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In questo testo l’autore analizza 12 casi di psicografia – dettate cioè da entità che si autoqualificano come spiriti di defunti – , le cui vicende vanno al di là della spiegazione ovvia di attività dovuta ad autosuggestione o a rudimentale elaborazione onirica. Nei casi descritti e analizzati una serie di indizi solidi sembrano consentire l’attribuzione degli scritti esaminati a interventi esterni al medium. Si parte quindi dall’esperienza di Enrichetta Beecher-Stowe, ed il suo famoso romanzo La Capanna dello Zio Tom, da quella di Francesco Scaramuzza e dalle sue opere dettate nientemeno che da Ludovico Ariosto e Goldoni. Si parla poi della conclusione del romanzo Edwin Drood, rimasto incompiuto, e dettato al medium direttamente da Dickens. Particolare attenzione alle esperienze medianiche di Victor Hugo e Oscar Wilde e ai casi William Sharp-Fiona Macleod e a quello ancor più intrigante di Patience Worth e Mrs. Curran. Si passa poi ai voluminosi Scritti di Cleopa dettati a Miss Geraldine Cummins, e agli scritti sacri dettati al rev. Bush che vengono direttamente da spiriti vissuti al tempo di Cristo.Il testo è caratterizzato dal particolare stile del Bozzano che sempre si sforza di trattare le vicende “supernormali” utilizzando metodi e linguaggio il più possibile vicini a quelli della classica analisi scientifica.
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Table of Contents
PREFAZIONE
LETTERATURA D'OLTRETOMBA
Caso I.
Caso II.
Caso III.
Caso IV.
Caso V.
Caso VI.
Caso VII.
Caso VIII.
Caso IX.
Caso X.
Caso XI.
Caso XII.
Ernesto Bozzano
Letteratura d'oltretomba
Ernesto Bozzano nacque a Genova il 9 gennaio 1862. Fin dai suoi primi anni Egli dimostrò uno spiccato amore per lo studio, che dalla letteratura si portò, congli anni della maturità intellettuale, verso la filosofia scientifica allora imperante. Fra i filosofi, particolarmente loSpencer lo aveva attratto per l'universalità della sua mente e della sua opera.
Senonchè, nel 1891, ricevette una lettera del psicologo francese prof. Ribot, con la quale gli si annunciava che avrebbe avuta una nuova rivista– Annales des Sciences Psychiques –allora fondata dal prof. Carlo Richet. Il prof. Ribot esortava il Bozzano a leggerne attentamente il contenuto e a manifestargli il suo parere inproposito. Il risultato fu disastroso, perchè il Bozzano, imbevuto della filosofia scientifica di allora, trovava «scandaloso» che si parlasse di trasmissione telepatica del pensiero a grandi distanze, e, comunque, di percezione extra sensoriale in genere.
Ma subito dopo occorse un fatto che lo fece profondamente riflettere: il prof. Rosenbach, di Pietroburgo,scrisse un articolo sullaRevue Philosophiquenel quale si scagliava contro l'intrusione di queste nuove esperienze telepatiche entro al sacro recinto della psicologia ufficiale, senonchè lo aveva fatto con tale deficienza e povertà di argomentazioni, che il Bozzano si disse: «Se queste sono le obbiezioni, allora il quesito posto dalla Ricerca Psichica sussiste in tutta la sua forza.V'è dunque un grande problema da risolvere con metodi e dati nuovi: il problema dell'Anima. Dedicherò magari la miavita per andarvi in fondo».
Così fu. Dal 1891 in poi, fino alla sua morte, per 53 anni, Egli visse e lavorò, chiuso in una stanza ed ospitedei fratelli, esclusivamente in favore della sua scienzaprediletta – la Metapsichica – della quale Egli doveva divenire uno dei suoi piú illustri rappresentanti.
