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La Bibbia è il libro di gran lunga più sopravvalutato della letteratura mondiale, e Gesù di Nazaret il personaggio più sopravvalutato della storia del mondo. Con queste tesi l'autore, egli stesso dottore di ricerca in teologia, indaga la religione mondiale del cristianesimo predominante in Europa. In forma ben leggibile, e non senza ironia, ci si chiede se la Bibbia sia effettivamente un libro buono ed eticamente prezioso – come le Chiese continuano a sostenere –, oppure se nell'Antico Testamento non domini piuttosto un collerico Dio della guerra, e se il Nuovo Testamento non annunci per la fine dei tempi l'annientamento di tutti i miscredenti. "Chi crede ed è battezzato, sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato." (Mc 16,16) Le Chiese si richiamano con buon diritto a quel Gesù di Nazaret che esse annunciano come figlio di Dio? Da lungo tempo, oramai, la ricerca scientifica ha accertato che il Gesù storico era persona del tutto diversa e che non aveva quasi nulla in comune col Gesù predicato dalle Chiese. Nella storia del mondo, insomma, il Cristianesimo viaggia senza un biglietto valido. Questo libro si rivolge tanto a quei credenti e seguaci delle Chiese, che tuttavia non temono di conoscere e affrontare anche realtà sgradevoli, quanto a persone lontane dalla Chiesa, le quali da sempre sospettano che nel cristianesimo c'è qualcosa che non quadra.
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Seitenzahl: 679
Heinz-Werner Kubitza
L’illusione di Gesù
Heinz-Werner Kubitza
L’illusione di Gesù
Come i cristiani si sono creati i loro Dio
La demitizzazione d’una religione mondiale grazie alla ricerca scientifica
Tradotto da Luciano Franceschetti
Tectum Verlag
Sull’Autore: Heinz-Werner Kubitza è da quasi vent’anni proprietario della casa editrice scientifica Tectum di Marburg, nel land dell’Assia. Ha studiato teologia evangelica a Francoforte, Tubinga, Bonn e Marburgo, dove si è pure laureato. Fin dai primi anni di studio si è occupato intensamente del problema del Gesù della storia, spiando teologicamente, per così dire, dietro le quinte. Contemporaneamente, a titolo onorario, è stato per molti anni attivo presso diverse comunità ecclesiali, per cui ha acquisito anche molta familiarità con l’indole psichica delle persone credenti. Kubitza è membro promotore della fondazione Giordano Bruno Stiftung, che anche in Germania lotta per la diffusione del pensiero illuministico e di un’etica umanistica.
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ISBN 978-3-8288-4401-8 (Print)
ISBN 978-3-8288-7395-7 (ePDF)
ISBN 978-3-8288-7396-4 (ePub)
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ISBN 978-3-8288-7396-4 (ePub)
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Kubitza, Heinz-Werner
L’illusione di Gesù
Come i cristiani si sono creati i loro Dio
La demitizzazione d’una religione mondiale grazie alla ricerca scientifica
Traduzione: Luciano Franceschetti
440 pp.
Includes bibliographic references
ISBN 978-3-8288-4401-8 (Print)
978-3-8288-7395-7 (ePDF)
978-3-8288-7396-4 (ePub)
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Indice
Prefazione
1. Il Dio penoso dell’Antico Testamento
Yahvé/Geova: dio della guerra e della violenza
Accozzaglia di storie nell’Antico Testamento
Carriera d’un Dio: parte prima
L’Antico Testamento: un deficit etico
2. Il Dio discutibile del Nuovo Testamento
Carriera di un Dio: parte seconda
Un Dio può mutarsi?
Gesù: un fondamentalista religioso?
Dubbi e sospetti in Paolo
Gli orrori dell’Apocalisse
Quale Dio ne esce alla fine?
3. Gesù di Nazaret: un figlio di Dio demistificato
Il silenzio delle fonti
La lunga marcia verso i Vangeli
La teoria delle due fonti
Il disinteresse di Paolo
Fonti dubbie su Gesù: i Vangeli
Pie frodi perpetrate “per la maggior gloria di Dio”
Giovanni: un vangelo intero come poesia devota
Ricerche vecchie e nuove sulla “vita di Gesù”
Origine e discendenza di Gesù
L’aspetto fisico di Gesù
Le leggende sulla nascita
Gesù, alunno di Giovanni il Battista?
Il battesimo di Gesù ad opera di Giovanni
L’errore cardinale di Gesù: il Regno di Dio non arrivò
L’annuncio del Regno di Dio fatto da Gesù
Il ruolo di Gesù nel Regno di Dio
Fatti penosi: la vana attesa dei primi cristiani
Gesù non voleva missioni nel mondo
Gesù taumaturgo ed esorcista
Sono possibili i miracoli?
L’insegnamento di Gesù era davvero nuovo?
Positività nell’insegnamento di Gesù
Ambiguità nell’annuncio gesuano
Ridda di contraddizioni – Conclusioni sull’etica di Gesù
L’esecuzione capitale di Gesù
La reinterpretazione della sconfitta sulla croce
Idealizzazioni nei Vangeli
Chi è colpevole della morte di Gesù? – I prodromi dell’odio cristiano per gli Ebrei
Insensatezze nel processo di Gesù
Perché Gesù venne ucciso?
Altre figure inquiete intorno a Gesù
Le leggende sulla resurrezione
Ipotesi sul miracolo cardinale del cristianesimo
Contraddizioni nel tramandare la resurrezione di Gesù
Apparizioni di un redivivo
“Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede”
Ma chi fu Gesù nella realtà?
Chi si credette di essere realmente? – La coscienza che Gesù ebbe di sé
La progressiva divinizzazione dell’uomo Gesù
Il Cristianesimo come errore nella storia del mondo: un bilancio interlocutorio
4. Nella foresta magica dei dogmi: le dottrine fondamentali del cristianesimo
Vero Dio e vero uomo: contraddizioni concepite come superiore saggezza
La divina Trinità
Una cruenta redenzione sulla croce
Un’immagine distorta del mondo e dell’uomo
La derivazione mitologica del peccato
Il peccato al servizio della Chiesa
Miserie e deficienze nella concezione dell’uomo
Diffamazione della donna
Celibato e svalutazione del matrimonio
Spiegazioni mitologiche del mondo
L’Inferno
Purgatorio
Abolizione del Limbo
Diavoli, demoni ed esorcismi
Gli angeli
Devozione mariana
La fraintesa madre di Dio
Nascita da una vergine
Glorificazione di Maria – Svalutazione della donna
Credenza nella Bibbia e fondamentalismo biblico
Cristianesimo come ideologia ed esoterismo
Religione è ideologia
Fede è superstizione
Religione ed esoterismo
Preghiere
5. Alla ricerca dei valori cristiani
Del valore e disvalore dei dieci Comandamenti
Parole obbrobriose della Bibbia
Fede, speranza e carità sono davvero virtù?
Gesù, un modello discutibile
Da dove nascono realmente i nostri valori?
A che serve ancora il Cristianesimo?
Carriera di un Dio – ultima parte (in luogo d’una postfazione)
Bibliografia
Prefazione
La Bibbia è, in assoluto, il libro più sopravvalutato della letteratura mondiale. Poiché essa contiene gli scritti fondamentali della religione fino ad oggi ancora maggioritaria nel mondo, venendo per di più stampata e diffusa in grandi tirature in quasi tutte le lingue, ebbene, persino coloro che non sono vicini alle Chiese riconoscono a questo libro una certa qualità di contenuti. La Bibbia si avvantaggia, inoltre, d’un consolidato culto per la classicità, che impone sempre rispetto anche a coloro che non sono affatto cristiani. Essa viene lodata in ogni caso, sebbene i più non l’abbiano mai letta. In ogni modo, un’efficacia storica l’ha avuta senza alcun dubbio.
Efficacia storica, tuttavia, non significa sempre anche qualità di contenuti. Pertanto, è una diceria che perdura ostinata, quella secondo cui la Bibbia sarebbe una lettura preziosa: che in essa si riverberi non soltanto la fede, ma anche una morale superiore, un ethos elevato, che essa trasmetta orientamento e coerenza di significati, e che possa pertanto essere raccomandata, in particolar modo agli adolescenti.
Tutto questo è falso o, quantomeno, nel mondo d’oggi non è più così. Negli scritti del Testamento Antico e Nuovo, abbiamo a che fare con testi antichi, che non solo non hanno più nulla da spartire col nostro tempo e con la nostra società, ma che, in innumerevoli passi, contrastano coi princìpi elementari di ordinamenti sociali e giuridici ormai moderni e liberali. Molti modelli comportamentali e molte premesse della Bibbia sono in gran parte diventati inutili, inservibili per l’uomo moderno; di più, la Bibbia rivela in molti luoghi, in maniera addirittura esemplare, come non si dovrebbe agire. Del che non si può nemmeno far carico ad essa. Perché la Bibbia è un relitto di epoche diverse, il rimasuglio di un’epoca e di un paradigma che, a buon diritto, appartiene alle macerie della storia. Alla fondazione di questa tesi sono dedicati i primi capitoli di questo libro, che lasciano correre lo sguardo su diversi aspetti reconditi, su cose spaventose e assurde disseminate nelle Sacre Scritture della cristianità.
