Dopo di ché, mi raccontò: «Quando giunsero alla casa del veterinario verso le 11, questi era assente; ma la persona di servizio insistette perché ne attendessero il ritorno, poiché verso mezzogiorno doveva immancabilmente rientrare per l'ora delle visite. Pertanto rimasero, ma siccome il cagnolino appariva sempre più agitato, Wera lo adagiò sul divano, poi lo posò sul tappeto, consultando con impazienza l'orologio a pendolo. Con suo grande sollievo aveva visto che mancavano pochi minuti a mezzogiorno; ma in quell'istante il cagnolino fu colto da un fiero attacco di soffocamento. Wera fece per rimetterlo sul divano, e mentre lo faceva, scorse che le sue mani e il cagnolino s'illuminavano di una vampa purpurea intensa ed abbagliante. Nulla comprendendo di quanto accadeva, si pose a gridare: "Al fuoco! Al fuoco!". Mamma non aveva visto nulla, ma siccome volgeva le spalle al camino, pensò che il fuoco si fosse appiccicato alla sua veste, e si voltò spaventata, riscontrando che il camino era spento. Fu in quel momento che si avvidero entrambe che il cagnolino era spirato, il che trattenne la mamma dal rimproverare Wera per la paura che il suo grido intempestivo aveva provocato in lei». Questo l'interessante episodio narrato dalla signora Semenoff. Noto ch'esso pure riveste carattere simbolico. Come dissi, sono comuni i casi in cui l'impulso telepatico assume forme rappresentative più o meno aberranti a seconda delle idiosincrasie particolari ai percipienti. Tuttavia quando gli episodi di tal natura si realizzano tra creature umane in cui l'agente è un defunto, è lecito presumere che sebbene le modalità con cui si evidenziano dipendano sempre dal fatto che un impulso telepatico non può non seguire "la via di minor resistenza" onde arrivare alla coscienza del percipiente, nondimeno possano qualche volta determinarsi per volontà dell'agente, il che si conformi alle idiosincrasie del percipiente. Nelle raccolte dei casi telepatici pubblicate dalla Society f. P. R. vi è un episodio in cui un'entità di defunto si manifesta simultaneamente con tre modalità diverse a tre persone: una delle quali ne scorge il fantasma, l'altra ne ode la voce che proferisce una frase di saluto, e la terza percepisce un soave profumo di viole mammole, profumo coincidente con la circostanza che la salma del defunto sul letto di morte era letteralmente ricoperta di viole mammole. In circostanze simili apparirebbe razionale il presumere che l'entità comunicante si sia consapevolmente manifestata in guise diverse ai percipienti, per conformarsi necessariamente alle loro idiosincrasie personali, e cioè, che si sia manifestata in forma obbiettiva alla persona di "tipo visuale", che abbia trasmesso una frase di saluto alla persona di "tipo auditivo" e generato una sensazione olfattiva per la persona in cui "la via di minor resistenza" onde impressionarla era costituita dal senso olfattivo. L'incidente che rende razionale tale variante esplicativa risulta la frase di saluto percepita dalla persona di tipo "auditivo", frase di saluto che difficilmente potrebbe ritenersi originata nel transito del subcosciente al cosciente di un unico impulso telepatico, laddove tutto si chiarirebbe presupponendo che la frase in discorso fosse stata pensata e trasmessa dall'entità comunicante. Tornando al caso sopra riferito, rilevo in esso una circostanza di fatto che ne complica l'interpretazione teorica, ed è che il cagnolino Bonika era morto nelle braccia della propria padroncina; il che induce a presumere che per l'animale morente non dovessero esistere motivi emozionali che lo traessero a rivolgere il pensiero all'altra persona familiare rimasta a casa, determinando in tal modo un fenomeno telepatico. Stando le cose in questi termini, si dovrebbe concluderne che molto probabilmente avvenga per gli animali ciò che si verifica in molti casi di creature umane, nei quali il degente determina morendo delle manifestazioni telepatiche pel solo fatto di rivolgere un pensiero di rimpianto all'ambiente lontano in cui è vissuto lungamente e felicemente. Osservo nondimeno che nel caso di creature umane vi sarebbe un'altra spiegazione, non più telepatica, ma spiritica, ed è che si dovrebbe presumere come in circostanze speciali lo spirito del defunto, non tanto velocemente liberato dai vincoli corporei, ritorni all'ambiente in cui visse, e tenti ogni mezzo a sua disposizione per far nota la propria presenza ai familiari. Quanto al fenomeno luminoso percepito da colei che recava in braccio Bonika all'istante della morte, non riguarda le manifestazioni qui considerate, per quanto, da un altro punto di vista, non manchi di apparire interessante e suggestivo, tenuto conto che manifestazioni analoghe si realizzano qualche volta al letto di morte di creature umane.