Conseguenze di 53 anni ininterrotti e perseveranti di studio furono:
la sua nomina a socio onorario della «Society for Psychical Research», nelle due sezioni inglese ed americana, e dell'«Institut Métapsychique International», nonchè la sua collaborazione aLuce e Ombra,allaRevue Spirite,allaRevue Métapsychique,aPsychica,aLight,aInternational Psychic Gazette,aThe Two Worlds,ecc.;
la sua fama come massimo erudito vivente circa i fenomeni metapsichici; fama che gli fu concordemente riconosciuta dalle maggiori autorità della metapsichica come pure da elementi rappresentativi di altre attività concettuali; una serie di lavori, che partendo dal 1903, vanno fino alla sua morte. Faccio presente che negli anni della guerra ultima, non potendo piú ricevere dall'estero nè libri, nè riviste, nè collaborare con articoli alle rivistestesse, imprese a rifare e ad aggiornare,quadruplicandole di mole, quella meravigliosa serie di monografie che eranostate, in un primo tempo, pubblicate suLuce e Ombrao sulle riviste specializzate anglo-franco-americane.
Io sto ora pubblicando tale serie di monografie nellaCollana di Studi Metapsichicida me diretta (Casa Editrice Europa, Verona).
Letteratura d'Oltretombaè appunto una fra le diciassette, che il Bozzano, amico e Maestro, mi consegnò nel 1943 con l'incarico dì provvedere alla loro pubblicazione dopola sua morte.Letteratura d'Oltretombaè una diqueste magistrali esplorazioni nel campo dei piú straordinari fenomeni della mente.
I lavori del Bozzano non hanno bisogno di particolari commenti: la sua prosa è incisiva, lucida, fluida, sopratutto chiara,inequivocabile, inconfondibile.Anche il lettore mediocremente versato in questi temi, si sente subito trasportato dalla forza del pensiero logico e dalla nitidezza delle idee.
Ho detto che la sua fama fu mondiale: a testimoniarlo sta il fatto che i suoilibri furono tradotti in lingua inglese, francese, tedesca, spagnuola, portoghese, olandese, greca, rumena, serba, e perfino in lingua catalana.
Fra tutti i suoi lavori Egli pervenne, negli anni della guerra ultima, ad aggiornarne diciassette; ne rimangonotuttavia altri nove, che Egli volle affidati nelle mie mani, insieme con tutta la sua grande biblioteca metapsichica e con tutte le sue carte private affinchè io provvedessi alla loro definitiva compilazione.
Credo di non mancare di riverenza verso il Maestro, rendendo noto un piccolo appunto dattiloscritto, che io trovai fra le carte ereditate; appunto cheEgli aveva fissato esclusivamente per se stesso. Vi si legge:
«Il prof. Ismael Gomes Braga dice di me:– “Bozzano va al di là della sua epoca; l'ora sua è al lavoro; la gloria verrà domani...”» (Revue Spirite, 1934,pag. 311).
«Lasciamo perdere la “gloria” – commenta il Bozzano – alla quale non ho mai aspirato, ma l'osservazione del Braga mi ha colpito, poichè io per il primo ho sempre avuto la persuasione di non lavorare per la mia generazione, bensí per i posteri, i quali troveranno neimiei lavori un tesoro inesauribile di fatti, nonchè di considerazioni e d'intuizioni indispensabili se si vuole erigere su basi incrollabili il Tempio della nuova “Scienza dell'Anima”».
Non diversamente si era espresso il prof. Charles Richet, quando aveva scritto al Bozzano:
«...Ed ora io voglio parlarvi in guisa del tutto confidenziale. È vero ciò che avete supposto. Ciò che non hanno potuto ottenere nè Myers, nè Hodgson, nè Hyslop, nè Sir Oliver Lodge, l'avete ottenuto proprio voicon le vostre magistrali monografie che leggo sempre con attenzione religiosa. Esse fanno uno strano contrasto con le caliginose teorie che ingombrano la nostra scienza. Credete, vi prego, intutti i miei sentimenti disimpatia e diriconoscenza»,
È lo stesso prof. Richet che ha sottolineata quest'ultima parola.
Ernesto Bozzano è morto a Genova il 24 giugno 1943: un grande spirito ha lasciata la terra; ma la Sua Opera vive e vivrà fra noi comeuno dei segni più alti ebenefici della mente umana. Il grande consolatore di anime ha fatto ritorno al suo regno.