In passato, il prestigio e l’influsso delle Chiese sono stati molto più grandi. Nei prossimi dieci o venti anni, le persone aconfessionali saranno in maggioranza rispetto ai fedeli delle due grandi Chiese egemoni in Germania. Sebbene esse si mostrino sempre più umane e compassionevoli, come di rado nella loro storia, i fedeli le stanno abbandonando. Al contrario, la figura di Gesù, loro presunto fondatore, gode d’una simpatia inalterata, persino da parte di anticlericali dichiarati o di seguaci della subcultura esoterica. “Gesù sì, Chiesa no!”: con questo breve slogan si può sintetizzare l’atteggiamento di molti credenti contemporanei. Ecco quindi Gesù visto come uomo onesto e sincero, forte di una buona novella, la cui morte violenta per mano dei potenti può suscitare sincera partecipazione anche nei non cristiani.
Ma il suo messaggio fu realmente così buono? E’ davvero un modello appropriato, addirittura valido in quanto Dio da adorare? La ricerca storica è largamente unanime sul fatto che Gesù – così come le Chiese lo annunciano e come parzialmente è annunciato già nella Bibbia – non è mai neppure esistito. Come la Bibbia è il libro più sopravvalutato della letteratura mondiale, allo stesso modo Gesù potrebbe essere il personaggio più sopravvalutato della storia del mondo. Chi fosse Gesù realmente, e ciò che, secondo la scienza, oggi si può dire responsabilmente su di lui, sarà descritto in un capitolo centrale che lo riguarda. Ciò facendo, lo sguardo dovrà essere liberato pure sulle limitatezze e sugli abissi di questo predicatore ambulante in Galilea. I risultati non sono sempre gradevoli, né per i credenti né per i suoi ammiratori profani. Non tutti vorrebbero apprendere questi fatti con tanta precisione.
Che ne ha fatto la Chiesa, dell’insegnamento di Gesù? Esso ha mai giocato un ruolo determinante nell’edificazione della Chiesa e dei suoi dogmi? La Chiesa ha avuto qualche riguardo nei suoi confronti? Oppure le è toccato, nella rappresentazione dell’opera teologica, nulla più che il ruolo del portinaio? Alle domande riguardanti i dogmi della Chiesa, si risponderà dopo i capitoli relativi a Gesù, anche qui con esiti interessanti.
Nella conclusione, andremo alla ricerca dei valori cristiani che, non da ultimo, vengono evocati senza tregua da tanti esponenti politici nei rituali sermoni della domenica. Anche ogni non politico, comunque, crede di sapere ciò che si intende con essi; sennonché definire con precisione i valori cristiani riesce tanto più difficile quanto più precisamente li si esamina … analogamente ad una Fata Morgana, che svanisce tanto più nettamente quanto più la si vuole esaminare da vicino. In realtà, molte cose che costituiscono una collettività moderna, non hanno assolutamente nulla da spartire con “radici” o premesse cristiane. Anzi, possiamo addirittura rallegrarci del fatto che la nostra società non poggi per niente su quei fondamenti biblici o cristiani tanto spesso evocati. Per queste ragioni, anche come fonte dell’etica e come base per una società moderna, il Cristianesimo viene sovrastimato in misura eccessiva.
Questo libro si propone di illuminare criticamente i fondamenti e le impronte del paradigma cristiano che – per oltre 1500 anni – ha determinato la storia dell’Occidente. E mette così in evidenza la pressoché totale divergenza e alterità delle dottrine delle Chiese cristiane da quella a cui codeste Chiese falsamente fanno riferimento. La ricerca scientifica – e in particolare l’esplorazione del Nuovo Testamento con metodologia scientifica – ha documentato l’inattendibilità dei fondamenti del Cristianesimo in misura ampia e più che sufficiente. In linea di principio, la verità del Cristianesimo non è più una questione di fede: non è nulla per cui si possa prendere una decisione responsabile. Infatti, ancora prima della dogmatica in cui bisogna credere, il Cristianesimo è caduto ormai attraverso l’esame preliminare della storia.
La ricerca storica ha risolto il problema della verità del Cristianesimo in termini più efficaci e durevoli di quanto intere biblioteche di dogmatici abbiano mai saputo fare. Oramai, non si pone assolutamente più la questione della decisione, bensì solo il quesito se si sia personalmente disposti ad accettare questi risultati, oppure a chiudere gli occhi davanti ad essi. Sul piano intellettuale, il paradigma cristiano può essere considerato, responsabilmente, come liquidato; e la questione della sua verità considerata chiusa, risolta ormai in senso negativo. Il che vale anche senza curarsi più di tanto del fatto che il Cristianesimo stesso sussisterà sicuramente ancora per secoli; allo stesso modo in cui, nell’antichità, il mondo degli dèi germanici e romani perdurò e sopravvisse ancora per secoli, anche dopo il trionfo del cristianesimo.
Nella realtà, nonostante l’orario di chiusura per le religioni sia scaduto, i clienti abituali non si lasciano mettere alla porta così facilmente, neanche dall’oste più abile. Quali potenze sociologiche e istituzionali di prima grandezza, le Chiese hanno radici profonde e non vogliono più andarsene, sfoggiando una forza d’inerzia da non sottovalutare. E’ noto che i fedeli vogliono credere, essendo difficilmente disponibili ad ascoltare argomenti in questo settore per loro esistenziale. Ciò nondimeno, oppure proprio per questo, le argomentazioni critiche non sono fatiche inutili, sprecate a priori, bensì contributi tanto più necessari.
Questo libro si rivolge quindi, in ugual misura, a membri ed amici delle Chiese cristiane, che non temono di confrontarsi con modi di pensare idonei ad indagare criticamente i loro presupposti di vita e di fede, mettendoli magari in discussione. Esso può aprire loro nuove prospettive e condurli ad una migliore conoscenza del mondo reale, ma potrebbe anche far apparire insipide e discutibili le consuete connessioni, avvertite ormai come sgradevoli. Le sentiranno meno edificanti, ma in compenso, si spera, tanto più idonee ad ampliare la conoscenza. In egual misura, questo libro si rivolge anche ai critici del cristianesimo, nonché a quelli che da sempre hanno nutrito il sospetto che, nel mondo cristiano, ci fossein fondo qualcosa che non torna. Con questo libro, essi avranno la possibilità di consolidare il loro giusto sentimento in maniera argomentativa. Perché, in realtà, c’è molto da dire sul Cristianesimo realmente esistente, nonché sulle sue origini.
Questo libro si comprende, in sostanza, nel solco della migliore tradizione illuministica. Che l’Illuminismo sia un vecchio arnese, e la critica alla religione sia, nella fattispecie, un residuato dell’Ottocento, non può davvero essere concesso. Non lo sarà, quantomeno, fino a quando si continuerà a predicare il contrario, tutte le sante domeniche, dai pulpiti delle chiese. Questo libro, d’altronde, non è un contributo per un ateismo di principio. Si occupa in realtà esclusivamente del Cristianesimo in quanto religione principale di questo ambito culturale. Quella cristiana è, oltretutto, la religione che, fra tutte quelle esistenti, è stata indagata al massimo grado sul piano scientifico. Ovviamente, s’insinua fortissimo il sospetto che anche altre religioni – qualora fossero anch’esse seriamente sottoposte ad analoghe indagini scientifiche – ne uscirebbero anch’esse sprovviste d’un biglietto valido.
Per prevenire subito, qui, un possibile equivoco: il fatto che, nel titolo di questo libro, si parli di illusione, quasi di follia di Gesù, non vuol dire, naturalmente, che quando si parla di credenti si parli di “folli”, di persone squilibrate, ossessivamente o maniacalmente religiose. Si incontrano spesso, in mezzo a cristiani e dignitari delle Chiese, persone spiccatamente simpatiche e affabili. E neppure si tratta di diffamare i credenti, denigrando la loro fede. In ogni modo, già nelle persone non religiose e dotate di senso critico, si possono trovare talvolta – fenomeno assai interessante – isole di irrazionalità: basti pensare, per esempio, ai filosofi di Karlsruhe, persuasi della verità dell’omeopatia, oppure a politici che leggono regolarmente oroscopi. Scappatelle nella superstizione, che in costoro appaiono come stravaganze, sono invece costitutive per quanto riguarda i credenti: rappresentano il fondamento della loro concezione globale del mondo, costituendo un adulterio permanente contro la realtà. E’ naturale, d’altronde, che i credenti non amino essere considerati individui superstiziosi. Ciò non toglie che le Chiese e i loro dogmi (lo ha dimostrato in primo luogo la ricerca storica) costituiscano addirittura forme di irrazionalità organizzata.