Gastone De Boni.
Tra le multiple forme che assumono le manifestazioni medianiche d'ordine intelligente, vi è purquella della estrinsecazione di opere letterarie, talvolta assai voluminose, dettate psicograficamente da entità sè affermanti gli «spiriti dei trapassati».
Non è il caso di osservare che molte di tali produzioni medianiche non resistono alla più superficiale analisi critica, dimostrandosi palesemente il frutto di una grossolana e più o meno sconclusionata elaborazione onirico-subcosciente, con personificazioni sonnamboliche concretatesi per suggestione od autosuggestione; personificazioni le quali non possono far di meglio che valersi delle risorse di coltura e d'ingegno inerenti alle personalità coscienti dalle quali derivano, con la conseguenza che le opere letterarie dei presunti spiriti comunicanti si dimostrano ben sovente così rudimentali da tradire la loro origine, eliminando ogni dubbio in proposito.
Il che non impedisce che accanto ai pseudo-mediums si rinvengano i mediums genuini, pel tramite dei quali si estrinsecano talvolta opere letterarie di gran merito, le quali inducono seriamente a riflettere, in quanto non possono in modo alcuno attribuirsi a una elaborazione subcosciente della limitatissima coltura generale propria ai mediums che le dettarono. Il che trae logicamente a inferirne che tali produzioni abbiano effettivamente ad attribuirsi adinterventi estrinseci; tanto più se si considera che alle prove in tal senso ricavabili dalle caratteristiche di forma, di stile, di tecnica individuale del dettato letterario, nonchètalora dall'identità calligrafica, si aggiungono altre prove cumulativeimportanti le quali consistono in ragguagli personali ignorati da tutti i presenti e risultati veridici, o in citazioni altrettanto veridiche e da tutti ignorate riferentisi ad elementi storici, geografici, topografici, linguistici, filologici, d'ordine talora complesso e quasi sempre raro; come pure, in descrizioni minuziose, colorite, vivaci di ambiente e di costumi riguardanti popoli antichissimi; tutte circostanze da non potersi in modo alcuno dilucidare con la comoda ipotesi dell'emergenza subcoscientedi cognizioni acquisite dal medium e poi dimenticate (criptomnesia).
Scopo del presente lavoro è di analizzare le principali manifestazioni del genere, tanto più che odiernamente si ottennero dettati i quali rivestono un alto valore teorico in senso decisamente spiritualista.
In tale ordine di manifestazioni, ben poco si ottenne in passato di teoricamente importante; comunque, non posso esimermi dall'accennarvi sommariamente.
* * *
E comincio da un caso ditransizione, in cui non si saprebbe a quale soluzione far capo nel giudicare se le modalità con cui si estrinsecò una famosa opera letteraria, debbano attribuirsi ad interventi estrinseci, ovvero a unostato di sovreccitazione psichica abbastanza comune nelle «crisi d'ispirazione» cui soggiaccionomentalità geniali.
In ogni modo, il caso appare interessante ed istruttivo, data la notorietà dell'autrice e l'influenza grande che l'opera letteraria a cui si allude esercitò sulle vicende storiche e sociali di una grande nazione. Mi riferisco con ciò alla celebre scrittrice Enrichetta Beecher-Stowe, ed al suo famoso romanzo: «La Capanna dello Zio Tom», il quale contribuì efficacemente all'abolizione della schiavitù negli Stati Uniti.
L'ambiente familiare in cui visse Enrichetta Beecher-Stowe poteva ritenersi sommamente favorevole ad interventi spirituali. Il prof. James Roberton scrivendone sul «Light» (1904, p. 388), osserva:
«Il marito prof. Stowe era un medium veggente. Gli accadeva sovente di scorgere a sè intorno fantasmi di defunti, e ciò in guisa atal segno distinta e naturale che gli riusciva talvolta difficile il discernere gli «spiriti incarnati» da quelli disincarnati».
Quanto a Mrs. Beecher-Stowe, era essa pure una grande sensitiva soggetta a frequenti crisi di «depressione nervosa», con fasidi «assenza psichica», ed aveva accolto con entusiasmo il movimento spiritualista iniziatosi in, America da qualche anno.