Che gli piaccia o meno, i credenti devono sopportare che affermazioni come queste – che un uomo diventato figlio di Dio sia morto sulla croce per i nostri peccati, che sia risorto dai morti, e che sia parte d’una trinità divina –, vengano tirate fuori dal buio delle chiese e dai miasmi del confessionale, per essere portate alla luce, comparativamente abbagliante, della riflessione storica. La rigida ottemperanza a princìpi di fede tramandati, che si presumono sacri ed eterni, a dispetto della limpida dimostrazione del loro evolversi nella storia, l’affermazione di un mondo illusorio accanto al mondo empiricamente percepibile, addirittura l’attesa d’un Inferno pullulante di supplizi eterni, o d’un Paradiso (con o senza vergini) popolato da vite che si perpetuano dopo la morte; ebbene, tutte queste cose hanno caratteri assolutamente deliranti e paranoici.
L’autore desidera ringraziare il traduttore di questo libro, Luciano Francescetti, Padova, senza il quale questo libro non sarebbe potuto apparire.
1. Il Dio penoso dell’Antico Testamento
In prima istanza, è possibile che i non cristiani si chiedano: ma che cosa c’entro io con un vecchio Dio? E perché tanto clamore per alcuni testi antichi? Giusto; se non fosse, però, che quei testi non sono rimasti confinati nel mondo antico. Ancora oggi le Chiese non si stancano di raccomandare la lettura della Bibbia, ancora oggi i bambini vengono messi a confronto con quei testi nelle scuole e negli insegnamenti confessionali; e persone devote e fedeli clericali cercano di realizzare una vita conforme a vetusti “princìpi biblici” come modelli ideali di vita.
Eppure gli scritti biblici, nella loro immagine di Dio e dell’uomo, non si possono certo identificare coi princìpi umani e liberali. La presunta immagine positiva della Bibbia deriva soprattutto dal fatto che quei testi si conoscono solo in maniera frammentaria e superficiale. Le Chiese propongono ai credenti una versione edulcorata, una selezione di testi, che ritiene di poter offrire ai credenti soltanto quei passi che si possono facilmente digerire. Un arrosto succulento, grazie alla sua guarnizione con verdure, viene così smerciato ai credenti come piatto vegetariano. E’ il metodo della cava di pietra, applicato però non solo dalle Chiese, in maniera consapevole, ma pure dai lettori privati della Bibbia, però in maniera inconsapevole: consiste nell’enucleare, cioè, passi positivi ed edificanti da un lato, e tralasciare o filtrare, dall’altro, tutto quanto non collima con questo schema. Ed è la persona Gesù di Nazareth quella che assume significato centrale per i cristiani. Una volta compreso lui, si ritiene di aver compreso anche la Bibbia, anche il Vecchio Testamento. Di Gesù di Nazaret, sul quale c’è parecchio da dire, ci occuperemo più avanti, in questo libro, in maniera dettagliata. Prima del sedicente figlio, ci interessa intanto il presunto padre: il Dio dell’Antico Testamento.
Yahvé/Geova: dio della guerra e della violenza
Il Dio del Vecchio Testamento, a dispetto di ogni abbellimento operato dalle Chiese, ricorre in molti passaggi come dio della guerra. Yahvè/Geova è colui che guidò il popolo di Israele fuori dall’Egitto, colui dal quale essi ottennero la terra di Palestina, che dovevano prima conquistare sottraendola ai legittimi abitanti. La predilezione di Dio nei confronti di Israele si manifesta in numerose situazioni belliche. In più, questo dio Geova ha un rapporto assolutamente spregiudicato con guerra e omicidio. Guerre di aggressione e di annientamento sono non solo consentite, ma vengono addirittura da lui pretese in maniera esplicita. Scrupoli etici questo Dio sembra non conoscerne affatto; un discreto riserbo non è affar suo. Dio è il Signore Zebaoth, dio degli eserciti, coi quali le Chiese (il Signore Zebaoth viene tuttora impiegato nelle chiese) preferiscono intendere oggi “schiere celesti”, ma che nel loro significato originario connotavano schiere belligeranti. Geova era un dio di guerra.
Le guerre a cui Geova chiama a raccolta, sono poi naturalmente guerre sante; i successi in battaglia, ottenuti da Israele, sono segni della sua potenza. Egli stesso combatte a fianco del popolo. Prima della traversata del Giordano si dice:
Sappi dunque oggi che Geova, tuo Dio, passerà davanti a te come fuoco divoratore, li distruggerà e li abbatterà davanti a te. Tu li scaccerai e li distruggerai rapidamente, come Geova ti ha detto. (Deut 9,3)
La colonizzazione viene considerata come benedizione di Dio, in ugual misura, da ebrei e cristiani. Eppure, si tratta inequivocabilmente di campagne di conquista e di sterminio, qualora le si guardi con occhi moderni. In più, esse vengono legittimate religiosamente e contrassegnate da straordinaria crudeltà.
Quando ti avvicinerai a una città per attaccarla, le offrirai prima la pace. Se accetta la pace e ti apre le sue porte, tutto il popolo che vi si troverà ti sarà tributario e ti servirà. Ma se non vuol fare pace con te e vorrà la guerra, allora l’assedierai. Quando il Signore, tuo Dio, l’avrà data nelle tue mani, ne colpirai a fil di spada tutti i maschi, ma le donne, i bambini, il bestiame e quanto sarà nella città, tutto il suo bottino, li prenderai come tua preda.. Mangerai il bottino dei tuoi nemici, che il Signore, tuo Dio, ti avrà dato. Così farai per tutte le città che sono molto lontane da te e che non sono città di popolazioni a te vicine. Soltanto nelle città di questi popoli che il Signore, tuo Dio, ti dà in eredità, non lascerai in vita alcun vivente, ma li voterai allo sterminio. (Deut20,10–16)
Prima dell’ingresso degli Israeliti in Palestina, leggiamo quest’altro passo:
Quando il Signore, Dio tuo, ti avrà introdotto nella terra in cui stai per entrare per prenderne possesso, e avrà scacciato davanti a te molte nazioni […] e quando Geova, tuo Dio, le avrà messe in tuo potere e tu le avrai sconfitte, tu le voterai allo sterminio. Con esse non stringerai alcuna alleanze nei loro confronti non avrai pietà. […] Ma con loro vi comporterete in questo modo: demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri, brucerete i loro idoli nel fuoco. […] Sterminerai dunque tutti i popoli che il Signore, tuo Dio, sta per consegnarti. Il tuo occhio non ne abbia compassione, e non servire i loro dèi […]. (Deut 7, 1,2,5,17)
L’Antico Testamento è pieno di passi analoghi, in cui Geova chiama il suo popolo alla guerra e allo sterminio. E l’ubbidienza del popolo si mostra proprio nel fatto che esso traduce in azione quella divina sete di sangue.
E Geova parlò a Mosè e disse: Compi la vendetta degli Israeliti contro i Madianiti […] Marciarono dunque contro Madiam, come Geova aveva ordinato a Mosè, e uccisero tutti i maschi […] Gli Israeliti fecero prigioniere le donne di Madiam e i loro fanciulli e catturarono come bottino tutto il loro bestiame, tutte le loro greggi e ogni loro bene, appiccarono il fuoco a tutte le città e a tutti i loro recinti […] Mosè: avete lasciato in vita tutte le femmine? […] Ora uccidete ogni maschio tra i fanciulli e uccidete ogni donna che si è unita con un uomo; ma tutte le fanciulle che non si sono unite con uomini, conservatele in vita per voi. (Num 31, 1–2,7–10,15–18)
Eroi religiosi come Mosè e Giosuè si rivelano, nella comprensione moderna, come criminali di guerra che, nella follia religiosa, vedono se stessi come strumento del loro Dio. Mosè può cantare:
Inebrierò di sangue le mie frecce, si pascerà di carne la mia spada, del sangue dei cadaveri e dei prigionieri, delle teste dei condottieri nemici! (Deut 32,42)
E’ incomprensibile come la Bibbia, nonostante fantasie di violenza talmente sfrenate, venga considerata pur sempre come un’istanza morale, e che certi genitori devoti ne consiglino ancora la lettura ai loro figli. Eroi religiosi, infatti, possono facilmente impedire la formazione di un’etica umana. Nel suo libro “L’illusione di Dio” (p. 252, Mondadori 2007) Richard Dawkins racconta di un esperimento condotto in Israele con più di 1000 studenti di età compresa tra otto e quattordici anni, ai quali era stata letta la descrizione della battaglia di Gerico:
Alla settima volta i sacerdoti diedero fiato alle trombe, e Giosuè disse al popolo: Lanciate il grido di guerra, perché il Signore vi consegna la città!. Questa città, con quanto vi è in essa, sarà votata allo sterminio per il Signore. […] Tutto l’argento e l’oro e gli oggetti di bronzo e di ferro sono consacrati al Signore; devono entrare nel tesoro del Signore”. Il popolo lanciò il grido di guerra e suonarono le trombe. Come il popolo udì il suono della tromba e lanciò un grande grido di guerra, le mura della città crollarono su se stesse; il popolo salì verso la città, ciascuno diritto davanti a sé, e si impadronirono della città. Votarono allo sterminio tutto quanto c’era in città; uomini e donne, giovani e vecchi, buoi, pecore e asini, tutto passarono a fil di spada […] Incendiarono poi la città e quanto vi era dentro. Destinarono però l’argento, l’oro e gli oggetti di bronzo e di ferro al tesoro del tempio del Signore. (Giosuè, 6,16–24)
Dopodiché fu posto ai ragazzi il quesito, se Giosuè e gli Israeliti avessero agito giustamente oppure no. Due terzi dei ragazzini trovarono giusto quel comportamento. Perché? Perché Dio l’aveva ordinato, eppoi gli abitanti di Gerico avevano una religione diversa, fu la risposta che i giovani diedero come motivazione. Per gli studenti israeliani, Giosuè è semplicemente un eroe popolare, e questo glielo ha inculcato la loro religione. Le sue gesta sono pertanto non solo giustificate, ma persino giuste. Interessante è il risultato d’un gruppo di controllo. Con 168 studenti israeliani viene sostituito il nome Giosuè col nome General Lin, e il nome Israele con la dicitura un regno cinese di 3000 anni fa. Potete forse immaginarvi il risultato? Solo il 7% giudicarono buona la condotta del Generale Lin, mentre il 75% la condannò recisamente.
Molte storie dell’Antico Testamento, viste da una prospettiva etica, sono più che inquietanti. Nel libro della Genesi, 22, Abramo dovrebbe sacrificare suo figlio Isacco, perché Dio, come si legge, vuole metterlo alla prova. Abramo è ben deciso ad ubbidire, e solo nel momento conclusivo Dio spiega l’evento quasi come un pesce d’aprile divino. Questo racconto, d’una realtà religiosamente perversa, viene nondimeno valutato nelle chiese come prova di grande vigore nella fede. Ma un padre disposto a macellare il proprio figlio in ottemperanza ad un comando religioso, dovrebbe davvero rappresentare un modello? O non si incarnano in ciò, piuttosto, fanatismo e follia religiosa? Eppure, anche una storia di questo genere viene ritenuta di norma alla portata delle menti infantili.
La sorella di Jefte, d’altro canto, ebbe meno fortuna (Giudici11, 28–40). Suo padre aveva giurato, in caso di vittoria contro gli Ammoniti, di sacrificare la prima cosa in cui si fosse imbattuto in casa. E questa fu però la sua amata figlia. Egli si dispera e si lagna, eppure non vuole mancare di parola: la figlia deve morire. Dunque, Jefte è anche lui un eroe della fede? O non è piuttosto un fanatico religioso che non arretra nemmeno di fronte all’infanticidio? Che Dio è questo che pretende vittime siffatte, e che individui sono questi, pronti a fare sacrifici del genere?
Col diluvio universale, questo Dio fa sparire senz’altro l’umanità tutt’intera. Naturalmente, ciò non è mai accaduto; gli Israeliti si servono qui, in maniera dimostrabile, di elementi scenici desunti dalla mitologia babilonese. Tuttavia, quale immagine divina viene fuori da questo devoto racconto? Noè e la sua arca sono ancora oggi, nelle scuole d’infanzia cristiane, soggetti di facili e pratiche applicazioni per pomeriggi di gioco e di passatempi. Un genocidio come gioco d’infanzia? E la colomba un reale simbolo di speranza? Dopo che il resto del mondo è stato affogato proprio dal suo creatore?
Preoccupanti, inoltre, le minacce totalmente camuffate e i castighi minacciati per il caso che Israele non ubbidisca. Nell’Antico Testamento, la sottomissione totale, da schiavi, sembra essere la virtù suprema.
Ma se non obbedirai alla voce di Geova, tuo Dio, […] verranno su di te e ti colpiranno tutte queste maledizioni: sarai maledetto nella città e maledetto nella campagna. […] Maledetto sarà il frutto del tuo grembo e il frutto del tuo suolo, sia i parti delle tue vacche sia i nati delle tue pecore. […] Il Signore ti attaccherà la peste, finché essa non ti abbia eliminato dal paese […] Il Signore ti colpirà con la consunzione, con la febbre, con l’infiammazione, con l’arsura, con la siccità […] Il tuo cadavere diventerà pasto di tutti gli uccelli del cielo e degli animali della terra […] Il Signore ti colpirà con le ulcere d’Egitto, con bubboni, scabbia e pruriti, da cui non potrai guarire. Il Signore ti colpirà di delirio, di cecità e di pazzia. (Deut 28,15–28)
In queste massime, per la verità, sembra manifestarsi una certa alienazione mentale. Naturalmente, minacce talmente primitive non possono essere per davvero discorsi d’una divinità. A nessun Dio si dovrebbe imputare un livello così infimo. Tutte queste calamità altro non sono che invettive inventate e gesti intimidatori di circoli interessati, prodotti senza dubbio, in massima parte, dalla classe sacerdotale dominante. Anche questo, tuttavia, non ha molta rilevanza; essi attaccano spesso con l’introduzione Così parla Dio (co amar Jahwe), ed intendono pesare come parola di Dio. E non v’è dubbio che perlopiù come tali si siano considerati, e che lettori bigotti della Bibbia, (oltre che un cattolicesimo integrale, non intaccato dall’Illuminismo), tali li considerino ancora oggi. Da respingere totalmente, in ogni modo, sono l’immagine divina e le massime etiche che qui si trasmettono. E che si contrappongono in maniera estrema, assolutamente antitetica, ai valori del nostro ordinamento sociale. La Bibbia mostra, in buona sostanza, come non si debba agire in nessun modo.
Prima dell’uscita dall’Egitto, questo Dio fa annunciare per bocca di Mosè:
Così dice il Signore: Verso la metà della notte io uscirò attraverso l’Egitto: morirà ogni primogenito nella terra d’Egitto, dal primogenito del Faraone che siede sul trono, fino al primogenito della schiava che sta dietro la mola, e ogni primogenito del bestiame.” (Esodo 11,4–6)
Alla sua minacce, Geova fa seguire i fatti, tormentando ancora gli Egiziani con una serie di nuove piaghe. Anche qui va pur detto: non è che ciò sia accaduto realmente; gli storici sono infatti d’accordo che si tratta di successivi abbellimenti d’un evento molto più prosaico, quando non sia stato poi inventato di sana pianta. Decisiva, anche qui, l’immagine d’un Dio macellaio, per il quale è palese come qualsiasi mezzo serva allo scopo.
Corre e ricorre senza tregua la ferocia sadistica di Geova, che manda fuoco e inondazioni, che divora le nazioni, e poi addenta le loro ossa (Num 24,8), che ordina la carneficina di donne e bambini, che impegna i suoi amici finché non sia distrutto e cancellato (Deut 28,61), qualora il popolo non ubbidisca. Sotto tali invettive, per i popoli stranieri non resta in pratica alcuna possibilità di crescita. Nel profeta Isaia, negli “Oracoli contro le nazioni”, riferendosi al castigo di Babilonia, si dice:
Il Signore degli eserciti passa in rassegna
un esercito di guerra […]
Urlate, perché è vicino il giorno del Signore […]
Ecco, il giorno del Signore arriva implacabile,
con sdegno, ira e furore,
per fare della terra un deserto per sterminare i peccatori. […]
Quanti saranno trovati, saranno trafitti,
quanti saranno presi, periranno di spada.
I loro piccoli saranno sfracellati davanti ai loro occhi;
saranno saccheggiate le case,
violentate le loro mogli.
Ecco, io suscito contro di loro i Medi […]
Con i loro archi abbatteranno i giovani,
non avranno pietà del frutto del ventre,
i loro occhi non avranno pietà dei bambini.”
(Isaia 13,4–18)
I Medi devono essere sfruttati perché Israele non è più in grado di difendersi contro il regno dei Babilonesi, superiore non solo militarmente, ma anche sul piano culturale. Per il resto, anche i Medi, che Geova chiama alle armi, non hanno potuto cambiare nulla dell’egemonia dei Babilonesi. Sogni di ambienti sacerdotali!
Particolarmente perfida è la costruzione secondo cui Geova stesso indurisce popoli e uomini, al punto che questi subiranno la punizione.