Per ciò che riguarda il suo grande romanzo: «La Capanna dello Zio Tom», tolgo dal «Light» (1898, p. 96) i ragguagli seguenti:
«Mrs. Howard, intima amica di Mrs. Beecher-Stowe, fornisce le seguenti suggestive informazioni intorno alle modalità con cui venne dettato questo famoso romanzo. Le due amiche si trovavano in viaggio, e si fermarono apernottare ad Hartford, recandosi a casa di Mrs. Perkins, sorella della Stowe. Dormirono entrambe nella medesima camera. Mrs. Howard si era svestita subito, e dal letto stava osservando l'amica che s'indugiava a ravviarsi automaticamente i capelli ricciuti, manifestando nel sembiante uno stato d'intensa concentrazione mentale».
A questo punto la narratrice così continua:
«Finalmente Enrichetta parve scuotersi, e così mi parlò: «Stamane ricevetti lettere da mio fratello Edoardo, il quale è preoccupato sul conto mio, giacchè teme che tutte queste lodi, tutta questa notorietà creatasi intorno al mio nome, non abbia a ridestare in me una vampata di orgoglio, con grave discapito dell'anima mia di cristiana». Così dicendo, essa depose il pettine, ed esclamò con voce appassionata: «Anima bella, quel fratello mio! Ma egli non se ne preoccuperebbe se sapesse che quel libro non l'ho scritto io!» – «Come mai?» – chiesi stupefatta, – «non siete voi che avete scritto «La Capanna dello Zio Tom?» – «No» – essa rispose – «io non feci altro che prendere nota di ciò che ho visto». – «Come sarebbe a dire? Voi non avete mai visitati gli Stati del Sud». «È vero; ma tutte le scene del mio romanzo, una dopo l'altra, si svolsero dinanzi alla mia visione, ed io non feci che descrivere ciò che vedevo». – Chiesi allora: «Per lo meno avrete ordito la trama degli eventi?» – «Niente affatto» – essa rispose; – «vostra figlia Annie mi rimproverò per aver fatto morire Evangelina; ma io non ne ho colpa, e non potevo impedirlo. Ne fui straziata più di qualunque altro; sentivo come se fossemorta la persona più cara della mia famiglia, e quando avvenne la sua morte, ne rimasi a tal segno accasciata, che non fui più in grado di riprendere la penna peroltre due settimane». – Allora chiesi: «E lo sapevate che il povero Zio Tom doveva egli puremorire?» – Rispose: «Sì, questo lo sapevo già dal principio, ma ignoravo in qual modo doveva morire. Quando pervenni a questo punto della mia storia, non ebbi più visioni per qualche tempo».
In altro fascicolo della medesima rivista (1918, pag. 315) vieneriferito il seguente periodo sul medesimo argomento:
«Una sera, verso il tramonto, Mrs. Beecher-Stowe, passeggiava soletta, come sempre, nel parco. Il capitano X. la vide, le si avvicinò, e togliendosi rispettosamente il cappello, così le parlò: «In gioventù lessi anch'io, con immensa commozione, «La Capanna dello Zio Tom». Permettetemi ch'io stringa la mano a colei che scrisse il memorabile romanzo». – La settuagenaria autrice gli stese la mano, osservando vivacemente: «Io non l'ho scritto». – «Come! Non l'avete scritto voi?» – chiese sbalordito il capitano – «e allora chi lo scrisse?» – Essa soggiunse: «Dio l'ha scritto, ed è Lui che me l'ha dettato».
Nel primo dei brani citati si osserva una spontanea emersione dalla subcoscienza della scrittrice di visioni cinematografiche indicanti lo svolgersi dell'azione del romanzo; ciò che presenta grandi analogie con le modalità con cui dettarono i loro romanzi altri scrittori di genio, quali il Dickens e il Balzac. Questi ultimi, a loro volta, vedevano sfilare dianzi alla loro visione subbiettiva i personaggi e le scene cheavevano immaginato. La differenza tra le loro visioni e quelle della Beecher-Stowe risiederebbe appunto in quest'ultima circostanza di fatto: ch'essi assistevano allo svolgersi di eventi creatie diretti dalla loroimmaginazione consapevole, laddove la Beecher-Stowe assisteva passivamente allo svolgersi di eventi che non aveva creato, e i quali ben sovente risultavano in contrasto assoluto con la sua volontà, la quale non avrebbe mai fatto morirele due sante creature descritte nel suo romanzo. Tale circostanza di fatto è importante, e tenderebbe a differenziare le visioni subbiettive comuni agli scrittori di genio, da quelle della Beecher-Stowe, così come le stereotipate, automatiche «obbiettivazioni dei tipi» quali si ottengono per suggestione ipnotica, non presentano nulla di comune con le indipendenti, liberamente agenti personalità medianiche quali si manifestano coi veri mediums.
E la presunzione che non si trattasse di visioni puramentesubbiettive acquista maggiore efficacia per effetto del secondo dei brani citati, nel quale la Beecher-Stowe dichiara esplicitamente di avere trascritto il suo romanzo come se le fosse dettato. Il che dimostrerebbe che la celebre scrittrice era una mediumscrivente; circostanza che si accorderebbe con l'altra rilevata dai suoi biografi, ch'essa andava soggetta «a fasi di assenza psichica», le quali presumibilmente erano stati di «trance» incipiente.
Da un altro punto di vista, osservo che l'esclamazione della Beecher-Stowe: «Dio l'ha scritto!» sottintende che il dettato medianico si era estrinsecato in forma anonima; vale a dire che l'agente spirituale operante aveva occultato la propria individualità, tenendosi presumibilmente pago di compiere in Terra la missione assunta di contribuire efficacemente, per ausilio di un racconto commovente fino allo strazio, alla grandiosa opera umanitaria della redenzione di una razza oppressa.
Tutto ciò mi parve lecito indurre da quanto si venne esponendo; tuttavia non insisto in proposito, dato che le induzioni stesse non risultano sufficienti onde concludere in favore dell'origine estrinseca del romanzo in esame. Nondimeno giova osservare che le basi su cui poggiano le induzioni in favore di una spiegazione puramente subbiettiva degli stati d'animo in cui si trovò la scrittrice allorchè dettava il suo grande romanzo, appariscono più deficienti all'analisi di quel che non avvenga per l'interpretazione spiritualista dei medesimi.
Passo a riferire un secondo caso delgenere occorso in Italiamolti anni or sono; e si tratta di un caso che non puòdefinirsi più ditransizionecome il precedente, eciò sopratutto in quanto in esso non si riscontra l'incertezzateorica derivante dal fatto della personalità comunicante laquale non rivela la propria presenza. In quest'ultimo episodio,invece, le personalità medianiche operanti dichiaranoesplicitamente l'esser loro; senonchè si riscontra che dalpunto di vista probativo, le modalità con cui si estrinsecanoi dettati medianici risultano a tal segno manchevoli, da suscitareperplessità di gran lunga maggiori di quanto era occorso, nelcaso che precede.
Il professore Francesco Scaramuzza era direttore dell'Accademiadi Belle Arti di Parma, nella quale insegnava pittura, arte incuiegli aveva raggiunto una notevole eccellenza. Era nondimenodestituito di cultura letteraria, giacchè a quattordici anniaveva cessato di frequentare le scuole, dovendo pensare aguadagnasi la vita. In gioventù erasi lungamente interessatoalle esperienze di magnetismo animale, che aveva praticato con buonsuccesso. Divenne spiritista in età matura, e a 64 anni sirivelò medium scrivente, ma per soli tre anni (1867-1869).Durante tale breve lasso di tempo, egli dettò conrapidità vertiginosa una quantità enorme di operepoetiche d'ogni sorta. Tra esse, meritano speciale menzione unvoluminoso poema in ottava rima (29 canti, e 3000 ottave), il quales'intitola: «Il Poema Sacro», e due commedie in versi, ilcui autore sarebbe stato lo spirito di Carlo Goldoni; commedievivaci, brillanti, magistralmente sceneggiate, e che rivelano tuttoil sapore dell'arte goldoniana.