Ma Sichon, re di Chesbon, non volle lasciarci passare, perché Geova, tuo Dio, gli aveva reso inflessibile lo spirito e ostinato il cuore, per metterlo nelle tue mani, come appunto è oggi. (Deut 2,30)
L’azione e i comportamenti di Geova si riscontrano anche in altre azioni belliche. Riguardo agli Egiziani così si dice nel profeta Isaia:
Aizzerò gli Egiziani contro gli Egiziani:
combatterà ognuno contro il proprio fratello,
ognuno contro il proprio prossimo,
città contro città e regno contro regno.
(Isaia 19,2)
L’intenzione non è tanto gentile. Verso i credenti di altre fedi, d’altronde, non c’è mai molta simpatia. E si ripetono proclami e appelli a distruggere luoghi di culto stranieri. Nel cosiddetto Decalogo cultuale si legge:
“Guardati bene dal far alleanza con gli abitanti della terra nella quale stai per entrare, perché ciò non diventi una trappola in mezzo a te. Anzi distruggerete i loro altari, farete a pezzi le loro stele e taglierete i loro pali sacri. Tu non devi prostrarti ad altro dio, perché il Signore si chiama “Geloso”: egli è infatti un Dio geloso.” (Esodo 34,12–14)
Anche questo, per la verità, non è un contributo molto significativo al dialogo interreligioso. Per significare la tolleranza, nella lingua ebraica, non esisteva ancora la parola. I seguaci di altri culti vengono perseguitati e uccisi, l’uccisione di sacerdoti di Baal è ricordata con parole di elogio. Ma anche chi, nella propria gente, vuole servire divinità straniere, quindi si discosta dalla linea religiosa, dev’essere punito, indubbiamente con la pena di morte. Il che vale anche per consanguinei e parenti, come si inculca in forma assai persuasiva:
Qualora il tuo fratello […] o il figlio o la figlia, o la moglie che riposa sul tuo petto, o l’amico che è come te stesso, ti istighi in segreto dicendo: Andiamo, serviamo altri dèi, dèi che né tu né tuo padre avete conosciuto, […] tu non dargli retta, non ascoltarlo. Il tuo occhio non ne abbia compassione: non risparmiarlo, non coprire la sua colpa. Tu anzi devi ucciderlo: la tua mano sia la prima contro di lui per metterlo a morte […] Lapidalo e muoia, perché ha cercato di trascinarti lontano dal Signore, tuo Dio […] (Deut 13,7 11)
Ebbene, non è soltanto per l’istigazione alla delazione che qui si ridesta la memoria a brutti capitoli della recente storia tedesca. Dopo l’adorazione del vitello d’oro, Mosè sostiene che la reazione non deve restare nella teoria:
Mosè disse loro: Dice il Signore, il Dio d’Israele: “Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell’accampamento da una porta all’altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio vicino.” I figli di Levi agirono secondo il comando di Mosè e in quel giorno perirono circa tremila uomini del popolo. Allora Mosè disse: Ricevete oggi l’investitura dal Signore; ciascuno di voi è stato contro suo figlio e contro suo fratello, perché oggi egli vi accordasse benedizione. (Esodo 32,27–29)
Non uccidere il tuo prossimo? Questa pare di averla già udita in modi diversi. Si percepisce quanto questi testi antichi siano lontani dai nostri princìpi etici, e quanto abissalmente si allarghi qui il fossato della storia. E si comprende l’esigenza che testi siffatti non abbiano più nulla da dire ad una società libera e tollerante. Staranno bene nell’armadio dei veleni della storia, ma in nessun caso, oggi, nelle mani dei fanciulli. E’ oramai un segno di religiosa deformazione; sono i casi in cui persone credenti non avvertono più il profondissimo carattere disumano di passi siffatti. Non è solo l’amore a rendere ciechi.
Lontano da ideali di tolleranza e umanità è anche la pena di morte che il Dio biblico decreta personalmente per trasgressioni relativamente veniali. Una raccapricciante elencazione di esse si trova nel libro di Franz Buggle Denn sie wissen nicht was sie glauben//Poiché non sanno quello che credono//, che presenta una visione globale sui momenti disumani e spregiatori dell’umanità ricorrenti nell’Antico e nel Nuovo Testamento, guardando non solo alla pena capitale. Tra le colpe che meriterebbero la morte rientrano non soltanto l’omicidio (solo per i connazionali!) e l’apostasia religiosa, bensì anche adulterio (quello della donna, in ogni caso), la divinazione, l’accoppiamento durante le mestruazioni e la sodomia. Meritevoli di morte si consideravano inoltre raccogliere legna da ardere nel sabato, il consumo di pani lievitati nella festa pasquale, il consumo di alcool del sacerdote prima della liturgia, ma anche mangiare carne vecchia più di tre giorni. Meritava la morte anche il contatto col monte Sinai e lo scorretto abbigliamento del sommo sacerdote nel tempio. Con la morte si doveva altresì punire il rapporto sessuale prima del matrimonio, il silenzio d’una fidanzata durante uno stupro e, manco a dirlo, l’omosessualità. Anche figli che si mostrassero schivi o riottosi potevano essere lapidati (cfr. Buggle, op.cit., p. 94 ss.).
Stessero tali precetti negli scritti di popoli sconosciuti, li si guarderebbe a buon diritto come primitivi (nel senso assolutamente negativo del termine). A questa Bibbia, per contro, credenti e Chiese accreditano pur sempre competenza e rilevanza in fatto di etica. E non si deve pensare che i passi spregiativi dell’umanità siano soltanto eccezioni. Il teologo conservatore e gesuita Raymund Schwagerconstata:
I passi che parlano d’un esplicito ordine di uccidere da parte di Dio sono molto numerosi. Oltre a circa mille versetti in cui Geova appare in prima persona come diretto esecutore di violente azioni punitive, e oltre a molti testi, secondo i quali il Signore abbandona i malfattori alla spada dei vendicatori, vi sono oltre cento episodi in cui Geova ordina espressamente di uccidere. Stando a questi ordini, non è lui stesso ad uccidere, è vero, in maniera tale che la sua figura passa in seconda linea. Eppure è lui che comanda di cancellare la vita umana, è lui ad immolare il suo popolo come bestiame da macello, e che aizza uomini contro altri uomini. (Raymund Schwager, Brauchen wir einen Sündenbock? Gewalt und Erlösung in den biblischen Schriften, S. 70// Abbiamo bisogno d’un capro espiatorio? Violenza e redenzione negli scritti biblici //; l’opera intera è disponibile online)
L’Antico Testamento è un documento di estremismo religioso, di apoteosi della violenza e dell’intolleranza. E’ impregnato di razzismo, intriso di disprezzo per chi pensa diversamente, improntato da perverse fantasie punitive e imbevuto di un’etica arcaica e retriva. “I vecchi libri ebraici, così acciabattati, presentano un Dio provinciale, di umore tetro, inesorabile e sanguinario, che metteva paura al massimo grado ogniqualvolta era di umore buono: la classica caratteristica del dittatore.” (Christopher Hitchens, Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa/ Der Herr ist keinHirte, p. 215, trad.it. Dio non è grande, Einaudi 2007)
Nel nostro mondo culturale, tuttavia, ci si è abituati a leggere l’Antico Testamento alla luce del Nuovo, interpretando appunto il Dio veterotestamentario secondo l’ottica del Nuovo. E il Dio neotestamentario viene percepito, almeno in prima battuta, come un Dio dell’amore, come padre di Gesù Cristo. Passaggi nell’Antico Testamento che non corrispondono a questa prospettiva, vengono inconsapevolmente ignorati o aggirati, e non ricorrono certamente nei cicli omiletici delle varie Chiese. Disumanità e dispregio dell’umano si trovano tuttavia anche in persone altamente apprezzate nella predicazione, oltre che in parti della Bibbia che godono per principio di alta considerazione.
Il re Davide, il più importante sovrano di Israele e di Giuda (sebbene il suo impero non fosse più grande della regione federale dell’Assia), viene onorato come eroe della fede fino alla nostra epoca, e molti salmi vengono (falsamente) attribuiti a lui. Prima del suo regno, però, Davide fu per sedici mesi – come si può leggere nella Bibbia (1 Salmi 27,1–12) – una specie di capo di bande armate presso i Filistei, in quell’epoca i più pericolosi nemici di Israele. In tale ruolo, Davide invase la regione, non lasciando anima viva dietro di sé. Solo in seguito avrebbe invertito le parti, combattendo contro i suoi ex protettori. Perché i Filistei gli avevano concesso protezione davanti al suo oppositore Saul. Davide sposò in seguito la sorella di Saul, impegnandosi in cambio a donare a Saul i prepuzi di 100 filistei (!). Per i suoceri, oggi, si consiglia piuttosto una cesta di vini … Davide fa senz’altro la festa a duecento filistei.
In quanto re, Davide muove guerra quasi ininterrotta a quasi tutti i popoli e le tribù limitrofe:
Ho inseguito i miei nemici e li ho distrutti,
Non sono tornato senza averli annientati.
(2 Sam 22–38)
Gli abitanti catturati di Rabbà, città degli Ammoniti, Davide “li impiegò alle seghe, ai picconi di ferro e alle asce di ferro e li trasferì alle fornaci da mattoni; allo stesso modo trattò tutte le città degli Ammoniti.” (2 Sam 12,31)
Com’è facile intuire, l’idea di bruciare corpi umani nei forni di mattoni, dopo la Seconda Guerra mondiale, è stata penosa a tal punto, per la Chiesa evangelica, da indurla – in contrasto con la classica traduzione di Martin Lutero – a cambiare il testo in “li fece lavorare nelle fabbriche di mattoni” (Karlheinz Deschner, Storia criminaledel Cristianesimo, tr.it. vol.I. p. 86). Nel primo Libro di Samuele, 6,19, si racconta che Davide aveva fatto uccidere 50.700 persone solo perché avevano gettato uno sguardo furtivo sull’arca dell’Alleanza. Anche qui, dalla versione di Lutero, la EKD [Chiesa Evangelica di Germania NdT] ha ricavato niente più che un “numero discreto di settanta uomini” (Deschner, ibidem, p. 88)
Naturalmente, si potrà pure ipotizzare che anche le atrocità furono esagerate in molti passaggi. Nella realtà, un capopopolo appariva allora tanto più potente quanto più era spietato. Tuttavia, indipendentemente dagli effettivi avvenimenti storici: quale arretrato livello etico si manifesta qui, per l’ennesima volta? A causa della loro vivacità, anche le storie di Davide vengono volentieri messe in scena nelle scuole cristiane dell’infanzia. Ma noi, non abbiamo proprio nulla di meglio da proporre ai nostri bambini?
Malgrado tutte le gesta violente: in un canto di ringraziamento, Davide si gloria e vanta oltre misura, in quanto vede se stesso, pur con tutto quello spargimento di sangue, in sintonia con il volere di Dio.
Il Signore è la mia roccia, la mia roccaforte e il mio salvatore; Dio è la mia rocca, nella quale mi nascondo, la mia insegna e il corno della mia salvezza, la mia sicura fortezza e il mio rifugio, il mio salvatore, che mi libera da ogni violenza! (1 Sam 22,2–3)
Quando un condottiero può parlare in questo tono (nonostante che il salmo non sia attribuibile a Davide), e l’intero capitolo si mantiene su questa tonalità, ecco che i credenti sono ben disposti a non guardare troppo per il sottile alle sue gesta. Anche Geova esalta appositamente Davide, in quanto egli ha fatto ciò che a lui è piaciuto. Certo, bisogna liberarsi completamente dal pensiero che l’Antico Testamento intenda ciò in qualche modo spiritualmente, oppure in senso traslato. L’assassinio viene giudicato positivamente, solo che avvenga in buona fede. Non diversamente l’hanno vista pure i terroristi islamici dell’11 Settembre 2001.
L’infelice Saul, primo re d’Israele e predecessore di Davide, era stato in principio anch’egli un prediletto di Geova. Il quale, riguardo al precedente profeta Samuele, gli aveva comandato:
Va’, dunque, e colpisci Amalèk, e vota allo sterminio quanto gli appartiene; non risparmiarlo, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini. (1 Sam 15,3)
E Saul fece come Dio gli aveva comandato. Ma quando risparmiò il meglio del bestiame minuto e grosso (uccidendo solo uomini, donne e bambini), Geova si mostrò irritato.
Mi pento di aver fatto regnare Saul, perché si è allontanato da me e non ha rispettato la mia parola” (1 Sam 15,11)
Per bocca di Samuele, Geova fa criticare non solo Saul, ma gli toglie pure il suo regno. Saul vuole discolparsi con belle parole, risparmiando il meglio del bestiame minuto e grosso come offerte sacrificali, deve sentirsi dire: “obbedire è meglio del sacrificio”. Un versetto, su cui nelle chiese cristiane si imbastiscono volentieri prediche edificanti, senza badare più precisamente al contesto.
In effetti, con tutti questi furori divini di annientamento e di vendetta, non sarebbe preferibile una disubbidienza di principio? Mostrarsi clementi verso gli uomini scorticati, quando Dio si mostra così spietato? Naturalmente, un pensiero siffatto non era nella mentalità di chi agiva in quel tempo: bisogna ammetterlo, era un pensiero anacronistico. Eppure: cosa si vuole ottenere oggi, proponendo storie del genere? Che cosa si vuole trasmettere ai credenti, che cosa possono imparare i bambini da codeste storie se non un’ubbidienza “cadaverica”, seppur imbellettata in forme religiose?
Questo è certo: il Dio dell’Antico Testamento presenta incolmabili deficienze etiche; gli scritti veterotestamentari, gli eroi religiosi – mitologici in tutto o in parte – non sono affatto idonei a trasmettere valori.
La Bibbia è un codice di regole della morale di gruppo con istruzione per il genocidio finalizzato alla schiavizzazione di altri gruppi e all’egemonia sul mondo.
Il Dio dell’Antico Testamento – lo si può affermare a buon diritto – è la figura più sgradevole di tutta la letteratura. La Bibbia sarà anche un’opera poetica fantastica, ma non è il tipo di libro che si può dare ai figli per la loro formazione morale. (Richard Dawkins, L’illusione di Dio, tr.it. Mondadori 2007, p. 244)
Di particolare popolarità gode nelle chiese la recitazione dei Salmi. Nelle letture liturgiche, essi vengono assai spesso presi in considerazione e raccomandati alla meditazione come libro di preghiere della Bibbia. Ebbene, chi si aspetta qui finalmente qualcosa di profondamente meditativo, una spiritualità intima, subisce un’altra delusione. Anche qui prevalgono fatti violenti e volontà di distruzione. Per Buggle, i Salmi sono “un testo dettato in molte parti, e in misura raramente riscontrabile altrove, da sentimenti di odio primitivo e incontrollato, da bisogni di vendetta e di altezzosità.” Cfr. Franz Buggle, op.cit., p. 75–81, 102–111, la citazione a p. 103). Subito, fin da principio, si magnifica Geova:
Salvami, Dio mio!
Tu hai colpito alla mascella tutti i miei nemici,
hai spezzato i denti dei malvagi. (Salmi 3,8)
L’orante loda Iddio:
[…] Hai minacciato le nazioni, hai sterminato il malvagio,
il loro nome hai cancellato in eterno, per sempre. (Salmi 9,6)
Per te abbiamo respinto i nostri avversari,
nel tuo nome abbiamo annientato i nostri aggressori. (Salmi 44,6)
Il Signore è alla tua destra!
Egli abbatterà i re nel giorno della sua ira.
Sarà giudice tra le genti,
ammucchierà cadaveri,
abbatterà teste su vasta terra. (Salmi 110,5–6)
Disgustosi e ripugnanti sono versetti come quelli scagliati contro Babilonia:
Beato chi afferrerà i tuoi piccoli
E li sfracellerà contro la pietra. (Salmi 137,9)
Idee primitive di vendetta, connesse con un’alterigia disumana e sprezzante che non si può immaginare più radicale. Nelle chiese, ciò nondimeno, si prega cantando “Lodate il Signore, perché è gentile, e la sua bontà dura nei secoli dei secoli.”
Si può comprendere Buggle quando, riferendosi al Salterio, non può non constatare “che da molto tempo non ho incontrato un testo impregnato di odio e di smania di rappresaglia altrettanto straripante.” (Buggle, op.cit. p. 104) Eppure, dall’Antico Testamento non abbiamo negli orecchi toni del tutto diversi? La selezione dei passi certamente inquietanti non è assai unilaterale? Non si trovano pure molti momenti positivi riguardanti il Dio dell’Antico Testamento?
Naturale che così sia. Solo che l’unilateralità del florilegio non è da imputare a Buggle, bensì alle Chiese, le quali ci presentano un’immagine di Dio che, secondo le opportunità, può essere messa in congiunzione con le immagini divine del Nuovo Testamento, sicuramente più gentili. La maggior parte dei passi incriminati un devoto frequentatore del culto non li udrà mai, in tutta la sua vita. Nelle chiese, semplicemente, a causa dell’imbarazzo che ne deriva, quei passi non vengono mai utilizzati. In più, in un’antologia biblica privata, si estrarranno inconsciamente, com’è ovvio, quei passi che suscitano al meglio sentimenti di pietà. L’inconscio stesso, in questo, assume una sorta di censura, interpretando le atrocità in maniera compatibile con la devozione.