Ma non può affermarsi altrettanto per la paternità delvoluminosissimo «Poema Sacro», il quale gli sarebbe statodettato dal sommo poeta Lodovico Ariosto. Nel poema si trattanoeccelsi argomenti, quali la natura di Dio, la genesi dell'Universo,la creazione dei soli e dei mondi, le origini della Vita nei mondi,gli scopi della Vita, e i destini dello spirito individualizzatoper effetto del transito nella Vita incarnata. Si rinvengono qua elà delle immagini magnifiche, comprensive, grandiose, ma quasisempre espresse in lingua povera, e accomodate in versi pedestri evolgari. Le concezioni cosmogoniche che vi si insegnano apparisconorazionali ed accettabili; qualche volta assurgono a vera altezzafilosofica, come quando si accenna all'immanenza di Dionell'universo, la quale si rivelerebbe ai mortali sotto forma di«Moto»; e come quando si analizzano il Tempo e loSpazio,attributi di Dio,perchèinfiniti qual è Dio; ciò che dideduzione in deduzione conduce la personalità medianicacomunicante a far capo a una concezione che s'identifica conl'ipotesi dell'«Etere-Dio».
Si prova quasi un senso di dispetto in vedere espressi pensierifilosoficamente sublimi in versi tanto pedestri, e in formaspietatamente volgare. Eppure i versi corrono sempre, e le rimesono quasi sempre spontanee; ciò che rivela una indiscussafamiliarità con la tecnica del verso nella personalitàmedianica comunicante. Quest'ultima si lagna sovente col medium ilquale riveste le idee che gli trasmette in una forma poeticatrasandata; ed essa aggiunge che non può impedirlo. Devericonoscersi che in tali affermazioni della personalitàcomunicante si rinviene un fondo di verità, inquanto esseconcordano con le odierne cognizioni acquisite in proposito, sullabase delle esperienze di trasmissione telepatica del pensiero, lequali dimostrarono come il solo pensiero appartenga allamentalità dell'agente, mentre la forma in cui vienerivestito appartiene all'elaborazione subcoscientedelpercipiente. Deve pertanto inferirsene che se, come nelcaso nostro, il medium è persona priva di coltura letteraria,egli non potrà non rendere assai male i concetti trasmessiglitelepaticamente dallapersonalità medianica comunicante.
Questo è quanto può invocarsi in favore dell'origineestrinseca di questo «Poema Sacro», il quale se induce aperplessità malgrado le deficienze grandi della forma,ciò avviene in ragione della elevatezza filosofica di talunesue parti. Comunque, dal punto di vista dell'identificazionepersonale del sedicente spirito comunicante, deve riconoscersi chenulla in esso si rinviene che possa indirettamente avvalorare lapresunzione che potesse trattarsi effettivamente del poetaLodovicoAriosto, salvo la bellezza ditalune immagini, per quanto esserisultino costantemente sciupate dalla volgarità dellaforma.
In pari tempo deve altrettanto francamente riconoscersi che sesi vuole attribuire il tutto alle facoltà dielucubrazioneartistica inerenti alla subcoscienza del medium che ledettava, il quesito non manca di apparire abbastanza oscuro eimbarazzante; giacchè il medium non era soltanto destituito dicoltura letteraria, ma nulla sapeva in fatto di scienza e difilosofia. Didove dunque scaturì l'ispirazione grandiosa dicerte parti del suo sistema cosmogonico? Nè bisognadimenticare il fatto stupefacente del medium che in soli tre anni,oltre il «Poema Sacro» in 29 canti e 3000 ottave (il cheforma un volume di 915 pagine), dettò due commedie in versiattribuite a Carlo Goldoni, tredici lunghissime novelle ugualmentein versi; due cantiche in terzine dantesche; un melodramma, unatragedia, cinque canti giocosi firmati dal defunto suo zio che fupoeta giocoso in vita, e infineun grosso volume di liriche.