Il dilemma etico consiste nel fatto che, nell’Antico Testamento, testi da interpretare in senso positivo e negativo sono in pratica connessi senza soluzione di continuità tra di loro. La bontà di Dio viene lodata, appunto perché ha annientato i nemici. Considerato che Dio è leale, riuscirà a sopprimere i diversamente credenti. Visto che Dio esaudisce le preghiere, i nemici dell’orante morranno. E spesso, nelle immediate vicinanze di passi sentiti come positivi, si trovano versetti e momenti intrisi di disprezzo per l’umanità. I profeti, in questa breve panoramica, non hanno ancora preso la parola, ma anche qui il bilancio etico è devastante. Ognuno conosce i versetti seguenti tratti dalla liturgia per il Natale:
Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano la terra tenebrosa
una luce rifulse. […]
Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio.
Sulle sue spalle è il potere
e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della pace.
Grande sarà il suo potere
e la pace non avrà fine
sul trono di Davide e sul suo regno,
che egli viene a consolidare e rafforzare
con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.
Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti. […]
(Isaia 9,1;5–6)
Sono versi che assecondano perfettamente i gusti di un animo religioso. Sennonché, solo alcuni versetti dopo, il momento idillico è turbato di nuovo con l’annuncio d’un castigo divino. Dio stesso istiga i nemici di Israele, aizzandoli contro di loro (Isaia 9,10), per cui si preannunciano di nuovo caos e distruzione:
Perciò il Signore non avrà clemenza verso i suoi giovani.
Non avrà pietà degli orfani e delle vedove,
perché tutti sono empi e perversi;
ogni bocca proferisce parole stolte.
Con tutto ciò non si placa la sua ira,
e ancora la sua mano rimane stesa.
(Isaia 9,16)
Non esiste quasi un passo segnato da un’immagine positiva di Dio che non venga contrappuntato e contraddetto, già pochi versi più avanti, nei suoi contenuti assertivi. Nei Salmi, in particolare, il bastone e la carota si avvicendano senza tregua. Ma è il bastone a predominare.
Come si vuole oggi, in ogni modo, utilizzare per ammaestramento religioso ed etico un Libro Sacro, che reca in maniera indifferentemente spregiudicata passaggi inquietanti, innegabilmente presenti nell’Antico Testamento, accanto ad un’etica vendicativa talmente primitiva? Un libro siffatto può davvero essere d’aiuto per l’orientamento spirituale o religioso? Non vi furono, già nel mondo antico, testi di valore e livello essenzialmente maggiori? Su questo punto non v’è alcun dubbio: la Bibbia è il libro della letteratura mondiale di gran lunga più sopravvalutato. Tale asserto si attaglia, in misura particolare, all’Antico Testamento. In ultima analisi, esso deve la sua rilevanza ad una connessione, in principio quasi fatidica ed ineluttabile, col cristianesimo che si andava propagando. Sicché, come in un sistema di coincidenze, il Cristianesimo fu costretto a rimorchiarsi l’Antico Testamento come una incresciosa eredità attraverso i secoli … E’ stato il grande studioso Adolf von Harnack a formulare questa situazione in un passaggio assai citato del suo libro su Marcione:
Quello di rifiutare, nel II secolo, l’Antico Testamento, fu un errore che la Grande Chiesa delle origini ha respinto a buon diritto; quello di conservarlo nel XVI secolo fu un destino a cui la Riforma non era ancora in grado di sottrarsi; ma conservarlo, ancora nel XIX secolo, come documento canonico nel Protestantesimo, è la conseguenza d’una paralisi religiosa e clericale. (Adolf von Harnack, Marcione, Lipsia 1921, S. 248 s.)
Oggi, nel XXI secolo, anche per molti parroci sono francamente imbarazzanti l’immagine autoritaria di Dio e la concezione arretrata dell’uomo e della società, quali risultano da numerosi passi dell’Antico Testamento. Il livello etico di quanti operano nelle Chiese supera di gran lunga la qualità etica del Dio veterotestamentario. In pratica, nessun parroco predica oggi nello “spirito” o – per meglio dire – nella materialità dell’Antico Testamento. E si tratta soprattutto di pastori protestanti che, in seguito ad uno studio, si sono occupati anche sul piano scientifico delle tradizioni, praticando una teologia purificata dall’Illuminismo europeo ed impegnandosi non solo nella Chiesa, ma altresì nella società. Costoro sono naturalmente consapevoli dei problemi esistenti con l’Antico Testamento, anche se li vorranno interpretare come debolezze, più che come fondamenti etici. Da questa materia, cercano insomma di trarre il meglio che si può. Il mondo cristiano vive, tra l’altro, del fatto che i suoi funzionari possiedono un fondamento etico migliore di quello presentato nella mentalità veterotestamentaria; vive perché oggi viene annunciato un Dio che non si orienta affatto su quel Dio che si comporta come un essere collerico incapace di controllarsi.
Accozzaglia di storie nell’Antico Testamento
Al fine di riabilitare Geova, tuttavia, si potrà dire che non è assolutamente lui quello che parla nell’Antico Testamento, bensì che sono piuttosto cerchie sacerdotali, che mettono in bocca al loro dio la loro provinciale etica di gruppo. Regolamentazioni umane vengono spacciate per comandamenti di Dio, esigendo in quanto tali un’autorità incondizionata, in quanto derivatagli da Dio. E’ un vecchio trucco: lo si può osservare di frequente nella storia delle religioni. In ultima analisi, non è Dio, pertanto, ad essere crudele e disumano; ma no, sono i suoi adoratori a rivelarsi tali. Sono loro ad aver portato il loro Dio a questo punto. E solo così diviene comprensibile perché vi siano tante parole divine per cose relativamente insignificanti. Anche devoti lettori della Bibbia si saranno già chiesti perché Geova si preoccupasse allora di qualunque inezia. Nessun Dio, che abbia un po’ di autostima, si interesserebbe mai per la confusa varietà di precetti rituali, che vengono trattati nel Pentateuco.
Certo è che ambienti sacerdotali manifestarono un interesse straordinario per precetti di quel genere. Sono essi, in effetti, i veri e propri autori delle sentenze divine. E non avevano evidentemente nessuno scrupolo a fare un uso intensivo di codesti mezzi, arruolando il Dio a vantaggio del quotidiano affare rituale. I sermoni di Dio sono dunque, nell’AT, falsificazioni intenzionali: la formula co amar Jahwe, cioè il Così parla Geova, non introduce affatto un parola di Dio, bensì rispecchia unicamente problematiche cultuali e comunitarie d’una società strutturata, com’era più di 2000 anni or sono.
Con noi, codeste regole non avrebbero nulla a che fare, precisamente come le leggi rituali d’una tribù dei mari del Sud avrebbero a che fare con noi, se l’Antico Testamento non seguisse come un’ombra il Cristianesimo, riconoscendogli una notevole rilevanza per la vita dei credenti.
Si tenga presente, ancora una volta che, per il giudizio etico, non ha nessuna importanza che un Dio abbia detto veramente qualcosa, anzi il fatto che egli abbia detto davvero una qualunque cosa. Determinanti sono solo questi fatti: quali dichiarazioni gli siano state ascritte nella Tradizione, quale immagine del mondo, di uomini e di Dio, si manifesti in essi, quale etica vi si rifletta.
Ma chi era in fondo davvero Geova, se le sue parole risalgono alle invenzioni dei sacerdoti? Questo quesito ci allontana alquanto dal nostro tema, che dovrebbe ruotare intorno al cristianesimo e a Gesù di Nazaret. In ogni modo, alcune informazioni sullo stato delle indagini veterotestamentarie e del Dio rispettivo non sono prive di interesse. Nella coscienza generale, infatti, e tanto più nei bigotti ambienti clericali, l’Antico Testamento appare pur sempre come un blocco relativamente unitario, quantunque composto da numerosi scritti con svariate accentuazioni. Al contrario, la ricerca sull’Antico Testamento, impiegando i mezzi della critica storica, ha cercato di descrivere il carattere differenziato e l’evoluzione di quegli scritti. Da quasi duecento anni, per esempio, la critica delle fonti si sforza di accertare le parti originarie, soprattutto del Pentateuco, ossia dei cosiddetti cinque Libri di Mosè. L’indagine urta così contro problemi molto più complicati che nella ricerca sul Nuovo Testamento, giacché alla base del Pentateuco si riscontrano stratificazioni molto più profonde di testi tramandati.
E’ chiaro, in tutti i casi, che l’immagine dell’epoca più antica di Israele è una costruzione di epoche successive, di tempi spesso molto più tardi, e che molte cose, che ci sono rimaste familiari dall’insegnamento religioso, non si svolsero affatto in quei termini. I capitoli seguenti cercano, sulla base dei risultati della ricerca veterotestamentaria (non muovendo in nessun modo, quindi, dalla prospettiva dell’autore) di evidenziare le basilari differenze tra la rappresentazione biblica e la ricerca storico-critica.
I patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, genealogicamente collegati nell’ Antico Testamento, erano in origine tre differenti patriarchi tribali, che si presume non avessero nulla a che vedere tra di loro. Se si tratti di figure storiche, è assolutamente incerto. Non esiste infatti “nessun punto di appoggio, riguardo a luogo e tempo, circa le premesse e le circostanze di vita delle figure umane dei patriarchi per affermare qualcosa di sicuro su piano storico”, afferma lo studioso veterotestamentario Martin Noth nella sua celebre Storia di Israele. Ogni gruppo adorava evidentemente uno o parecchi dèi differenti, i cosiddetti “dèi dei padri”, dei quali sono presenti ancora alcune tracce in denominazioni come “il Dio di Abramo”, oppure il “Dio di Isacco” (Gen 31,42), oppure “il potente di Giacobbe” (Gen 49,24) (si veda l’opera classica sull’argomento di Albrecht Alt, intitolata appunto Der Gott der Väter, 1929). Nella loro qualità di nomadi, o seminomadi, questi gruppi vagavano ai margini delle zone coltivate. Successivamente, quando queste tribù si unirono con altri gruppi e divennero stanziali, anche le tradizioni patriarcali si dovettero unificare in qualche misura. E lo si fece allineando i padri in una successione genealogica. Isacco diventò dunque il figlio di Abramo, e Giacobbe il figlio di Isacco. A poco a poco, vennero riallineate anche le rappresentazioni divine.
Secondo la tradizione, Giacobbe ebbe dodici figli. Da questi, tuttavia, non uscirono poi le dodici tribù, come costruisce l’Antico Testamento, ma viceversa: bisogna prima presupporre già l’esistenza delle tribù, e solo in seguito esse vennero fatte risalire ad un patriarca. Epoche successive hanno comunque elaborato le tradizioni patriarcali, cercando di costruire un’origine comune del popolo di Israele, che per ogni popolo resta sempre in qualche modo avvolta nell’oscurità. Anche le storie bibliche non possono nascondere l’apparenza d’uno schematismo. La preistoria di Israele è dunque un’affabulazione di tipo storico: più poesia che verità.
Nelle zone coltivate della regione convennero dunque diversi gruppi autonomi. Ci si incontrava nei luoghi centrali del culto, per esempio presso santuari arborei o colline sacre, sentendosi più vicini sul piano culturale, e sicuramente anche su quello umano. Di questi gruppi tribali fece parte anche quello che introdusse la tradizione dell’esodo. (Si veda l’articolo “Motivo dell’esodo” nella Enciclopedia Teologica TRE, vol. 10, p. 733–736, di S. Hermann.) Dal duro lavoro dipendente sotto gli Egizi, forse all’epoca di Ramsete II (circa 1298–1213 a.C.) questo gruppo si poté liberare da una condizione di semischiavitù, interpretando poi questo evento come effetto voluto dal (loro!) Dio. I prodigi abbelliti, collegati con quell’evento, sono invenzioni più tarde.
Non fu l’intero popolo di Israele a trovarsi in Egitto e a fuggire da quella cattività, ma probabilmente soltanto un gruppuscolo molto minoritario. Anch’esso si fece vedere nei santuari allora conosciuti, che certo non servivano esclusivamente alla venerazione da parte d’un solo gruppo. Una successiva visione delle cose ha quindi messo in relazione la tradizione dei patriarchi, già allineata in senso genealogico, con la tradizione dell’esodo. Secondo quest’ultima, vi fu dapprima Giuseppe, un figlio di Giacomo, e poi seguirono i suoi consanguinei. E così si forma quell’immagine che la Bibbia trasmette, somigliante a quella che molti hanno appreso nelle lezioni di religione: che l’intero popolo di Israele fosse partecipe di questo esodo. Venne trasferito sul popolo, visto nella sua interezza, ciò che in origine fu solo tradizione di qualche gruppuscolo.
Un’altra pietra miliare nella costruzione israelitica della storia fu la tradizione del Sinai. Dove si trovasse questo monte, fino ad oggi non si può determinare con precisione. In ogni modo non si trova sulla penisola del Sinai, dove oggi si trova il monastero di santa Caterina.
Questa tradizione del luogo esiste solo dal VI secolo postcristiano. Certi elementi fanno ritenere che il monte Sinai si trovasse nel nord della penisola arabica, probabilmente nel territorio dei Midianiti. Dobbiamo comunque ipotizzare, anche qui, l’esistenza d’un luogo sacro, un monte di culto per gruppi che conducevano vita da nomadi, e gruppi già stanziali. Orbene, qui un altro gruppo tribale ebbe una rivelazione di carattere in qualche modo divino. E la introdusse poi, a sua volta, nel mondo culturale palestinese, contribuendo a farne un comune patrimonio di tradizione. Anche la Tradizione del Sinai si trasforma così in qualcosa che il popolo intero crede di aver vissuto, ma di cui soltanto un gruppo aveva avuto esperienza diretta.
I risultati della ricerca storica producono quindi un’immagine diversa da quella trasmessa dall’Antico Testamento. Che esistessero diverse tradizioni patriarcali, con la venerazione di dèi forse differenti, appare ormai chiaro. Oscuro è invece come si chiamassero i patriarchi, nonché ciò che costoro vivessero nelle situazioni specifiche. Taluni racconti sono narrati da parecchi patriarchi come duplicati. In principio, comunque, questi padri capostipiti non ebbero niente in comune tra di loro, ma furono messi in un reciproco rapporto genealogico solo mentre si svolgeva il processo di stanzializzazione. Un esodo del popolo intero di Israele (che allora, come popolo, non si era ancora costituito) non ci fu mai, mentre si ebbe certamente la Tradizione dell’Esodo d’un gruppo che poi, in una successiva visione d’insieme, si sarebbe trasferito sul popolo intero. Anche la Tradizione del Sinai fu in origine autonoma. Non ebbe a che fare né con le tradizioni dei patriarchi né con quella dell’esodo. Abbiamo dunque, invece di una cordata di tramandamento biblico-lineare, l’integrazione progressiva, scaturita da tradizioni singole, verso una tradizione unitaria e complessiva.
Quale posizione ebbe allora un personaggio come Mosè, che pure gioca un ruolo rilevante in parecchie tradizioni? E’ lui il condottiero che guida Israele fuori dall’Egitto? Oppure fu, originariamente, solo connesso con la Tradizione del Sinai, addirittura un sacerdote di quella? Non sono stati pochi i ricercatori a ritenere la figura di Mosè, nel suo complesso, tutt’altro che storica. Per loro, Mosè altro non è che una tarda parentesi artificiale, finalizzata all’integrazione delle differenti tradizioni. Tuttavia, comunque lo si voglia vedere, sta di fatto che la sua importanza aumenta fortemente nel corso della tradizione, ciò che depone più a favore della sua storicità, dalla quale oggi prendono le mosse anche quasi tutti gli esegeti. E allora Mosè sarebbe da allocare piuttosto nella tradizione del Sinai, dato che la tradizione dell’esodo viene tramandata anche senza la figura di Mosè (si veda il cosiddetto Piccolo credo storico, Deut 26,5–10).
In seguito, Israele avrebbe eroicizzato ed idealizzato oltre misura la cosiddetta colonizzazione. La regione di cultura palestinese, la terra dove scorrono latte e miele, era popolata da città-stato cananee, indipendenti le une dalle altre. La colonizzazione del territorio, che nell’Antico Testamento viene rappresentata come atto sostanzialmente belligerante, non ebbe luogo affatto in questo modo. Perché non fu certamente un grande popolo quello che dall’Egitto, attraversando il deserto, approdò finalmente ai confini della Palestina. Confini territoriali, in una struttura di città-stato, non sarebbero potuti in nessun caso esistere realmente. Erano gruppi isolati che, provenendo da direzioni diverse, si incontrarono e cercarono lentamente di prendere piede, sicuramente senza un progetto e, pertanto, anche senza un Giosuè quale comandante in capo. Solo più tardi questi accadimenti sarebbero stati stilizzati in una guerra di conquista.
Gli storici moderni si raffigurano la colonizzazione come un processo in larga misura pacifico: essa fu probabilmente una lenta infiltrazione di gruppi nomadi e seminomadi in un ambiente culturale caratterizzato da reami urbani. Un processo che si ripeterà anche in altri luoghi. Ancora per secoli abitarono gli uni a fianco degli altri, ciò che naturalmente non escludeva anche confronti bellici. Eppure Gerico non fu conquistata dagli Israeliti, essendo in quel tempo già distrutta, come ha dimostrato la ricerca archeologica. E neppure ebbe luogo la distruzione del regno di Ai (Giosuè 7–8), e in ogni caso non per opera degli Israeliti. Di questa città, infatti, non si conosceva neanche più il nome: Ai significa, tradotto alla lettera, campo di macerie.