Produzione poetica enorme, sempre deficiente nella forma, mafrequentemente buona, qualche volta ottima per la sostanza, per leimmagini, per la profondità del pensiero filosofico. Comunque,convengo francamente che non è il caso di soffermarciulteriormente a commentare la produzione medianica delloScaramuzza, visto che la medesima non presenta dati sufficientionde ricavarne inferenze più o meno legittime in favoredell'una o dell'altra delle ipotesi esplicative antagoniste che sicontendono il campo in metapsichica. Probabilmente nè l'unanè l'altra delle ipotesi in discorso potrebbe valere a darneragione da sola; per cui si sarebbe indotti a concludere che neicasi della natura esposta, le interferenze subcoscienti potrebberoalternarsi in guisa inestricabile con fugaci irruzionid'ispirazione supernormale, la cui natura non è, per ora,definibile.
E qui, avendo trattato di un caso occorso in Italia, accennerò a un altro caso recentissimo realizzatosi in un grupposperimentatore lombardo, nel quale si manifestò un'entità sè affermante lo spirito di uno scrittore morto giovanissimo, alcuni anni or sono. Questi era stato in vita un novelliere geniale, con caratteristiche personali di stile, di forma, di fervida immaginativa difficilmente imitabile. Ora avvenne che l'entità in discorso, a titolo di prova d'identificazione personale, prese a dettare parecchie novelle in tutto conformi a quelle scritte in vita. Tali documenti medianici furono pubblicati, e la persona a cui se ne doveva l'iniziativa, aveva inviato il volumetto allo scrivente, il quale era rimasto colpito dalla incontestabile identità di tecnica letteraria e d'immaginazione creativa tra il novelliere vivente e l'entità comunicante; per cui si era proposto dianalizzare a fondo il caso importante nella presente monografia. Senonchè avvenne che i parenti del defunto scrittore si opposero recisamente alla divulgazione del volumetto; dimodochè l'editore fu obbligato a ritirarlo dalla circolazione, e a me fu inibito di parlarne. Il che è deplorevole, giacchè si trattava di documenti medianici dai quali emergevano punti di raffronto insolitamente istruttivi e suggestivi.
Mi conforto pensando che siccome nessuna volontà umana potrebbe impedire al defunto di continuare a manifestarsi dettando produzioni letterarie allo scopo di provare la sua sopravvivenza, così avverrà che si accumuleranno altre prove, e il caso d'identificazione del defunto scrittore diverrà più che mai calzante, in attesa del giorno in cui verrà tolto l'ingiustificato «veto», sia per resipiscenza di chi l'ha imposto, sia per altri motivi.
Nulla volendo omettere in questa enumerazione dei casi specialiqui considerati, debbo ancora accennare al notissimo episodioriguardante il romanzo di Carlo Dickens: «Edwin Drood»,romanzo rimasto incompiuto alla sua morte, e che lo spirito delromanziere stesso avrebbe condotto a compimento post-mortem, peltramite del medium T. P. James, giovane operaio meccaniconordamericano, privo di coltura letteraria.
L'episodio si svolse nell'anno 1873, e dal punto di vistaprobativo, esso appare incontestabilmente genuino. I particolaricon cui si estrinsecò tale serie di sedute risultano moltointeressanti, ma sono anche assai noti – specialmente peropera dell'Aksakof – e non è il caso di ricordarli.L'origine supernormale del dettato medianico venne alternativamenteaffermata e negata da numerosi commentatori, i quali lo fecerovalendosi ugualmente, ed altrettanto efficacemente, dell'analisicomparata tra le duesezioni – autentica e postuma – delromanzo in questione.
I partigiani della soluzione puramente subcosciente dell'enigma,si adoperano sopratutto a rilevare e commentare le deficienze e leincoerenze d'ordine generale. Così, ad esempio, Mad. Fairbanksfarilevare che nelle carte postume di Carlo Dickens fu rinvenutauna scena anticipatamente scritta per la seconda parte del romanzo,scena che non venne riprodotta nella dettatura medianica. –Mrs. Vesel osserva a sua volta che leggendo questa seconda sezionepostuma del romanzo in esame, trovò per la prima volta ilDickens monotono e pesante.